Galeotta fu quell’iscrizione graffita trovata su una delle pitture del Termopolio ancora intatto rinvenuto pochi giorni fa a Pompei che, sembra aver destato l’attenzione dei media, ancor più dell’eccellente scoperta archeologica.
A titolo di esempio cito una prima pagina con il titolo “Nel Termopolio di Pompei anche un’antica scritta ‘omofoba’”.
L’occasione mi è utile per spiegare in breve come si svolgeva la vita omosessuale nell’antica Roma, osservando insieme le fonti dirette ma anche le strumentalizzazioni politiche recenti.
Una delle affermazioni di uso più comune è che ai tempi dei romani l’omosessualità era totalmente libera e socialmente accettata senza regola alcuna.
In realtà non è esattamente così, perché se da un lato l’atto sessuale tra due persone dello stesso sesso non creava scandalo, dall’altro invece l’accettazione sociale dell’omosessualità era ben regolamentata ai fini di non andare contro la moralità pubblica e questo già da molto prima del Codice Teodosiano del 342. D.C.
In età repubblicana, ad esempio, l’accettazione pubblica di una persona omosessuale dipendeva direttamente dal ruolo di attivo o passivo che svolgeva. In pratica per essere socialmente accettato senza che si turbasse la morale comune, un omosessuale doveva avere il ruolo di attivo ed il proprio amante doveva essere di rango inferiore. Contrariamente, per la passività si era completamente inflessibili, visto che un omosessuale passivo veniva definito un “cinedo” (mollaccione) e per questo veniva deriso, perdendo la facoltà di votare e di rappresentarsi in un processo.
Per assicurarsi che questa morale venisse rispettata, venne istituita nella seconda metà del III secolo A.C. la Lex Scantinia che oltre a salvaguardare la morale, iniziò a dare i primi rudimenti per il reato di pederastia.
L’omosessualità era anche un mezzo malvisto e spesso utilizzato come mezzo di corruzione politica, tanto che nel II secolo A.C. Marco Porcio Catone (noto come Catone il Censore) evidenziò il decadentismo negli usi ellenici che stavano per inserirsi nella Roma repubblicana.
Sembra che fu capace di vedere avanti più di duemila anni, considerando che oggi abbiamo associazioni capaci di dettare l’agenda politica raggiungendo un peso politico forte tanto da far discutere una legge contro l’omitransfobia che include persino il reato d’opinione.
Assistiamo inoltre a versioni manipolate di alcune fonti dirette come quella riguardante le nozze di Nerone con Sporo citate da Svetonio.
Uno degli articoli più noti del 2011, poi riportato in seguito presso altri canali, è di gay.tv (vedi articolo) dove si afferma: “L’imperatore romano Nerone sposò un uomo di nome Sporo con una cerimonia pubblica con tutte le solennità di un matrimonio e visse con lui da coniuge”.
Vediamo quindi cosa afferma esattamente Svetonio in merito al matrimonio nel “De vita Caesarum”:
Suam quidem pudicitiam usque adeo prostituit, ut contaminatis paene omnibus membris novissime quasi genus lusus excogitaret, quo ferae pelle contectus emitteretur e cavea virorumque ac feminarum ad stipitem deligatorum inguina invaderet et, cum affatim desaevisset, conficeretur a Doryphoro liberto; cui etiam, sicut ipsi Sporus, ita ipse denupsit, voces quoque et heiulatus vim patientium virginum imitatus.
Che tradotto:
Prostituì la propria pudicizia (termine latino molto forte, stante a significare la morale sessuale e la rettitudine di un uomo) a tal punto che, esposte ad infamia tutte le parti del suo corpo, alla fine escogitò questo nuovo gioco erotico: ricoperto con una pelle di fiera, balzava fuori da una gabbia, avventandosi sugli organi sessuali di donne e uomini costretti ad un palo ed una volta saziatosi abbondantemente, si faceva possedere allo sfinimento dal liberto Doriforo; che egli aveva sposato assumendo la parte della moglie, così come Sporo aveva fatto con lui, imitando durante quelle nozze le grida ed i gemiti delle donne che vengono sverginate con violenza.
Da qui si deduce che Svetonio in realtà non fosse troppo contento delle nozze di Nerone con Sporo ed, in virtù di quanto detto in precedenza sull’utilizzo degli orientamenti sessuali per attaccare un avversario politico, lui stesso avrebbe attuato la massima delle pene della Lex Scantinia contro Nerone.
Non bisogna poi dimenticare che su Giulio Cesare che viene spesso menzionato con l’appellativo “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”, grava la relazione con Nicomede IV Re di Bitinia tanto che gli oppositori politici premevano sul suo femmineo omoerotismo.
Tra questi anche Cicerone, che interruppe Giulio Cesare durante una sua arringa in difesa della figlia dell’amante Nicomede, del quale egli stava enumerando i benefici ricevuti:
Remove istaec, oro te, quando notum est, et quid ille tibi et quid illi tute dederis.
Che tradotto:
Lascia stare quest’argomento, ti prego: è ben noto che cosa egli ha dato a te e che cosa tu a lui.
Altro fattore ovviamente sono le offese a sfondo sessuale e il ritrovamento di Pompei in realtà non è un caso isolato.
Nell’inverno del 41 a.C. il ventiduenne Ottaviano assediò la città di Perugia, che ospitava le truppe nemiche di Lucio Antonio e Fulvia, ovvero il fratello e la moglie del rivale Marco Antonio.
Nei pressi di Perugia sono stati rinvenuti numerosi “proiettili” di piombo scagliati dai frombolieri dei rispettivi eserciti. Su queste cosiddette “glandes Perusinae”, conservate al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, si possono ancora leggere gli insulti osceni che i soldati rivolgevano ai comandanti nemici.
Eccone alcuni esempi, scusandomi sicuramente per le volgarità ma riportando fedelmente quanto ritrovato:
“Cerco l’ano di Ottaviano”, “Beccati un fulmine!”, “Salve Ottaviano, tu lo succhi“, “Stai morendo di fame e cerchi di nasconderlo”, “A quel pelato di Lucio Antonio e a Fulvia, spalancate il deretano”, “Cerco il clitoride di Fulvia” e “Ottaviano, siediti sopra questo”.
Per concludere, mi è obbligo specificare che l’articolo non è un trattato contro l’omosessualità, ma un documento di carattere puramente storico e l’invito è sempre quello di rispettare gli orientamenti sessuali di ogni persona.
Invito anche a guardare alle fonti storiche in maniera “laica” senza condizionamenti ideologici di parte evitando così che un ritrovamento archeologico, dall’alto valore storico, possa essere sminuito a causa di chi strumentalizzando vuole vendere solfiti scadenti spacciandoli per vini d’autore.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports