L’essere umano, per vivere pienamente il viaggio su questa terra, abbisogna di tornare a scrutare il cielo. Molte persone appaiono disorientate per la mancanza di riferimenti e, ancora di più, per una continua frammentazione interiore frutto di incessanti proposte illusorie che promettono l’elisir della felicità come un’immagine di successo che, alla fine, si riduce allo spot di un momento. Eppure siamo molto di più di una performance occasionale, più del plauso di molti che rimangono vicini solo per interesse, più della competizione legata ai possessi e alla pretesa di affermazione sull’altro.
Il valore del quotidiano non può essere ridotto al consenso altrui come accade per chi brama vivere di potere. Lo stesso Bernardo Provenzano, ad esempio, quando venne arrestato l’11 aprile 2006 si trovava in un povero casolare del corleonese, ultimo rifugio dopo quarantatré anni di latitanza. Anziché espatriare e vivere comodamente in qualche paradiso fiscale, aveva scelto di rimanere vivendo da pezzente, pur di mantenere il potere ed il controllo del territorio. Lui è prova che l’illusione della propria grandezza può condannare ad una vita meschina e priva di reale libertà.
Eppure un nuovo paradigma di vita sembra essersi fatto strada, maturato a partire dagli anni sessanta dal confronto tra la cultura americana e quella europea che, di fronte alla crisi dei valori cristiani, ha promosso la privatizzazione dell’esperienza religiosa. Il movimento New Age ha raccolto tale spinta frutto, anche, della delusione data dal mito tecnocratico che aveva schiavizzato l’individuo piuttosto che emanciparlo.
In alternativa, da un lato è stata propinata l’esperienza di leggerezza intesa come partecipazione impersonale all’energia cosmica, cioè un’immersione dell’io nel tutto senza più distinzione tra dentro-fuori; dall’altro si è diffuso un neopaganesimo basato su pratiche rituali volte ad ottenere favori e potere per soddisfare l’ambizione personale.
Quest’ultima descrive una forma di religiosità in cui l’individuo resta centrato su sé stesso, la preghiera e il culto offerti al divino diventano strumentali ad ottenere il proprio tornaconto senza una reale fiducia nel cielo. L’intento è quello di retribuire la divinità per sottometterla alle proprie richieste, dunque, una pseudo-spiritualità che contribuisce a reggere l’elevata ipocrisia narcisistica dell’uomo contemporaneo.
Un processo analogo, di fatto, è quello che esprime la religiosità del boss locale, il quale elargisce favori in cambio di amicizia e di consenso indiscusso su tutto e su tutti e che partecipa a processioni o a grandi liturgie, convinto che tale presenza possa esprimere, oltre al riconoscimento degli uomini, anche l’approvazione dall’Alto. Tale finzione scenica, in realtà, genera doppiezza e frammentazione di vita fino a coniugare, in un perfetto delirio, l’offerta sacra con lo sfruttamento e l’oppressione dei deboli.
All’interno di questo contesto, del tutto arbitrario, altri si propongono come guru capaci di sanare ogni male offrendo percorsi di guarigione e di felicità attraverso pratiche meditative con effetti psicofisici e bioenergetici a cui viene deputato valore salvifico. Il benessere, dunque, assume la connotazione di una nuova spiritualità che è traducibile nel culto di sé o in una fede cosmica sovente non curante del prossimo e sottomessa al santone di turno. In entrambi i casi, sia nell’esasperazione egocentrica che nella fusionalità dipendente, si raggiunge l’effetto di spersonalizzare l’individuo che viene privato della capacità di relazione autentica, quella in cui l’io e il tu si incontrano in un rapporto di reciproco riconoscimento.
L’individuo, in definitiva, è stato consegnato alla spinta del mercato dei consumi e alla ricerca di una emozionalità frizzante che, di fatto, contribuisce ad alimentare un cospicuo vuoto esistenziale e la conseguente ricerca di oggetti sempre più appaganti che lo allontano sempre di più dal cielo.
Alla luce di ciò si comprende come l’agire umano sia motivato da una spinta smisurata al bisogno e, di conseguenza, alla perdita di gusto e di desiderio. Secondo questa “didattica esistenziale”, di tipo quantitativo e non qualitativo, l’indipendenza individuale è stata intesa come occasionalità del vivere e cioè fragilità dei legami e delle scelte, come se l’individuo potesse simultaneamente riassumere molteplici direzioni di vita.
In nome dell’autonomia sono stati svalutati i legami a motivo del pregiudizio di fondo che ritiene libero chi non dipende. Scoprirsi interdipendenti, piuttosto, restituisce verità alla persona e ciò non significa assoggettamento o ricerca simbiotica, ma capacità di individuazione e di scelta, di definizione della propria diversità di fronte all’altro.
Ogni persona è opportunità e dono perché l’esistenza non è casuale o scontata e, ciascuno, porta una missione unica e irripetibile che non può essere replicata da altri. Siamo interdipendenti e abbiamo bisogno della presenza e della partecipazione altrui la cui assenza, altrimenti, lascerebbe un vuoto.
L’umanità attende sguardi che sappiano andare oltre le nebbie dell’individualismo, cuori capaci di perdono oltre le offese immeritate, mani che confezionano regali disinteressati e relazioni riconciliate perché grate dell’amicizia e dell’esserci in questo mondo. L’essere umano, per vivere pienamente il viaggio su questa terra, abbisogna di tornare a scrutare il Cielo.
Di Fratel Mauro Billetta – EmmeReports