Quella in atto nel mediterraneo è una guerra tra poveri, come le vittime del naufragio di Cutro, un conflitto dove si lucra sulla pelle delle persone che sono diventate merce di scambio per scopi politici ed economici. Il fenomeno dei flussi migratori sembra non trovare una soluzione definitiva, perché è come una coperta troppo corta, che viene tirata da destra a sinistra e che non riesce a coprire nessuno.
Associazioni, sindacati e partiti politici di sinistra sono scesi in strada sabato pomeriggio, per ricordare le vittime di Cutro e invitare le Istituzioni a promuovere azioni di prevenzioni e di soccorso in mare. Pochi i rappresentati delle comunità straniere di Palermo che, invece, avevano partecipato alla protesta contro l’amministrazione comunale, per chiedere la residenza e altri diritti.
“La Cgil Palermo sostiene fortemente tutte le iniziative di mobilitazione per chiedere che tragedie come quelle di Cutro non debbano mai più ripetersi”, hanno dichiarato il segretario generale CGIL Palermo, Mario Ridulfo e la responsabile del coordinamento donne CGIL Palermo Enza Pisa. “É necessario sensibilizzare le cittadine e i cittadini, ma soprattutto le Istituzioni preposte, a non girarsi dall’altra parte, a garantire i salvataggi e l’accoglienza di chi scappa dai luoghi di tortura e di guerra. Rivendichiamo il diritto e le tutele legate alla libertà di movimento dei popoli. E per questo vogliamo dei corridori umanitari strutturati, capillari e stabili. Chiediamo a gran voce che vengano eliminate e superate quelle normative che impediscono vie di accesso sicure e legali all’Europa. Vogliamo un’Italia e un’Europa dove la solidarietà e la giustizia tornino ad essere valori per cui le istituzioni si spendano”.
Tra le richieste delle sigle che hanno aderito alla manifestazione di Palermo, l’attivazione di un sistema europeo e nazionale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, lo smantellamento degli accordi di collaborazione con Paesi terzi finalizzati a favorire il rimpatrio forzato, l’apertura di un’indagine che faccia chiarezza sulle responsabilità della tragedia nel Mar Jonio. “Chiediamo l’interruzione immediata delle violenze, violazioni e crimini di Stato che hanno luogo lungo i confini d’Europa, dalla rotta balcanica, al Mar Egeo, al Mediterraneo Centrale, fino alle enclave di Ceuta e Melilla e alle rotte via mare verso la Spagna”, si legge nel comunicato stampa inviato prima nei giorni scorsi dagli organizzatori del corteo.
Con il recupero del cadavere di un uomo di circa 40 anni, si legge in un’agenzia dell’ANSA di undici ore fa, il bilancio delle vittime del naufragio di Cutro sale a 87. La magistratura crotonese indaga sull’ennesima strage del mare, avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, sulla costa ionica calabrese, per conoscere con oggettiva certezza le cause del naufragio e le eventuali responsabilità. Gli attivisti di AlarmPhone e SeaWatch, scesi in strada per portare la loro testimonianza, hanno dichiarato diverse volte di non volere assolutamente puntare il dito contro la Guardia Costiera Italiana, considerata “la migliore al mondo”.
“In questi giorni ovviamente la polemica è stata ridotta a una guerra tra ONG e Guardia Costiera, ma non ci stiamo, non è così assolutamente”, ha spiegato Giorgia Linardi, portavoce di SeaWatch. “Noi abbiamo imparato dalla Guardia Costiera a soccorrere. Ho fatto il mio primo soccorso nel settembre 2015 e fu proprio la Guardia Costiera a chiamarci al telefono, a dirci ‘SeaWatch per favore andate a verificare la posizione di questo barcone in difficoltà’, che si trovava, non a 100, ma a 20 miglia dalla costa libica. E la Guardia Costiera ci chiese di andare lì e poi ci raggiunse con una sua nave, per trasbordare queste persone”.
“Quindi è evidente che a fronte di un quadro normativo internazionale invariato, questo Stato sta producendo leggi e politiche che calpestano l’obbligo di soccorrere le persone in mare e, anzi, lo sta di fatto facendo diventare un crimine, mentre l’omissione di soccorso, di fatto, è diventata prassi, è stata istituzionalizzata, quindi è molto importante definire qual è il bersaglio della nostra denuncia, che non è la Guardia Costiera, ma è il Governo, i Governi precedenti e le scelte politiche che sono state fatte dall’accordo italo-libico del 2017 ad oggi”.
Sabato 11 marzo, appena due settimane dopo il naufragio al largo delle coste italiane, un’altra imbarcazione con 47 persone a bordo, è affondata secondo quanto si legge nel sito di AlarmPhone “in acque internazionali all’interno della contesa zona di ricerca e salvataggio (SAR) della Libia”. Delle 47 persone a bordo, solo 17 sono sopravvissute grazie all’intervento di una nave mercantile. “La settimana scorsa, nel weekend tra l’11 e il 12 marzo, eravamo a Cutro per mostrare solidarietà alle vittime, ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime del naufragio”, ha raccontato la portavoce di SeaWatch. “Mentre eravamo lì il nostro equipaggio di volo di monitoraggio aereo, era in cielo e sorvolava quella che poi sarebbe stata un’altra tragedia nel Mediterraneo. La mattina dell’11 marzo eravamo sopra quel barchino che poi avrebbe contato altri trenta morti. Abbiamo avvisato tutte le autorità italiane, maltesi, libiche e mercantili in area, lo abbiamo fatto con tutti i mezzi, l’abbiamo fatto via radio, mandando email, telefonando, ma non è intervenuto nessuno”.
“Quest’altra tragedia si è verificata in quelle che sono state chiamate, in questi giorni, in maniera scorretta, acque libiche”, ha spiegato Giorgia Linardi. “Quelle sono acque internazionali, è vero che si trovava in quella che è definita la zona SAR libica, ma la zona SAR è un’area di responsabilità e non di giurisdizione. Tra l’altro il Diritto Internazionale e la Convenzione SAR, hanno un capitolo dedicato alla cooperazione tra stati, che dice chiaramente che se lo stato responsabile per quell’area non risponde, lo possono fare tranquillamente gli altri stati che sono informati e a conoscenza della situazione”.
“Quindi non è vero che non si poteva intervenire”, ha continuato la portavoce della ONG. “Quello che spiace, quello che addolora è vedere che nessuno si sia mosso e sapere che ci sono tante navi dello ONG bloccate nei porti, dalle leggi di questo e dei governi precedenti e che non lo hanno potuto fare, proprio per via di questo approccio ostativo, che vuole eliminare di fatto la presenza di testimoni scomodi nel Mediterraneo. Eppure noi in qualche modo eravamo lì. SeaWatch insieme ad AlarmPhone hanno cercato di fare quello che potevamo. AlarmPhone anche attraverso la sua linea telefonica che riceve le chiamate di aiuto, noi con il nostro aereo eravamo lì per cercare di fare qualcosa e per testimoniare. Se non ci fossero state queste due ONG, oggi non si sapeva nulla di altre 30 persone che, mentre Cutro restituiva i cadaveri di altre vittime, morivano nel Mediterraneo per l’inazione delle autorità”.
Di Francesco Militello Mirto e Victoria Herranz – EmmeReports