Oggi presentiamo Angelo Di Quattro, artista siciliano di Ragusa, la cui opera è fatta di segni e di tracce filtrate e ricomposte in un caleidoscopio senza fine.
Tutto quello che può avere visto nella sua terra aspra e assolata: le tessiture dei muri in pietra tagliata, le crepe sui palazzi diruti, quel che resta di rocce antiche battute dalle greggi sulle trazzere.
Il ripetersi geometrico di forme quadrangolari, quasi fossero reticoli di architetture consumate dal tempo. Forse anche le partizioni della campagna, gli intrecci regolari dei vicoli, il ritmo di finestre ridotte a spazi d’ombra sui muri di case ormai spopolate.
Angelo Di Quattro è fatto principalmente di silenzi, come i compaesani di questo lembo d’isola. Quel che gli altri dicono per cenni, con gesti antichi e misurati, lui lo racconta strisciando sulla tela ruvide pennellate, che diventano forma, più che rappresentazione.
Nei suoi quadri è evidente il segno del tempo, il colore cariato, la forma che resta ma sfilacciata e consunta. Come ha affrontato l’altro elemento di questa Biennale, il gioco?
Amore e gioco sono la stessa cosa, come nella vita l’inizio e la fine. Ogni tela è poesia, poi la ami per gioco.
Creare un’opera è, per lei, lasciare una traccia, coinvolgere l’osservatore nella ricerca di un senso che alla fine diventa il legame con la sua terra, dalla cultura millenaria fatta di lotta e sfinimento per trarre sicurezza dal grembo ancestrale di una campagna avara e spesso ostile.
Perché la sua pittura, apparentemente semplice, riesce a comunicare tale forza e tenacia? Perché sente la necessità di incidere questi segni di una caparbia presenza?
Sono un pittore e amo l’arte perché l’arte è vita. Il mio approccio creativo è arricchito da un continuo sperimentalismo, disegni, colori e materie mi portano ad un espressionismo astratto. Anche se non credo di essere in grado di definire in modo esaustivo cosa sia l’arte. L’arte è immagine ed espressione influenzata dalla cultura del momento.
Parlando con Angelo Di Quattro ci si accorge che in certi casi, come questo, l’arte torna ad essere un rito, l’appropriarsi per tradizione di forme e di strutture ormai lontane dai significati originari, ma che rimangono codificate e diventano parole nel linguaggio dell’artista.
Lui usa queste lettere, questi elementi di una lingua perduta e attraverso di loro ci parla dei ritmi inesorabili e non razionali di una terra quasi dimenticata. Di Quattro racconta principalmente a sé stesso, sicuramente agli avi e a coloro che lo hanno preceduto, incidentalmente anche a noi, viaggiatori stranieri entrati per caso in questo regno di sassi, di carrubi e di silenzio.
Cosa significa per lei partecipare e vivere BIAS 2020?
Rappresenta per me una fonte di cultura che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con artisti appartenenti a correnti espressive e culture diverse di tutto il mondo; confrontarmi con loro è stato un momento di unione e scambio di opinioni. Mi onora fare una mostra a Palermo, la città capitale della mia regione.
Angelo Di Quattro, l’arte di una voce senza tempo.
Angelo Di Quattro a BIAS 2020 Palermo Loggiato San Bartolomeo fino al 12 settembre 2020
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports