Con il 24 ottobre 1917, ricordiamo una delle date più significative per l’Italia, ma anche una delle tappe più distruttive sul fronte della Prima Guerra Mondiale: la battaglia di Caporetto.
E’ necessario spiegare che, ai giorni nostri, Caporetto viene utilizzato come argomentazione anti-italiana insieme al termine “vittoria mutilata” (citato in un mio precedente articolo) come a dire: “abbiamo vinto, ma è stata come una vittoria di Pirro e quindi non abbiamo vinto nulla”.
Ribadisco nuovamente che il termine “vittoria mutilata” è stato coniato da Gabriele D’Annunzio in merito alla questione delle spartizioni territoriali, al tavolo delle trattative post-bellico, e di certo non per permettere ai posteri di ridicolizzare quei soldati che per la propria terra, durante il conflitto, hanno dato la vita.
E questa affermazione viene pure smentita dai numeri in quanto i caduti italiani sono stati 651 mila, su un totale di morti, durante la Prima Grande Guerra, pari a oltre 37 milioni.
Fermo restando che la tragedia umana in morti, non si può che commentare con una preghiera, oserei dire: se la matematica non è un’opinione, a buon intenditor poche parole.
Questa è una doverosa premessa, per poter parlare dei fatti che si svolsero sul campo e che portarono alla sconfitta di Caporetto.
In realtà Caporetto, non è che la fase conclusiva delle dodici battaglie dell’Isonzo, portate avanti dal 1915 dal Generale Luigi Cadorna col chiaro intento di sfondare la linea austro-ungarica.
Ricordiamo che il Generale ha ottenuto anche delle significative “vittorie” come la presa di Gorizia nel 1916 ma, allo stesso tempo, occorre dire che il numero di soldati caduti, in rapporto al terreno guadagnato, è stato troppo alto.
Quindi il Generale Luigi Cadorna dà il via alla decima battaglia dell’Isonzo ottenendo comunque scarsi risultati. Ed in seguito, alla richiesta degli alleati di procedere con due cariche per alleggerire il fronte occidentale, il Generale procederà solo con una che si concluderà in nulla di fatto.
Per quanto le cariche dell’Isonzo, dal 1915 al 1917, fossero costate parecchio in termini di perdite agli italiani, dall’altro lato della barricata la situazione era anche peggiore. Possibilmente il Generale Cadorna non immaginava che una carica successiva, avrebbe potuto decretare lo sfondamento del fronte austriaco.
Infatti gli austriaci ormai indeboliti e stremati, chiesero l’intervento dell’alleato tedesco che rispose inviando dei comandati di alto calibro come il generale Otto von Below e il suo capo di stato maggiore Konrad Krafft von Dellmensingen, più 6 divisioni d’eccellenza.
Tra gli ufficiali tedeschi, vi era all’epoca un giovane tenente che già stava acquistando notorietà e che nel conflitto successivo sarebbe passato alla Storia come una leggenda: Erwin Rommel.
Il 24 ottobre del 1917 alle 02:00 l’offensiva tedesca iniziò con un lancio di gas tossico contro i soldati italiani che, avendo maschere antigas con filtri che potevano durare un paio d’ore, furono costretti ad evacuare in fretta le trincee avanzate.
Poco dopo arrivò l’artiglieria, che spazzò via i reticoli di filo spinato e costrinse i difensori rimasti sul posto a nascondersi nei rifugi sotterranei o abbandonare il fronte. Il terzo elemento dell’attacco furono i reparti di fanteria d’assalto tedeschi: piccoli reparti armati di mitragliatrici, bombe a mano e lanciafiamme che avevano il compito di infiltrarsi nelle trincee nemiche, conquistarle e difenderle fino all’arrivo del grosso delle truppe.
Questa combinazione si rivelò tremendamente efficace.
Quando gli austro-tedeschi avanzarono nelle valli vicino a Caporetto non incontrarono resistenza e i reparti d’assalto riuscirono facilmente a conquistare le posizioni sulle alture circostanti.
Altri attacchi furono respinti, ma quello principale ebbe un tale successo da mettere in pericolo l’intera linea italiana. Il comandante locale chiese il permesso di ritirare le sue truppe, che rischiavano di essere attaccate alle spalle dagli austriaci, ma Cadorna glielo proibì per diverse ore. A sera, però, anche lui dovette arrendersi: la situazione era compromessa e fu ordinata la ritirata generale.
Cadorna in seguito creò una prima linea difensiva sul fiume Tagliamento, ma fu costretto a ritirarsi più ad occidente, fino a stabilirsi sul Piave.
Per la sconfitta a Caporetto, fu destituito dal suo incarico ed al suo posto fu incaricato il Generale Armando Diaz che portò le truppe italiane alla vittoria finale.
Per quanto Cadorna abbia perso terreno e vite, personalmente non mi sento di dargli tutte le colpe della sconfitta ed anzi ritengo che fece il possibile per creare una linea difensiva efficace non troppo arretrata, permettendo al successore Diaz di riprendere l’avanzata.
Credo invece che sia stata una sconfitta dovuta a più fattori, e vi propongo questa breve analisi della battaglia:
Il Generale Luigi Capello ha la responsabilità e la colpa di non aver voluto creare una seconda armata per la difesa, rendendo più agevole l’avanzata tedesca che poteva contare su uomini, armi e, soprattutto, abilità tattica.
Non fu questa una tragedia anche se stava per diventare tale anche perché in un primo momento l’esercito italiano riuscì malgrado tutto a riordinarsi sul Piave, con una linea voluta e prevista direttamente dal Generale Cadorna.
Bisogna ricordare che il Generale Cadorna non si fermò sul Tagliamento ritenuto “indifendibile” come volevano alcuni in Italia, ma non arretrò neanche al Mincio come avrebbero voluto gli Alleati.
La nuova linea faceva perno sul Grappa che era stato fortificato su indicazione di Cadorna.
Perdemmo un’armata completa e buona parte di una seconda per salvare delle truppe ancora organizzate atte a costituire il nocciolo della nuova difesa: una grande sconfitta, ma sicuramente non una tragedia.
Oltretutto altri Paesi subirono sconfitte simili e anche più gravi senza averne fatto un dramma nazionale come da noi: Aleksej Alekseevič Brusilov catturò 300 mila austriaci e penetrò per centinaia di km in Ungheria mettendo a rischio la stessa Budapest e i francesi si difesero quasi sulle porte di Parigi.
Parlare ancora di tragedia di Caporetto significa non rispettare il sacrificio della brigata Bologna per esempio, e di molti altri soldati che arretrarono combattendo, da veri soldati e non furono pochi.
Per concludere, ricordiamoci che parlare di Prima Guerra Mondiale indicando solo Caporetto, in voga come moda autolesionista e priva d’amor proprio, è (oltre che ignorare la Storia) come puntare la luna e guardare il dito.
L’Italia vinse quella guerra e noi dobbiamo celebrarla, non fosse altro per rendere omaggio a tutti quei soldati che hanno dato la propria vita per permettere ai successori di vincerla.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports