Oggi presentiamo John Gian, artista vicentino, che spazia sulla parola studiandola nel suono, nella forma, nella ripetizione fino a toglierle l’abituale significato di linguaggio.
La parola diventata nuda e assume nuove possibilità, si allontana dalla lingua che l’ha generata ma resta conoscibile come volontà organizzata di comunicazione. John Gian ha dietro di sé davvero un lungo cammino: dal Cut-Up mentale, in cui frammenti di frasi e di espressioni si condensano in una libera associazione capace di dare nuova e inaspettata luce al significato, ai passaggi più arditi dove numeri e lettere sono svuotati e ridotti alla mera insignificanza linguistica per trovare una forza nuova e improvvisa nella loro semplice presenza segnica.
In questo viaggiare arti visive e poesia si mescolano e si contaminano, manifestazioni diverse di un unico pensiero artistico.
Parto dai luoghi della vita, cosa significa per lei esporre oggi a Palermo?
Amo la Sicilia, la terra in cui negli anni ’70 ho iniziato il mio percorso artistico grazie all’incontro, a Partanna in provincia di Trapani, con il poeta ed artista svizzero Franco Beltrametti. Per me esporre a Palermo ha un significato particolare: un ritorno alle origini.
In effetti la lunga amicizia con il poeta svizzero Beltrametti, uno dei grandi autori della Beat Generation, è importante per aiutarci a comprendere l’opera di John Gian: i graffiti dello svizzero che si librano eterei perdendo volutamente ogni carico semantico e la sua poetica del viaggio infinito hanno sicuramente la stessa radice comune nell’anno trascorso fra i terremotati del Belice, al Centro studi e iniziative diretto da Lorenzo Barbera, alla ricerca di una profonda trasformazione della società oppressa dai vincoli e dall’immobilità di un feudalesimo millenario.
C’è continuità fra questa sua esperienza e BIAS?
BIAS è una grande opportunità di confronto internazionale. È un cenacolo di spiriti liberi incamminati sullo stesso sentiero, quello della ricerca spirituale.
Proprio questa ricerca ha spinto l’artista ad andare oltre le convenzioni, ad indagare quello che ci appartiene nell’intimo, a scavare via tutto quanto – significati, appesantimenti, tradizioni e abitudini vissute come verità – per tornare al valore profondo dei segni.
È ancora l’esperienza di una terra devastata dal sisma che sembra dare ritmo e misura alle sue parole: una catastrofe miete vittime ma lascia nei sopravvissuti, vitale e ancora più forte, la volontà di disegnare un progetto futuro; quel che c’era di storico e di vissuto è cancellato dalla potenza dell’evento, quel che resta è la terra pronta a rifiorire di vita, le tracce e le forme sono pronte ad assumere nuovi significati.
Arte e Artista: chi è John Gian?
Sono un semplice uomo che cerca di vivere ed esprimersi consapevolmente. Dell’arte qualcuno ha detto: arte è ciò che non trovi dove pensi di trovarlo.
Passiamo alle sue opere presentate in Biennale, in loro manca il caos, non sono frammentarie, anzi. Si aprono all’osservatore con un delicato ritmo di geometrie, che evidenzia l’ordine e la comunicazione; su queste righe danzano segni che possono essere parole, sillabe, frasi espresse in una lingua a noi sconosciuta e si evidenzia subito che non sono casuali. Hanno un’umana empatia, che con facilità ci accoglie.
Come sono nate? Cosa ci raccontano del gioco?
Le tre opere, Scritture Spinate 2018, sono state realizzate in uno stato di trance meditativa ascoltando The Gyuto Monks Tantric Choir. Appartengono ad un’esperienza artistica iniziata con la mostra all’Istituto Italiano di Cultura in Jaffa (Tel Aviv) nel 2003. Quando l’energia mi accompagna e la musa mi sorride, il gioco nell’arte appartiene al mio quotidiano: Scritture Spinate ben esprime questo mio modo di vivere.
John Gian, la forza del segno.
John Gian a BIAS 2020 Palermo Loggiato San Bartolomeo fino al 12 settembre 2020
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports