Le mani di Cosa Nostra sul business della scommesse per un giro di almeno 100 milioni di euro: è quanto emerge dall’operazione denominata “All In” condotta dalla Guardia di Finanza.
Su delega della Procura della Repubblica di Palermo – Direzione distrettuale antimafia, le Fiamme Gialle del Comando provinciale hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale nei confronti di 10 persone, cinque delle quali finite in carcere.
Le accuse sono: partecipazione e concorso esterno mafioso, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori a favore di alcune articolazioni mafiose cittadine.
Le indagini hanno appurato la presenza di attività economiche, strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a Cosa Nostra, finanziate attraverso il riciclaggio di “denaro sporco”.
Impiegati oltre 200 militari della Guardia di Finanza di Palermo, Milano, Roma, Napoli e Salerno: effettuate decine di perquisizioni oltre che in Sicilia, anche in Campania, nel Lazio e in Lombardia.
Gli uomini del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo, seguite da un pool di sostituti coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno svelato sia gli interessi dei boss per le scommesse che l’esistenza di un gruppo di imprese gravitanti intorno alle figure di Francesco Paolo Maniscalco e Salvatore Rubino.
Quest’ultimo avrebbe messo a disposizione dei clan le sue capacità imprenditoriali per riciclare denaro di origine illecita e per gestire la raccolta delle scommesse. La mafia sarebbe così riuscita ad “infiltrarsi” nell’economia “legale” attraverso il controllo di imprese – in particolare attraverso Vincenzo Fiore e Christian Tortora – riuscendo a partecipare a bandi pubblici per le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
L’ambizioso “progetto aziendale” mafioso ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, ad opera del cassiere pro tempore che ha investito, ottenendone profitto, liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati, sia dal mandamento di Pagliarelli attraverso l’acquisto di quote societarie operato dai fratelli Elio e Maurizio Camilleri, imprenditori collusi vicini al reggente del momento, investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500.000 euro.
A testimonianza della significatività degli interessi in campo, nel corso delle indagini sono stati monitorati gli esiti di diversi summit mafiosi, cui hanno partecipato anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione dell’investimento di 500 mila euro.
Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da imprese – formalmente intestate a prestanomi compiacenti tra i quali Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo – che complessivamente nel tempo sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
La rilevante capacità economica sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19.
di Redazione – EmmeReports