I piccoli, chissà perché, odiano i legumi e quando se li ritrovano fumanti nel piatto hanno un’espressione sconsolata negli occhi che esprimono una muta domanda, solitamente rivolta alla madre: “cos’ho fatto di male? Perché mi punisci con le lenticchie? In genere con queste inizia il rito di “iniziazione”. Le mamme si ostinano (ebbene sì, lo facevo anch’io!) a propinare i legumi perché… fanno bene! Contengono ferro, proteine, fibre e anche tanta… aria. Così i bambini non solo ingeriscono una quantità (per loro) spropositata di lenticchie, ma poi iniziano a contorcersi in una danza del ventre sulle note dell’aria… da legume. Nessun figlio, ahilui, sfuggirà alla madre armata di cucchiaio e piatto fumante dell’odiosa pietanza. Ma se i legumi, in generale, danno luogo allo storcere di deliziosi nasini, c’è qualcosa di ancora più terrificante: U maccu ri fave (il macco di fave).
Il maccu ri fave è una poltiglia densa, generata dall’interminabile cottura a fuoco lento delle fave secche, ma può essere preparato anche con altri legumi. Solitamente u maccu, più che dei piccoli, è il terrore gastronomico dai dieci anni fino alla maggiore età, ma con il trascorrere degli anni diviene qualcosa di estremamente gradito al palato “adulto”.
Per le classi più povere e i contadini rappresentava spesso il piatto unico che forniva un ottimo apporto proteico e un caldo ristoro dopo una giornata di lavoro. Viene chiamato anche maccu di S. Giuseppe poiché solitamente preparato in occasione della Festa del Santo, forse perché cibo umile e povero. Ideale da preparare anche durante la Quaresima, si può comunque preparare quando si vuole e ogni paese ha la sua variante.
La parola ”maccu” deriva dal latino e significa schiacciare. È un termine che si fa risalire a Maccus (dal greco maccuan, fare il cretino) un personaggio delle farse romane antenato, in un certo senso, dei servi poco perspicaci del ‘700, dediti solo a rimpinzarsi di cibi definiti grossolani.
La “materia prima” del macco sono le fave, ma quelle secche.
Pianta appartenente alla famiglia delle leguminose, la fava (Vicia Faba), è una coltivazione molto antica e nel corso dei secoli ha sempre rappresentato un elemento essenziale per l’alimentazione umana, poiché ricca di proteine e minerali. Ricche di azoto, le fave sono peraltro indispensabili nell’avvicendamento delle colture e spesso vengono gustate in compagnia, durante le prime scampagnate di primavera. A tale proposito mi torna in mente il ricordo di una delle tante giornate di pasquetta di molti anni orsono quando, con amici e parenti, ci si riuniva nella nostra villetta con un piccolo pezzo di terra alla cui coltivazione “amatoriale” si dedicava mio padre. Era uno spettacolo vedere quegli steli verde brillante con le infiorescenze bianche, macchiate di nero, e tutti quei baccelli leggermente vellutati al tatto. Dopo pranzo avveniva la tradizionale raccolta di fave cui partecipavo anch’io e che rappresentava un momento di conviviale allegria. Secondo una credenza popolare sembra che trovare sette fave in un baccello porti fortuna, ma nonostante mi mettessi d’impegno a “sgranarne” quantità spropositate, non è mai capitato che la Dea fortuna si togliesse la benda dagli occhi per indicarmi il baccello giusto.
La parola “fava” deriva dal latino faba la cui etimologia si può far risalire al verbo greco phago, “mangiare” e nel mondo antico era diffusa la convinzione che, per via delle lunghe radici che affondavano nel terreno, la pianta fosse un tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Secondo Pitagora e i suoi seguaci, oltretutto, i legumi erano la porta dell’Ade poiché la macchia nera dei loro fiori bianchi rappresentava la lettera “theta” con la quale iniziava la parola Thanatos, la morte. Sempre secondo la convinzione pitagorica, le anime potevano possedere un essere umano attraverso un altro “mezzo” di comunicazione, ovvero lo stelo privo di nodi della pianta.
Secondo Aristofane, invece, le fave erano il cibo preferito da Eracle.
Anche i Romani consumavano questo legume in abbondanza e i Fabi, una delle famiglie più importanti nella storia di Roma, presero il nome proprio dalla pianta (faba), così come da altri legumi (piselli, lenticchie, ceci) e nacquero i Pisoni, i Lentuli e in seuito i Ciceroni.
Essendo una pianta legata al culto dei morti, i romani consumavano le fave durante il silicernium, ovvero ilpasto del banchetto funebre.
I legumi venivano offerti anche a quelle divinità che rappresentavano la ciclicità annuale dei raccolti e una di esse era la Tacita Muta o Dea Tacita. Tacita era una naiade e in origine il suo nome era Lara, Lala o Larunda, divinità dell’oltretomba. Ogni anno veniva celebrata in suo onore la festa del silenzio che consisteva nel mettere, con tre dita, tre grani d’incenso sotto la porta e si legavano dei fili attorno a un fuso, il tutto tenendo in bocca sette fave nere. Veniva inoltre arrostita la testa di un piccolo pesce (animale muto per antonomasia) precedentemente cosparsa di pepe, irrorata con del vino e infine mangiata, accompagnandola con il vino rimasto. Secondo il mito greco Tacita suscitò l’ira di Zeus che le strappò la lingua riducendola al silenzio. Anche i romani nelle Feralie, giorno in cui si concludevano le Parentalie, ovvero le feste in cui si commemoravano i defunti, veniva eseguito un rito in onore della Dea Tacita Muta, molto simile a quello greco, infatti anche qui facevano la loro comparsa sette fave nere.
Un legume che ha attraversato i secoli, giungendo fino a noi con il suo sapore unico, da apprezzare fresco consumato semplicemente bollito, oppure con il soffritto di cipolle o ancora con la pasta. Ma quello del maccu è un gusto ancora più particolare e unico poiché le fave secche, una volta “rigenerate” dall’acqua che verrà totalmente assorbita durante la lenta cottura, daranno vita a una pietanza semplice ma gustosissima.
RICETTA DELMACCO DI FAVE PER 4 PERSONE
Ingredienti:
250 gr di fave secche decorticate
1 cipolla
Olio, sale e pepe q.b.
Alcune varianti prevedono anche l’aggiunta di carote e finocchietto selvatico.
Preparazione:
Le fave secche vanno lasciate in acqua fredda per una notte e, il giorno successivo, sciacquate abbondantemente. Fare dorare la cipolla, aggiungere le fave e acqua fino a coprirle. Lasciare cuocere a fuoco lento per circa 2h. Si otterrà un composto morbido, ma leggermente granuloso. Aggiungere olio EVO, pepe e servire.
Buon appetito!
di Monica Militello Mirto – EmmeReports