Nel 2013, dopo un incidente stradale, si risveglia dal coma senza ricordare gli ultimi 12 anni della sua vita. Era convinto che fosse il 25 ottobre 2001. Dopo un lungo percorso di recupero, oggi è un medico in prima linea nella battaglia contro il Covid-19.
La storia del Dottor Pierdante Piccioni ha ispirato la fiction di Rai Uno “DOC – Nelle tue mani” con Luca Argentero. L’abbiamo intervistato durante la pausa pranzo di una lunghissima giornata di lavoro in ospedale.
Primario del pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore di Lodi e di quello di Codogno, due nosocomi purtroppo famosi in Italia a causa del Covid-19. Oggi si ritrova a Lodi in prima linea. Che situazione sanitaria c’è in questo momento?
Da qualche giorno ci sono meno arrivi al Pronto Soccorso e meno ricoverati in terapia intensiva e nell’ospedale in genere. Comunque anche se i numeri sono in calo noi però non possiamo abbassare la guardia!
Lei ha dato vita all’unità di Integrazione Ospedale Territorio e Appropriatezza della Cronicità. Ci spiega di cosa si tratta?
In pratica lo scopo è quello di creare percorsi personalizzati per ogni paziente quando deve essere dimesso dall’ospedale. Una squadra di medici, infermieri ed assistenti sociali che valutano in maniera olistica il paziente e trovano la strada migliore per lui ed i suoi familiari.
Trovandosi in trincea e avendo a che fare tutti i giorni con il dolore e la morte, cosa sente di dire a chi sottovaluta il rischio del contagio?
Che commette un errore clamoroso, potenzialmente mortale.
Siamo in una fase di uscita o ancora dobbiamo aspettarci altre vittime del virus?
Io ritengo che, nonostante abbiamo superato il famoso picco, avremo ancora morti e feriti.
La sua storia è molto particolare, tanto da ispirare una seguitissima fiction della RAI. Ci racconta come è andata veramente?
Nel maggio del 2013, ho avuto un terribile incidente sulla tangenziale di Pavia. Vengo quindi trasportato in ospedale. Due ore dopo l’impatto, mi risveglio dal coma, con un trauma cranico commotivo e diverse lesioni cerebrali che mi procurano un’amnesia di dodici anni. Dopo due anni di convalescenza, durante i quali ho ristudiato per tornare a fare il medico, rientro in ospedale come primario del Pronto Soccorso di Codogno. Dimessomi da primario, apro l’unità di Integrazione Ospedale Territorio e Appropriatezza della Cronicità.
Come ha recuperato la memoria di questi 12 anni?
Non ho mai recuperato un ricordo spontaneo. Solo ricordi restituiti da altri.
Quali sono state le difficoltà maggiori di re-inserimento nella sua vita sia umana che professionale?
Umanamente avere perso le emozioni di 12 anni Professionalmente avere perso 12 anni dello sviluppo tecnologico e scientifico.
Dalla sua esperienza e da alcuni episodi di DOC, abbiamo imparato che la malattia, quando non è grave al punto da mettere in pericolo la vita stessa, può essere una possibilità di nuova occasione, di cambiamento, di sfida. È stato così anche per Lei?
Assolutamente si. Il mio mantra è stato trasformare un problema in una risorsa!
Cosa rimpiange della sua “vecchia esistenza” e cosa apprezza di quella “nuova”?
Le emozioni che ho provato e nessuno mi potrà mai restituire. In quella nuova mi dicono tutti che sono un medico ed un uomo migliore. Questo è molto gratificante!
Torniamo a DOC e a Luca Argentero. È stato bravo ad interpretare il suo personaggio?
Bravissimo! Mi ha studiato bene ed è riuscito a trasmettere il messaggio che essere pazienti, per un medico ed un uomo, è un valore aggiunto.
Nella fiction i medici si trovano ad affrontare patologie diverse e degne di essere pubblicate sulle più importanti riviste scientifiche. È così anche nella realtà?
Assolutamente sì. I casi descritti sono ovviamente simbolici. Si tenga presente poi che davvero la realtà supera la fantasia. Anche in medicina.
È importante il lato umano o è preferibile un distacco tipo “tu sei il paziente, io il medico”, come dice Luca Argentero nella serie tv DOC?
Ovviamente è fondamentale il lato umano. Dopo la mia esperienza come paziente ho capito che questo aspetto per un medico è ancora più importante quando si deve curare un paziente.
Spesso i protagonisti sono molto coinvolti emotivamente dai casi. È veramente così, si instaura un transfert e controtransfert tra medico e paziente?
Assolutamente sì. Bisogna essere empatici ma equilibrati per rimanere lucidi. Altrimenti non si fa il bene del paziente.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports