In mostra allo Stand Florio un allestimento antologico di opere e oggetti dall’atelier del pittore siciliano Ignazio Cusimano Schifano, per un evento curato dal professor Vito Chiaramonte che così lo introduce: “Con La macchina dell’immaginazione, l’artista presenta, insieme ad alcuni dipinti recentissimi, una selezione dei lavori degli ultimi anni. La sfida è fornire una chiave di lettura complessiva della sua produzione attraverso i temi formali e figurativi ricorrenti: uno sguardo su un gruppo di opere che consente da una parte di entrare nei tempi e nei rituali dello studio dell’artista, dall’altra di aprire una prospettiva sulle urgenze che agitano la pittura contemporanea. Questa mostra ha l’ambizione di varcare la superficie dei dipinti per cercare le ragioni profonde della pittura e metterle in dialogo con il pubblico”.
Ignazio Schifano ha parlato molti linguaggi, senza identificarsi con nessuno di questi in particolare, senza sceglierlo per canone o modello. L’artista, nato a Palermo quindi in una realtà che è contemporaneamente radice, identità e superamento continuo degli stili che la storia ha sedimentato nella città, ha appreso prima di tutto la tecnica dell’arte. Si forma nel mondo del restauro e dell’antiquariato, diventando conservatore di affreschi e pitture murali per poi trasferirsi a Londra dove continua gli studi di arte pittorica e recupero del patrimonio culturale. La chiave di lettura della sua opera sta proprio in questo, nel relativismo dei linguaggi e nella perfetta padronanza delle tecniche che ha maturato nella professione di restauratore. L’importanza della conservazione, infatti, prescinde dai contenuti e dai valori trasmessi attraverso l’opera dei singoli artisti: non si opera selettivamente per empatia o scelta etica ma con l’assoluto rispetto della testimonianza, che giunge fino a noi e deve essere comunque tutelata.
Ignazio Schifano artista, e non restauratore, è quindi un maestro dalla pennellata veloce e sicura, capace di usare archetipi sviluppati da altri artisti in tempi e divenuti parte del suo patrimonio espressivo. Segni antropomorfi già riconosciuti nell’arte paleolitica ma ancora leggibili nei bronzi filiformi di scultori moderni, corpi accennati con pochi tratti nel telero veneziano si ripresentano sui vorticosi paesaggi barocchi; nei moduli del Seicento si alzano anonime palazzine di periferia figlie di un boom assetato di suolo e salute. In questi teatri del tempo appaiono burocrati e mestieranti, martiri e impiccati, giocolieri equilibristi e amanti infuocati. L’umanità scorre ed è sempre riconoscibile, la pittura a sua volta continuamente si rigenera mutando tecnica e stile senza mai tradire la capacità di emozionare chi la osserva.
Ignazio Schifano parte dalla propria esperienza individuale, dal tumulto della vita nella propria città per interrogarsi sull’umanità e sulla funzione dell’arte, sulla necessità di rappresentarsi e di lasciare traccia come ha ben spiegato lo psicanalista Anthony Molino: Schifano “articola, seppur in modo variegato, l’esperienza della sua sicilitudine. Il suo percorso muove da una figurazione centrata per molti anni attorno ad immagini iconiche della sua terra (come il carillon, la giostra, il mare e la dimensione isolana del proprio vissuto) per arrivare ad un irrequieto e vorticoso uso del colore, attraverso il quale l’artista spinge la sua ricerca non soltanto verso l’astrazione ma in direzione di una contemporanea universalità che trascende la terra delle sue origini.”
Anche il critico Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona, commentando una mostra romana, conferma il carattere universale della ricerca artistica di Ignazio Schifano in cui “si scorge l’incessante tentativo della descrizione delle emozioni contrastanti di un periodo storico che verte nel caos e nell’incertezza del domani, uno spaccato dell’odierno”. Proprio per questa capacità di padroneggiare i generi e gli stili senza farsi assoggettare dagli stessi l’arte di Ignazio Schifano ci porta a riflettere sulla motivazione ancestrale che spinge l’uomo, animale ludico, sociale, gregario, cinico, opportunista o essere straniato e disperatamente solo che cerca una ragione all’esistere, ad armarsi di pennello e a raccontare di sé e del proprio mondo.
La riflessione e la meditazione richiedono equilibrio, elementi su cui concentrarsi e altri, più quotidiani, che aiutino a sentire la presenza e l’umanità dell’artista. “Per questa ragione – conclude il Curatore – l’eleganza e il rigore dello spazio dello Stand Florio viene articolato in un percorso asimmetrico che, partendo dal tema classico dell’autoritratto, con una collocazione di dipinti ed oggetti tirati fuori dallo studio del pittore, esprime il senso di una ricerca mai chiusa, che non esclude possibilità. I lavori presentati attraversano trasversalmente i generi, dal disegno corsivo, alle tele senza figura, alle nature morte, ma attraversano anche le tecniche e i supporti, dalle tele, alle carte, alle carte antiche, dagli oli alle tempere, alle tecniche miste con inchiostri o vernici. La dinamica che lo spazio dello stand Florio istituisce con lo spazio proiettato dalle opere consente di scoprire una gamma espressiva sorprendente e, a un livello più profondo, di intravedere l’orizzonte riguardante il futuro della pittura e le sue possibilità”.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito