Sono trascorsi trent’anni della strage di via D’Amelio, con cui la mafia assassinò il giudice Paolo Borsellino e i cinque poliziotti della sua scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Emanuela Loi e Eddie Walter Cosina. Una ricorrenza che è ancora viva nella mente dei palermitani onesti, dei poliziotti e dei familiari delle vittime di una carneficina annunciata, studiata da poteri occulti e che, purtroppo, non avrà mai giustizia. Nonostante questa consapevolezza e frustrazione, le donne e gli uomini delle Forze dell’Ordine, hanno continuato a onorare il sacrificio dei loro colleghi, lavorando, giorno dopo giorno, per tentare di contrastare la criminalità organizzata. E lo hanno fatto anche questa notte, arrestando nove persone accusate di associazione di stampo mafioso, estorsione ed intestazione fittizia di beni. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, coordinate dalla Procura della Repubblica – DDA, hanno consentito di delineare gli assetti, i ruoli e l’organigramma della mafia della Noce/Cruillas, che comprende le famiglie mafiose della Noce, Cruillas/Malaspina ed Altarello.
Le indagini che hanno fatto scattare il blitz di questa mattina e che sono iniziate dopo gli arresti di maggio, si sono concentrate sulla mafia di Altarello e sui rimanenti affiliati dell’intero mandamento, in particolar modo nei confronti di Pietro Tumminia, detto Pierone, ritenuto dal GIP una figura importante del clan e capo della famiglia mafiosa di Altarello. La remissione in libertà di Tumminia, avvenuta nel dicembre 2020, avrebbe consolidato gli equilibri ed i ruoli all’interno della famiglia mafiosa di Altarello, anche in ragione della compattezza e della solidità del legame esistente tra il boss e gli altri sodali. Pietro Tumminia, a pochi giorni dal suo ritorno a casa, avrebbe ostentato immediatamente il suo ruolo di capo della famiglia di Altarello, attraverso la gestione delle dinamiche criminali riguardanti il suo territorio, senza che detta autorità venisse posta in dubbio dagli altri sodali. Dal complesso dell’attività d’indagine, è emerso un quadro indiziario, accolto dal GIP di Palermo, in cui gli odierni destinatari dei provvedimenti di cattura sarebbero ritenuti coinvolti nella gestione di attività criminali esercitate all’interno del mandamento, con particolare riferimento alla riscossione del pizzo, in danno di esercenti di attività commerciali, artigiani ed imprenditori di zona, che, secondo quanto detto dagli inquirenti, erano costretti a chiedere ai clan, l’autorizzazione per avviare eventuali iniziative economiche all’interno della zona d’influenza della mandamento mafioso.
Tra gli indagati figura un insospettabile ed incensurato artigiano palermitano, rintracciato a Pantelleria, destinatario della misura degli arresti domiciliari, il quale, nonostante si occupasse della sua attività di falegname, di fatto sarebbe risultato un esattore del pizzo della mafia di Altarello. La Squadra Mobile, delegata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha eseguito il sequestro preventivo di un parcheggio a pagamento nel quartiere Noce che, secondo i gravi indizi acquisiti nelle indagini, risulterebbe riconducibile formalmente ad un prestanome, ma di fatto nella disponibilità dello stesso Tumminia.
“Penso che sia doveroso rendere Onore ai Caduti e farlo ogni giorno lavorando con le varie attività, con i vari servizi, con le operazioni come quella di oggi, con l’impegno costante della Questura e di tutta di tutta la Polizia di Stato” ha dichiarato il Capo della Polizia di Stato, Lamberto Giannini, a Palermo, per commemorare gli agenti di scorta uccisi in Via D’Amelio.
“L’operazione della Polizia di Stato che ha portato all’arresto di nove persone, tra le quali il boss di Altarello ed esponenti dei mandamenti di Noce e Cruillas, mette in luce ancora una volta come sia ancora forte l’influenza della mafia nel tessuto economico di alcune aree della città” ha dichiarato il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. “Decisiva risulta essere, in questo contesto, la costante attività di indagine della Direzione distrettuale antimafia, della Procura della Repubblica di Palermo e delle Forze dell’ordine, in questo caso della Squadra mobile della Questura di Palermo, che ringrazio per l’importante azione di repressione nei confronti della criminalità organizzata”.
Presso la Caserma Pietro Lungaro, per la cerimonia di commemorazione dei poliziotti uccisi il 19 luglio 1992, anche l’ex presidente del Senato e magistrato Pietro Grasso: “Trenta anni fa, Paolo Borsellino venne a trovarmi al Ministero della Giustizia, dove ero stato chiamato da Giovanni Falcone. Dopo la Strage di Capaci, una decina di giorni prima di quella di via D’Amelio, Paolo mi disse ‘sai Piero, ho saputo che è arrivato l’esplosivo anche per me e ci sono amici che mi dicono di abbandonare tutto e di lasciare Palermo, ma come posso abbandonare i cittadini che credono in me, che credono in noi? Io devo continuare’. Questo mi ha dato la consapevolezza e la coscienza, con cui lui è andato incontro al suo destino”.
“Tutta la mia vita da magistrato l’ho spesa per cercare la verità, perché le vittime hanno diritto alla verità” ha continuato Grasso. “Purtroppo alcune verità sono conservate nella mente e nella memoria di persone che non hanno mai dato il loro contributo alla Giustizia. Noi speriamo finché sono vive che possano avere una resipiscenza e aiutarci a costruire questa storia, perché non può finire così e deve essere accertato tutto il più presto possibile. Rispetto il dolore delle vittime e della famiglia di Borsellino, soprattutto sono vicino a Fiammetta, che sembra quasi isolata nelle sue denunce. Queste giornate sono di commemorazione collettiva, per far riflettere le persone, ma i familiari, quotidianamente, sentono la mancanza dei loro cari, comprendo quindi perché non vogliono partecipare alle cerimonie ufficiali, anche perché, spesso, c’è un’ipocrisia dietro persone che, magari, hanno contrastato è che oggi invece sono qui a celebrare”.
Il Capo della Polizia di Stato, Lamberto Giannini, ha affermato che è necessario lavorare ancora per fare luce sulla Strage di Via D’Amelio, che, a tale scopo, ci sono diversi uffici interessati e che non manca assolutamente l’impegno per cercare di avere tutte le risposte possibili.
“C’è ancora la mafia, ma c’è anche una Questura che lavora giorno dopo giorno, una Squadra Mobile che contrasta ogni tipo di attività, un Questore che ha la massima attenzione su questo genere di problematiche, perché in realtà la mafia c’è ancora e va combattuta, ma bisogna lavorare giorno per giorno, in silenzio, senza fare particolare pubblicità, l’importante è l’impegno quotidiano e la presenza sul territorio dello Stato” ha dichiarato Giannini.
“Giorni come questo ci devono far ricordare il sacrificio di magistrati e colleghi, un sacrificio che è un percorso di una lotta che è ancora lunga e che sicuramente ha vissuto momenti tragici, ma anche momenti esaltanti” ha aggiunto il Capo della Polizia. “La vera sconfitta sarebbe quella di ritenere che il problema sia passato. Ma le indagini che vengono fatte ogni giorno e i risultati che ci sono, testimoniano che il problema tuttora esiste, anche se con forme diverse, che merita la massima attenzione, doverosa per la Sicilia, per Palermo, ma in realtà, per tutta Italia, per onorare le persone che abbiamo perso, anche con la verità e il massimo impegno”.
La sentenza di Caltanissetta, secondo la famiglia Borsellino. ha messo una pietra tombale per l’arrivo di una verità giudiziaria e il compito della Polizia e delle Forze dell’Ordine, come ha spiegato Giannini, è sempre quello di lavorare per ricerca della verità e nuove prove. “Noi continuiamo a lavorare fin dove si ritiene che sia necessario, per avere altre risposte, l’impegno non cesserà. Ci dobbiamo concentrare, attraverso il lavoro dei nostri investigatori, nel proseguimento del lavoro, riguardando le varie attività, contrastando quello che sta accadendo adesso. Si sono scritte delle pagine anche a distanza di tempo. Magari si trova un nuovo elemento, una nuova testimonianza, che con il serio e costante lavoro degli investigatori, su determinati ambienti, ci faranno ottenere ancora risultati” ha concluso Giannini.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports