Terza edizione della Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea Sacra e delle Religioni dell’Umanità (BIAS), presso il Loggiato San Bartolomeo a Palermo. L’artista Massimiliano Reggiani presenta la sua opera.
L’edizione BIAS 2020 ha come tema il gioco. Qual è il significato di gioco per l’artista?
Il gioco non consiste nella nascita dell’opera d’arte ma piuttosto nell’idea di creare un linguaggio. Quindi l’arte in sé, si può dire, è una sorta di “cazzeggio” nel momento della ricerca mentre lo sviluppo di qualcosa che comunichi relazionandosi con l’esterno è il giocare.
Con che cosa ha giocato l’artista Reggiani?
L’idea era di scegliere un formato che fosse comunque ricomponibile da parte dell’osservatore. Io ho cercato di raccontare un mio punto di vista inteso come ciò che vive di luce e ciò che gioca con la luce. Troviamo anche degli interventi culturali di cui il senso magari non si capisce, ad esempio nella molletta nel pomodoro, ma che realizza il momento in cui l’uomo prende un prodotto naturale e nel riutilizzarlo indica qualcosa di diverso, che appartiene alla sua cultura e che nulla a che vedere con l’origine biologica e con la fotosintesi.
Questa è una mia interpretazione e tutta l’opera è lasciata all’idea che l’osservatore la possa ricomporre sulla base dei gusti personali.
Un ricomporre rispettando comunque la perfezione del quadrato.
Il gioco intellettuale sta proprio nell’utilizzare il quadrato che è una forma abbastanza inconsueta per la centratura a livello artistico: è sicuramente più complicato inquadrare una opera nel quadrato senza scadere nella banalità del mettere la cosa più importante al centro.
Io tengo più a suggerire le direttrici oblique senza sovrapporre l’importanza dell’immagine con la direttrice o con il centro in modo che l’osservatore trovandosi in questa discrasia tra ciò che sono gli elementi di equilibrio dell’opera geometrici e come l’opera è stata impostata, notando questo “strappo” trova più interessante quello che sta vedendo.
In caso contrario se il centro dovesse essere il punto di interesse, tutto finirebbe per appiattirsi.
Qual è stato il processo di realizzazione dell’opera?
Ho utilizzato il cartone riciclato (con brevetto bresciano) e per richiamare una produzione tipicamente industriale: ho creato le foto e le ho inviate a Brescia, sono state stampate, rispedite e rimontate. In pratica io la vedo per la prima volta, oggi.
Questo processo richiama il costruttivismo russo. Credo che nell’arte contemporanea non sia più fondamentale la realizzazione artigianale stessa dell’opera ma bensì la facilità di spostamento sul pianeta. Rimane sicuramente una forte componente di chi la crea, ma non è detto che la realizzazione effettiva debba essere materialmente collegata a chi l’ha pensata.
In questo modo le opere possono essere pensate, prodotte e spedite in altre zone del pianeta senza il bisogno che ci sia lo spostamento fisico dell’artista dall’atelier.
L’applicazione dell’esternalizzazione moderna in campo artistico?
Tutte le immagini sono scattate a bassissimo costo con un telefonino da 100 euro, sulla base dell’idea che anche partendo da mezzi che si trovano abitualmente sul mercato, se si ha consapevolezza della nostra storia dell’Arte, si riescono a riproporre problematiche e modi di costruire lo spazio che abbiamo elaborato in contesti molto più importanti e molto più colti.
E’ la consapevolezza della nostra storia che dovremmo portarci dietro e sulla base di questo dovremmo riuscire a produrre cose che comunque sono sempre in linea le nostre radici artistiche.
Non è detto che utilizzando le tempere giottesche e il pennello si riesca a realizzare una opera che sia adatta al mondo contemporaneo.
Sono cambiati gli strumenti ma non dovrebbe essere cambiata la linea culturale.
Non c’è il rischio che si perda l’unicità dell’opera?
L’opera diventa riproducibile, nella visione più democratica possibile. La si può stampare in una infinità di copie e magari firmarne 10 tirature come si faceva nelle calcografie; ma si può anche realizzare una sola stampa, cancellando l’originale.
La decisione rimane sempre nel diritto dell’artista.
Io preferisco lasciarla libera sul web, dove chi la vuole scaricare e stampare lo può fare. Rimane il piacere di averla creata, di aver prodotto un qualcosa inventato da me.
Si può sempre realizzare una stampa ad alta risoluzione, pensata per uno specifico committente è in quel caso si ha il pregio di poter distruggere i file o di cedere totalmente i diritti a chi la compra.
Qualche esempio?
Due mie opere sono esposte nel castello di Morsasco: una volta entrate nella collezione del castello non sono state più stampate e replicate.
di Antonio Melita e Francesco Militello Mirto – EmmeReports