Sono passati 120 anni da quando, nel 1903, venne fondata la Polizia Scientifica e istituito il primo corso in materia, che faceva seguito a un ciclo di conferenze organizzato l’anno precedente e destinato a 35 funzionari di polizia. A formarli e a firmare i certificati che attestavano il superamento del corso, era il professor Salvatore Ottolenghi, medico legale e allievo di Cesare Lombroso, considerato il padre della criminologia moderna. A lui viene riconosciuto l’indiscusso merito di aver compreso il bisogno dell’utilizzo di nuovi metodi di identificazione personale, che fossero oggettivamente più validi di quelli al tempo utilizzati.
“La scientifica è fondamentale in tutta l’attività investigativa perché ha mutato la natura dell’attività di polizia, portandola da una ricerca inquisitoria e quindi con tutti i metodi che potevano anche essere retaggio di un sistema arcaico di ricerca della verità, a un metodo scientifico e quindi a qualcosa che si avvicina molto all’obiettività”, ha dichiarato il Questore Leopoldo Laricchia, intervenuto al convegno per celebrare i 120 anni della Polizia Scientifica presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo.
“La scienza non vuole dare verità, ma costruisce sempre ipotesi che abbiano un fondamento logico, che sono tutte ipotesi che possono essere naturalmente superate e falsificate da ulteriori ipotesi migliori. Però questo è fondamentale e si inserisce nel cambiamento della prospettiva del processo penale italiano. Avviene nel 1988 con il codice Vassalli che entra in vigore nel 1989 che il processo si trasforma da inquisitorio ad accusatorio, dove due tesi si confrontano nella parità d’armi, tra difesa e accusa. La tesi della accusa che deve essere costruita e fondata su ipotesi scientifica e quella della difesa che tende a falsificare la tesi dell’accusa e a sua volta deve cercare di essere costruita su basi scientifiche. Quindi la dialettica processuale porta al convincimento del giudice che si convincerà di quella che è la tesi che ritiene e si dimostra veritiera, quindi più aderente alla verità dei fatti”.
La Polizia Scientifica moderna è formata da figure professionali altamente specializzate, come gli investigatori, i biologi, i chimici e i fisici, insostituibili nell’attività di un sopralluogo, poiché dispongono di quelle competenze interdisciplinari e multidisciplinari necessarie a chi è chiamato a operare sulla scena del crimine.
“L’attività che segue la scoperta di un fatto delittuoso prevede l’intervento di persone esperti per raccogliere tutti quegli elementi necessari per ricostruire la dinamica del fatto delittuoso, cristallizzare la scena del crimine e raccogliere tutti quegli elementi che poi all’interno dei laboratori possono essere utili per dare riscontro alle indagini o a diverse ipotesi investigative”, ha spiegato la Dottoressa Paola Di Simone, Direttore Tecnico Superiore della Polizia Scientifica di Palermo.
L’esame della scena del crimine, ovvero lo spazio fisico nel quale viene consumato un reato e i luoghi ad essa riconducibili, viene comunemente indicato con il termine di sopralluogo e rappresenta un’attività fondamentale per ogni indagine di polizia. Il sopralluogo di polizia scientifica può essere definito come quel complesso di attività a carattere scientifico che ha come fine la conservazione dello stato dei luoghi, la ricerca e l’assicurazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato, utili per l’identificazione del colpevole o della vittima, nonché per la compiuta ricostruzione della dinamica dell’evento e per l’accertamento delle circostanze in cui esso si è realizzato, anche in relazione alla verifica del modus operandi dell’autore del reato.
Il sopralluogo rappresenta il momento in cui lo specialista della polizia scientifica, a stretto contatto con l’investigatore, fissa i luoghi e le cose pertinenti al reato in modo tale da raccogliere e documentare tutti gli elementi ritenuti utili alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole, anche attraverso lo svolgimento dei successivi accertamenti di natura tecnica. Una volta individuate, esaltate e acquisite le tracce del reato, esse devono essere conservate in modo da garantire l’autenticità delle successive analisi di laboratorio, assicurando la cosiddetta “catena di custodia”, che rappresenta la possibilità di risalire, sulla base dei verbali delle attività compiute, a tutti gli operatori intervenuti nella raccolta, sigillatura, trasporto e consegna dei reperti al responsabile del laboratorio, al fine di assicurarne l’integrità.
“La Polizia Scientifica si fonda nella perfetta fusione di due anime, quella scientifica e quella ispirata al diritto”, ha affermato la Dottoressa Di Simone. “La genetica forense è una scienza al servizio della Giustizia, ma non sempre fornisce elementi probanti. Di fatto, sebbene questa scienza fornisca degli elementi di elevatissima probabilità che poi a livello giuridico si trasformano a livello giuridico in certezza, ha una zona di nebulosità che non sempre porta a risultati che possano configurarsi come certezza scientifica”.
Ciascuno di noi ha un profilo genetico diverso da tutti gli altri individui e il DNA è sempre presente in ogni cellula del nostro corpo. L’analisi dei mozziconi refertati sul luogo della Strage di Capaci, dove morirono Giovanni Falcone e i poliziotti della sua scorta, rappresenta un punto di inizio per i laboratori della scientifica per quanto riguarda l’analisi del DNA. Una svolta storica nelle indagini di polizia, che è stata citata anche nella celebre serie tv NCIS.
“Non sempre le tracce biologiche sono rilevabili e visibili, a volte è necessario esaltarle o rivelarle attraverso metodi che riescano ad evidenziare quelle latenti e lo facciamo attraverso l’uso di metodi fisici, come le lampade a luce ultravioletta o, nel caso delle tracce ematiche, con metodi chimici, come il luminol”, ha spiegato il Direttore Tecnico Superiore della Polizia di Stato. “All’interno dei laboratori le attività che svolgiamo sono soprattutto nell’ambito dei procedimenti penali, quando ci arrivano inchieste dalla Procura. Il DNA ci offre la possibilità di svolgere test di paternità, di identificare persone scomparse o cadaveri. Per quanto riguarda gli accertamenti di genetica forense che ogni traccia biologica è potenzialmente utile per ottenere un profilo genetico”.
“Ma non è tutto così semplice, perché gli accertamenti che svolgiamo seguono sopralluoghi e richieste estremamente complesse”, ha continuato la Dottoressa Di Simone. “Non sempre la quantità e la qualità del DNA è sufficiente per ottenere un profilo genetico utile a fini comparativi, quindi non sempre fornisce quella certezza identificativa nei casi più complessi”.
Nei laboratori della scientifica si svolge un’attività preliminare finalizzata alla determinazione della tipologia di traccia che è sotto esame. “Nel caso di un furto, laddove la squadra vada a refertare un frammento di vetro interessato da presunte sostanze ematiche, laddove ci sarà un riscontro con un eventuale indagato, l’attribuzione di quella traccia ematica all’indagato servirà a contestualizzare il fatto delittuoso a quella determinata persona”, ha aggiunto la Di Simone. “Così come nel caso di lesioni o omicidio, dove un coltello presenta sul manico cellule di sfaldamento dell’indagato e sulla lama il sangue della vittima, certamente costituisce un elemento probatorio di una certa rilevanza anche rispetto all’azione criminale”.
Nei reati di violenze sessuali, il liquido seminale trovato sugli indumenti della vittima, rappresenta un’unione di tracce biologiche della vittima e del suo aggressore. Nonostante questo possa dare evidenza al fatto che si sia consumato un atto sessuale, tuttavia non è possibile configurare un abuso o una violenza, perché l’evidenza genetica non consente di tradursi in un’informazione che riguarda l’azione.
Come ha spiegato il dirigente della Polizia Scientifica di Palermo, “esistono delle informazioni che il riscontro genetico non riesce a fornire. Non è possibile datare nell’arco di tempo breve quando una traccia biologica si è depositata su un substrato. Oppure laddove il risultato di una matrice biologica sia di un profilo genetico misto, quindi ascrivibile alla commistione di profili di più persone, non è possibile stabilire in quale ordine quei profili si siano depositati sul quel determinato substrato”.
