Sono tanti, troppi, i morti ammazzati dalla Mafia. Carabinieri, poliziotti, giornalisti, preti, donne e bambini, hanno perso la vita perché volevano, ognuno nel proprio ambito, contrastare la mentalità criminogena di Cosa Nostra. Un male difficile da estirpare, perché è dentro ognuno di noi. Chiedere un favore a qualcuno, per ottenere qualcosa è Mafia. Chiedere ad un amico di presentarci, per avere un servizio migliore o uno sconto è Mafia. Forse solo perché il semplice cittadino non riesce ad ottenere in maniera regolare quello che gli spetta per diritto.
Fra qualche giorno verranno da tutta Italia, per commemorare il trentennale delle stragi del 1992. Migliaia di attivisti e candidati alle imminenti elezioni amministrative e regionali, sventoleranno le loro bandiere, si batteranno la mano sul petto, affermando di essere contro la Mafia e approfitteranno per farsi notare da palermitani e media.
Ma bisogna comunque ricordare sempre i nostri Caduti. Lo dobbiamo ai loro figli, alle loro famiglie e ai loro colleghi che, oggi, continuano a combattere un nemico silenzioso, ma ancora molto pericoloso.
Caduti che sono stati ricordati in una mostra allestita presso il Teatro Massimo di Palermo, promossa dall’Arma dei Carabinieri e dalla Fondazione Falcone, che racconta la lotta alla Mafia, prima del maxiprocesso, le indagini svolte negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, quando ancora non erano arrivate le rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, che furono poi determinanti per il lavoro del pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
“É indispensabile estendere, proseguendo il cammino di legami sociali con le più giovani generazioni e gli studenti italiani, il nostro comune impegno a favore di ulteriori strumenti di promozione culturale dei valori costituzionali” ha affermato Maria Falcone. “Questo progetto di design sociale per la memoria è un passo in questa direzione, certamente capace di rafforzare tale prospettiva di pedagogia civile”.
La mostra, curata da Alessandro De Lisi e che sarà visitabile anche sul sito dell’Arma dei Carabinieri, saranno fruibili alcuni stralci dei rapporti giudiziari degli investigatori assassinati da Cosa Nostra, del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del Colonnello Giuseppe Russo, del Capitano Emanuele Basile, del Capitano Mario D’Aleo e del Maresciallo Vito Ievolella.
“Questa mostra ci restituisce l’eco di un periodo drammatico della storia di Palermo, nel quale tuttavia spiccano le brillanti luci di alcuni Carabinieri, servitori dello Stato, che hanno creduto, a prezzo della vita, nella vittoria definitiva della giustizia” ha scritto il Generale di Corpo d’Armata Teo Luzi, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, nell’introduzione alla mostra. “Assieme a colleghi di altre forze di polizia, magistrati, giornalisti, uomini delle Istituzioni e della sana società civile, sono stati pionieri e icone della lotta alla criminalità organizzata. Grazie alla loro intelligenza oggi possiamo parlare di Mafia con cognizione di causa, scevri di qualsivoglia reticenza”.
La mostra ripercorre anche le indagini del Capitano D’Aleo, che dopo l’omicidio Basile, svelò l’ascesa del giovane boss Giovanni Brusca. Il Maresciallo Ievolella aveva invece già scoperto le alleanze dei Corleonesi a Palermo.
“Questa iniziativa interpreta il prezioso lascito valoriale dei nostri martiri, confermando che la lotta antimafia si alimenta anche con la cultura, principale vettore dei valori di legalità, soprattutto tra i giovani, protagonisti delle nuove stagioni, i quali con orgoglio stanno restituendo a questa terra la luce, la bellezza e la dignità della sua gente” ha continuato il Generale Luzi. Un’opinione giusta, ma discutibile, visto che i mafiosi di oggi, sono pure laureati e frequentano gli ambienti della “Palermo bene”. Dimentichiamoci i mafiosi con la coppola.
Come ha detto il Generale di Brigata Giuseppe De Liso, comandante provinciale dei Carabinieri di Palermo, il 2022 “è l’anno delle cifre tonde, il quarantesimo anniversario della morte di Pio La Torre e del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il trentesimo anniversario delle stragi”.
“Pio La Torre ci lascia due cose importanti, la norma che ci consente di sequestrare i patrimoni e il vincolo associativo, ovvero la differenziazione tra un’organizzazione comune e un’organizzazione criminale” ha continuato De Liso. “Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo, subito dopo la morte di Pio La Torre. E il primo giorno del suo mandato, il primo maggio, fa un discorso alla Camera del Lavoro di Palermo, dove dice che il potere può essere un sostantivo, ma può essere anche un verbo”.
“I protagonisti della mostra di oggi, sono quei carabinieri che, negli anni ‘70 e ’80, quando nei salotti di Palermo ancora qualcuno diceva che la Mafia non esisteva, erano quelli che avevano capito, cercando di aggredire quei personaggi legati da quel vincolo di cui parlava Pio La Torre, per cercare di disattivare quel potere sostantivo di cui parlava Carlo Alberto Dalla Chiesa, affinché oggi tutti noi possiamo tranquillamente declinare il verbo potere in ogni forma e in ogni modo” ha aggiunto il Generale De Liso, spiegando che la Mafia si trasforma, ma rimane sempre legata alle proprie tradizioni.
“A Ciaculli, i Carabinieri hanno disarticolato un’organizzazione criminale legata ai principi rurali del passato, come lo sfruttamento delle acque, dove i mafiosi riuscivano a capitalizzare gli interessi dai terreni agricoli che stavano intorno, per cercare di investire nel settore delle acque delle produzioni” ha raccontato De Liso, concludendo che la criminalità organizzata, oggi, non disdegna quelli che sono gli interessi del traffico di sostanze stupefacenti e il gioco delle scommesse on-line.
A rievocare quella stagione di sangue, il racconto del giornalista Salvo Palazzolo che ha recuperato immagini e documenti in cui, l’allora Colonnello Dalla Chiesa, denunciava alla commissione parlamentare antimafia, il ruolo dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.
“Già nel 1971, parlava del suo tesoro” ha spiegato il cronista giudiziario di Repubblica, “Nel 1974, il Maggiore Russo indagava invece sul commercialista dei Corleonesi, Giuseppe Mandalari. Nel 1979, dopo l’omicidio del commissario Boris Giuliano, il Capitano Basile aveva compreso il ruolo di Antonino Gioè, uno dei mafiosi che poi faranno la strage di Capaci nel 1992”.
“Questa mostra è il racconto di quello che i nostri martiri avevano già scoperto. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel 1971 aveva capito che Vito Ciancimino era il personaggio più importante legato ai corleonesi e segnalava l’importanza del tesoro” ha spiegato Salvo Palazzolo a EmmeReports. “Nel 1979 il Capitano Emanuele Basile si occupava già di Antonino Gioè, che poi fu uno degli assassini di Giovanni Falcone e il Capitano Mario D’Aleo, nel 1983, indagava sul giovane Giovanni Brusca, che poi tu l’uomo che uccise il giudice. Ci sono storie del passato che vanno recuperate. Parole importanti anche per capire cosa la Mafia è diventata oggi. C’è una cosa che unisce le storie di oggi a quelle del passato, insieme alle fotografie de giornale L’Ora, il sorriso delle persone che vissero in anni terribili per Palermo, che non persero mai la speranza”.
“Io ho cominciato nel peggiore dei modi, nel 19 luglio del 92, quando collaboravo per una piccola emittente” ha continuato il giornalista di Repubblica. “Fui preso da un sentimento di paura e di sgomento, non sapevo come raccontare quella scena di guerra. Ho iniziato una lunga corsa in questi anni, ancora oggi ci sono cose, però, che non comprendo, perché i boss italo-americani siano ritornati a Palermo, perché Matteo Messina Denaro sia latitante, nonostante l’impegno delle Istituzioni”.
“La stampa ha pagato un prezzo molto alto in Sicilia, con otto giornalisti uccisi dai boss. C’è ancora tanto da raccontare e i giornalisti siciliani continuano a svolgere un ruolo importantissimo per guardare al futuro di Cosa Nostra. Oggi i mafiosi che si vogliono riprendere Palermo, hanno contatti e collegamenti col passato, con i boss italo-americani ritornati dopo la morte di Riina, molti scarcerati, su cui già il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Colonnello Giuseppe Russo, il Capitano Emanuele Basile, il Capitano Mario D’Aleo avevano fatto indagini, comprendendo che il tema vero era quello dei patrimoni. Ci sono ancora patrimoni non sequestrati, bisogna ritornare alla storia e alle indagini dei nostri martiri, credo, per comprendere quello che sta accadendo adesso”.
“La Magistratura ha svolto un ruolo importantissimo. Dopo le stragi, in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lo Stato ha dato un contributo importante, la Mafia delle stragi non c’è più. Pochi giorni fa, la Procura di Palermo, la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri, hanno fatto un blitz importante nei quartieri di Brancaccio e Ciaculli. Purtroppo fra gli arrestati, c’erano personaggi già noti. Credo che la magistratura vada sostenuta e la società civile debba stare vicina ai magistrati”
Salvo Palazzolo si è rivolto ad alcuni studenti presenti nel foyer del Teatro Massimo, dove è stata allestita la mostra che ripercorre il lavoro degli investigatori antimafia, dicendo loro quanto siano importanti le parole, che custodite per essere tramandate a chi verrà dopo di noi. Anche Maria Falcone si è rivolta agli studenti, nella speranza che il lavoro del fratello e dei suoi colleghi, non vada perso col tempo.
“Credo che del testamento morale di Giovanni resta tutto. Restano il suo testamento lavorativo, le sue esperienze di lavoro, le sue conoscenze nella lotta alla Mafia, la sua organizzazione per lottare contro la Mafia. Tutto questo è un patrimonio che ci ha lasciato e che, ancora dopo 30 anni, viene eseguito dai magistrati e dalle forze dell’ordine” ha dichiarato la Falcone.
“Ed io seguo anche un’altra idea fondamentale di Giovanni, quella che bisogna combattere la Mafia sul piano culturale e la fondazione Falcone da 30 anni vanno nelle scuole d’Italia, per dire quant’è importante combattere la Mafia e stare tutti dall’altra parte” ha continuato la sorella del giudice ucciso. “La Mafia ce la sta mettendo tutta, ma è silenziosa, per far credere che non esista più. Gli episodi di terrorismo, come quelli del 1992, sono il frutto dell’imbecillità di persone come Totò Riina, Provenzano e Bagarella e hanno fatto capire alla stessa Mafia, che quel modo di agire, era per loro dannosissimo e che, quindi, la via più importante era quella di restare in silenzio, di fare i loro affari in maniera coperta”.
“Questo è anche per certi versi molto più preoccupante, quindi noi dobbiamo continuare a parlare di Mafia nelle scuole, di chiedere alle nostre Istituzioni, di essere sempre presenti, perché il pericolo è sempre grande” ha spiegato Maria Falcone. “Non possiamo dire assolutamente di avere vinto. Abbiamo fatto tanto, grazie anche al patrimonio di notizie che ci hanno lasciato Giovanni e Paolo, siamo andati tanto avanti, però non abbiamo vinto e il pericolo è che la Mafia possa diventare di nuovo più forte, approfittando anche delle condizioni attuali, che si verranno a verificare dopo il Covid o dopo la guerra. Una cosa preoccupante, come lo è l’arrivo di capitali, che possono essere un grande aiuto per i mafiosi”.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports
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