Scrivere di Diego Armando Maradona è veramente complicato soprattutto per un “napoletano adottivo” che non smetterà mai di ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per quella “carta sporca” di cui “nisciuno se ne importa”.
A Maradona, nonostante fosse nato lontanissimo dalla terra del Vesuvio, di Napoli importava invece e anche molto. O meglio, a Diego importava dei napoletani con cui aveva stretto un legame “carnale” sin da quando, il 5 luglio 1984 risalendo i gradini dell’allora Stadio San Paolo, aveva palleggiato per qualche minuto davanti a 70mila partenopei, presentandosi così come il nuovo Re.
Per comprendere pienamente questo legame bisogna considerare il calcio non come un semplice sport, ma come una vera e propria religione che in Maradona ha visto un nuovo Messia venuto per “togliere dalla faccia dei napoletani i tanti schiaffi presi”… Calcisticamente e non solo.
Questo forte riconoscimento è sintetizzato nella strofa della celebre “La Mano de Dios”, cantata da Rodrigo, che recita: “llenó alegría en el pueblo, regó de gloria este suelo…” (seminò allegria nel popolo, annaffiò di gloria questa terra…”).
In poche parole ha semplicemente regalato gioia e serenità, riscattando però, e non solo sportivamente, una città del Sud del mondo come nessun altro uomo era sin ad allora riuscito a fare.
In queste ore le immagini scorrono e vedono un popolo intero in lacrime: un unico popolo che va dagli argentini del Boca (abbracciati ai rivali del River) sino agli scugnizzi dei vicoli di Napoli passando per tutti quei calciatori che, da compagni o da avversari, hanno avuto il privilegio di incontrarlo sui campi di gioco.
“Corretto, mai una provocazione verbale, mai una cattiveria di gioco” affermava nel 1981 il difensore Marco Tardelli che faticò non poco a contenere Maradona.
In queste ore il dibattito in rete è animato dagli anti-Maradona che, invano cercano di sminuire la sua grandezza, contando miseramente i difetti di un uomo che se ha sbagliato lo ha fatto solo verso sé stesso.
“Se invece di occuparsi degli scandali di Maradona o di altri ci si occupasse solo della bontà di personaggi come Scirea, sarebbe un mondo migliore” disse nel 1989 un Diego Armando Maradona anticipando quella risposta che andrebbe data a quanti, in questo momento, perdono tempo a “sottolineare” aneddoti che non hanno niente a che vedere con il mito che si sta onorando in tutto il mondo.
Aneddoti che possono anche essere veri (molti rimangono comunque opinabili come la questione con il Fisco italiano), ma il punto è che non possono trovare cittadinanza in un dibattito che rimane meramente calcistico.
E persino la droga in un dibattito riportato al calcio assume, pur sempre una connotazione negativa, ma solamente per Diego che senza la cocaina sarebbe stato persino più forte.
“Più forte di Gullit, Careca e Van Basten messi insieme” come disse nel 1990 Gianni Agnelli dall’alto di una Juventus fortissima allora come oggi che, dal proprio profilo Twitter omaggia il numero 10 napoletano con il noto goal subito su una punizione a due il 3 novembre 1985. Chapeau per Diego ma soprattutto per la sportività bianconera.
Per chi non mastica di calcio può sembrare scontato vedere due tifosi, rispettivamente del Boca Juniors e del River Plate, abbracciarsi per piangere la scomparsa di Diego. Dietro a quella immagine ci sta un messaggio la cui forza nessun presidente o politico ha mai potuto ottenere, ma Diego Armando Maradona, sì.
Tutto questo può anche significare poco per chi considera il calcio un semplice gioco “annaffiato” dai miliardi delle pubblicità. Ma occorre ricordare che stiamo parlando di un’altra epoca quando, ad esempio, giocare a “porte chiuse” veniva considerata una punizione e non, come adesso, una soluzione ai problemi.
“Giocare senza un pubblico è come giocare all’interno di un cimitero” affermava lo stesso Maradona il 16 settembre 1987, dopo la partita di Coppa dei Campioni che l’esordiente Napoli giocò in uno Stadio Bernabeu “a porte chiuse” per la squalifica della tifoseria del Real Madrid.
Sono sicuro che quel Maradona si sarebbe oggi rifiutato di giocare davanti agli spalti vuoti; non avrebbe mai permesso che lo spettacolo più bello del mondo potesse svilirsi per compiacere quattro magnati del calcio o per sconosciuti azionisti di squadre divenute S.p.A.
Ricordare il giocatore più forte di tutti i tempi è quindi ritornare all’essenza vera del calcio, quando la settimana calcistica veniva scandita dai calendari decisi dalla UEFA e non dalle esigenze delle multinazionali della pay tv.
Quando le partite la domenica le ascoltavi alla radio con “Tutto il calcio minuto per minuto” e aspettavi di vedere materializzare le prodezze di Maradona e Careca, che in quel momento avevi semplicemente ascoltato e immaginato, grazie a 90° Minuto.
di Antonio Melita – EmmeReports