Intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia di commemorazione dedicata alle vittime bergamasche del Covid-19.
Tra l’omaggio reso alla lapide con la preghiera in poesia di Ernesto Olivero e la Messa di Requiem di Donizetti, lo spazio delle parole è doverosamente limitato; e rivolto soltanto a riflessioni essenziali.
Qui a Bergamo, questa sera, c’è l’Italia che ha sofferto, che è stata ferita, che ha pianto. E che, volendo riprendere appieno i ritmi della vita, sa di non poter dimenticare quanto è avvenuto.
La mia partecipazione vuole testimoniare la vicinanza della Repubblica ai cittadini di questa terra così duramente colpita.
Bergamo, oggi, rappresenta l’intera Italia, il cuore della Repubblica, che si inchina davanti alle migliaia di donne e uomini uccisi da una malattia, ancora in larga parte sconosciuta e che continua a minacciare il mondo, dopo averlo costretto, improvvisamente, a fermarsi o, comunque, a rallentare le sue attività.
Oggi ci ritroviamo qui per ricordare. Per fare memoria dei tanti che non ci sono più. Del lutto che ha toccato tante famiglie, lasciando nelle nostre comunità un vuoto che nulla potrà colmare.
Il destino di tante persone e delle loro famiglie è cambiato all’improvviso. Vite e affetti strappati, spesso senza un ultimo abbraccio, senza l’ultimo saluto, senza poter stringere la mano di un familiare.
Tutti conserviamo nel pensiero immagini che sarà impossibile dimenticare. Cronache di un dolore che hanno toccato la coscienza e la sensibilità di tutto il Paese, ma che, per chi le ha vissute personalmente, rappresentano cicatrici indelebili.
Questi mesi, contrassegnati da tanta, intensa, tristezza, ci hanno certamente cambiato. Hanno in larga misura modulato diversamente le nostre esistenze, le nostre relazioni, le nostre abitudini. Dire che, d’ora in poi, la nostra vita non sarà come prima non è la ripetizione di un luogo comune.
Non sarà come prima perché ci mancheranno persone care, amici, colleghi.
Non sarà come prima perché la sofferenza collettiva, che all’improvviso abbiamo attraversato ha certamente inciso, nella vita di ciascuno, sul modo in cui si guarda alla realtà. Sulle priorità, sull’ordine di valore attribuito alle cose, sull’importanza di sentirsi responsabili gli uni degli altri.
Fare memoria significa, quindi, anzitutto ricordare i nostri morti e significa anche assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto. Senza la tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima.
Ricordare significa riflettere, seriamente, con rigorosa precisione, su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere.
Significa allo stesso tempo rammentare il valore di quanto di positivo si è manifestato. La straordinaria disponibilità e umanità di medici, infermieri, personale sanitario, pubblici amministratori, donne e uomini della Protezione civile, militari, Forze dell’Ordine, volontari. Vanno ringraziati: oggi e in futuro.
Qui – come altrove – si è potuto misurare concretamente il valore e lo spessore di queste testimonianze.
Come ben sanno i sindaci – che, vorrei ricordare anche qui, oggi, nei giorni più difficili, hanno operato con la più grande dedizione – si sono formate e messe in opera, in ogni comune, tante reti di solidarietà.
Una maggioranza silenziosa ma concreta del nostro popolo che, senza nulla pretendere, si è messa in azione e ha consentito al Paese di affrontare le tante difficoltà e continuare a vivere.
Senso del dovere e buona volontà di singoli. Queste risorse, accanto allo spirito di sacrificio e al rispetto delle regole, che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini ha dimostrato, costituiscono un patrimonio prezioso per il Paese, da non disperdere.
Rammentiamoci delle energie morali emerse quando, chiusi nelle nostre case, stretti tra angoscia e speranza, abbiamo cominciato a chiederci come sarebbe stato il nostro futuro. Il futuro della nostra Italia.
La memoria ci carica di responsabilità. Senza coltivarla rischieremmo di restare prigionieri di inerzie, di pigrizie, di vecchi vizi da superare.
Da quanto avvenuto dobbiamo, invece, uscire guardando avanti. Con la volontà di cambiare e di ricostruire che hanno avuto altre generazioni prima della nostra.
La strada della ripartenza è stretta e in salita. Va percorsa con coraggio e con determinazione. Con tenacia, con ostinazione, con spirito di sacrificio.
Sono le doti di questa terra, che oggi parlano a tutta l’Italia per dire che insieme possiamo guardare con fiducia al nostro futuro.
di Redazione – EmmeReports