Quando vengono svolte indagini sulla criminalità organizzata, i reperti analizzati sono soprattutto armi, guanti in lattice, coltelli e giubbotti. “Nell’ambito delle indagini contro la mafia, il laboratorio di Palermo è stato impegnato per l’analisi dei reperti trovati nel covo di Bernardo Provenzano, per avare conferma delle coperture della sua latitanza, confrontando il campione refertato a Marsiglia quando andò ad operarsi”, ha raccontato la Dottoressa Di Simone.
La Polizia di Stato, nell’ambito di identificazione umana durante disastri di massa, è stata per la prima volta impiegata con un suo team, nell’identificazione delle vittime dello Tsunami del 26 dicembre 2004 che provocò più di 230.000 morti tra cui 40 italiani. Da quel tragico evento, la Polizia Scientifica ha un suo gruppo altamente specializzato e pronto a intervenire per identificare le vittime di un disastro di massa.
La Polizia Scientifica ha chiuso il convegno per ricordare i 120 anni dalla nascita, parlando di impronte digitali e, soprattutto, di riconoscimento facciale, in ambito investigativo, forense e nel processo penale.
“Il SARI è uno strumento investigativo a disposizione delle forze di polizia per poter ricercare l’identità di un volto ignoto all’interno della banca dati AFIS dei soggetti fotosegnalati”, ha spiegato il Direttore Tecnico Capo della Polizia di Stato Dottor Giovanni Tessitore. “È bene sottolineare che il sistema non fornisce mai una decisione automatica, come quella che si vede nei film, ma una lista di possibili candidati, nel caso di specie 50 volti maggiormente somiglianti. La lista dei soggetti candidati viene analizzata da un operatore che ha avuto adeguata formazione per la ricerca di possibili corrispondenze. In ogni caso l’eventuale riscontro può essere usato solo a scopo investigativo mentre per un’utilizzabilità forense c’è sempre bisogno di un ulteriore accertamento tecnico, chiamato confronto fisionomico, che viene effettuato manualmente da un operatore specializzato della Polizia Scientifica secondo una metodologia riconosciuta da standard internazionali”.
“Gli algoritmi di riconoscimento facciale utilizzati dai sistemi come il SARI sono sempre più performanti ed hanno avuto un enorme evoluzione negli ultimi anni consentendo una ricerca sempre più accurata”, ha continuato il Dottor Tessitore. “Va infine sottolineato che il SARI lavora esclusivamente sulla banca dati AFIS dei soggetti fotosegnalati e non ha alcun collegamento con i sistemi di videosorveglianza le cui immagini posso essere utilizzare solo ex post dopo essere state estratte manualmente per esempio a seguito di una commissione di un reato”.
Alla due giorni hanno partecipato anche alcuni studenti della facoltà, tra cui Carlotta Ciulla che frequenta il quarto anno e che, nel suo futuro, si immagina con il camice bianco mentre lavora in un laboratorio della Polizia Scientifica.
“Mi piacerebbe entrare nella Polizia Scientifica, perché sono sempre stata molto interessata alle attività investigative”, ha affermato Carlotta. “Mi ha incuriosito soprattutto il dibattito sul riconoscimento facciale. Mi spaventa un po’ l’Intelligenza Artificiale, non solo le immagini che vengono riprodotte, ma anche la riproduzione delle voci di cantanti. L’abuso o l’uso scorretto può generare conseguenze anche disastrose. Sicuramente il fatto che l’AI sia a portata di tutti e non di soggetti che lo usano per fini scientifici e di indagine come per la Polizia, è il rischio più grande. L’Intelligenza Artificiale è un po’ come un animale che tutti possiamo tenere in casa e che possiamo accarezzare, ma potenzialmente pericoloso”.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports