“Ma io non sono fascista”, risponde, ridendo, il sindaco Roberto Lagalla ad un giovane con un’aderente tutina color carne prima della partenza del lungo corteo del Palermo Pride. Una provocazione dovuta alla querelle a distanza tra il vice-sindaco Carolina Varchi e il primo cittadino sul patrocinio del Palermo Pride 2023. “Saremmo nel medioevo se pensassimo di essere contro gli omosessuali. Palermo da sempre una città aperta a tutte le sensibilità che devono essere rispettate anche quando i pareri o le posizioni possono essere diverse Il vice sindaco propone una posizione di partito che io rispetto ma altrettanto vero che è una coalizione è fatta da più partiti. Qua si prescinde da impegni o vincoli politici, perché sono situazioni che attengono alla vita personale. La libertà deve essere l’elemento caratterizzante”. Polemica prevedibile dopo la proposta di legge di Fratelli d’Italia per rendere l’utero in affitto un reato universale, ovvero punibile in Italia anche se commesso all’estero, presentata nel 2018, ma finora rimasta chiusa nei cassetti di Montecitorio.
“La maternità surrogata è la forma di schiavitù del terzo millennio, che umilia il corpo delle donne e trasforma i bambini in una merce”, aveva scritto su Facebook il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
“Prendo nettamente le distanze dal patrocinio concesso al corteo del pride ed alle manifestazioni collaterali che si svolgeranno a Palermo”, ha dichiarato il vice sindaco Carolina Varchi prima dell’inizio della parata LGBTQIA+. “Non ha alcun senso concedere questi patrocini a manifestazioni che hanno una chiara connotazione politico-ideologica e che, schierandosi apertamente contro il Governo nazionale e, più in particolare, difendendo la pratica aberrante della surrogazione di maternità, attaccano apertamente una proposta di legge che già dalla scorsa legislatura come Fratelli d’Italia portiamo avanti e della quale, peraltro, io sono prima firmataria e relatrice in Parlamento. Finché ci saremo noi al Governo la ‘rabbia’ e il ‘conflitto’ propugnati dagli organizzatori della manifestazione, saranno destinati a rimanere parole al vento e nessuna istanza, dalle trascrizioni allo sdoganamento della surrogazione di maternità, troverà accoglimento”.
Le parole della Varchi hanno vivacizzato una giornata nata per ricordare i moti di Stonewall Inn del 1969. Come si legge su GAYLYPLANET, la storia del Gay Pride mette le sue radici negli anni ’60 negli Stati Uniti, quando era frequente che i poliziotti organizzassero delle retate nei locali gay picchiando, arrestando e minacciando i membri della comunità LGBTQ+ che erano lì solo per divertirsi. Decenni di oppressione furono la miccia che fece accendere la prima rivolta.
Era la notte del 27 giugno del 1969 e un gruppo di poliziotti fece irruzione nel club gay Stonewall Inn di New York. Per la prima volta la comunità LGBTQ+ non rimase a guardare e decise di rispondere alle manganellate con altrettanta violenza. Leggenda vuole che fu Sylvia Rivera a scagliare il primo colpo levandosi la scarpa col tacco e lanciandola contro un poliziotto. Il primo giorno i poliziotti furono 10, ma si ritrovarono a dover lottare contro almeno 500 persone tra i frequentatori dello Stonewall Inn e altre persone della comunità LGBTQ+ che corsero in aiuto. Il secondo giorno di scontri la polizia schierò anche l’unità utilizzata per gli scontri sulla guerra in Vietnam, ma si ritrovarono almeno 1000 persone contro e in prima linea una fila di drag queen pronte a deriderli con uno slogan pensato proprio per loro: “We are the Stonewall girls. We wear our hair in curls We wear no underwear. We show our pubic hair. We wear our dungarees. Above our nelly knees!”. Per tutti i giorni a seguire la comunità gay decise di scendere in strada mostrando a tutti che loro esistevano e che era finito il tempo di nascondersi. Lo slogan era uno ed era chiarissimo: “Say it clear, say it loud. Gay is good, gay is proud”.
Esattamente un anno dopo, in memoria dei moti di Stonewall, fu organizzato il primo Gay Pride a New York, inizialmente chiamato Christopher Street Liberation Day March. Durante questa marcia i partecipanti scesero in strada indossando i vestiti più sgargianti, slip e costumi da bagno. Le transessuali e i travestiti potevano finalmente passeggiare in strada con i costumi a loro più consoni e senza avere paura. Questa marcia serviva a dire in modo inequivocabile che le regole sociali erano regole di repressione e che nessuno aveva più voglia di seguirle. Sempre quello stesso anno furono organizzate altre manifestazioni a Chicago, San Francisco e Los Angeles. E fu proprio Los Angeles la prima città ad ottenere che la strada in cui sarebbe avvenuta la manifestazione fosse transennata così da organizzare una vera e propria parata.
La festa del Palermo Pride, iniziata alle 15.30 e finita intorno alle 01 di notte presso i Cantieri Culturali della Zisa, è durata circa 10 ore, forse più del tentativo di colpo di stato in Russia. Chi si è divertito di più? Lasciamo a voi la risposta.
Di Francesco Militello Mirto e Victoria Herranz – EmmeReports