Mohammed I. M. Althawabta nasce nella città di Beitrjala in Palestina, il 20 maggio 1989. Studia medicina presso l’Università de Il Cairo in Egitto. Attualmente lavora presso il Dipartimento Medico della Società Araba di Betlemme nell’Ospedale di riabilitazione. Anche lui come i suoi colleghi italiani e del mondo intero, è impegnato a fronteggiare la peste del 21° secolo, il Covid-19.
Lo abbiamo contattato via email e gli abbiamo chiesto com’è la situazione in Palestina.
Come è la situazione sanitaria a Betlemme?
La situazione a Betlemme fortunatamente è ancora sotto controllo e speriamo resti tale!
Quali sono i reali numeri del Covid-19 in Palestina?
Ad oggi abbiamo ufficialmente all’incirca 120 casi conclamati.
Che tipo di precauzioni avete preso per limitare il contagio?
Abbiamo limitato gli spostamenti tra città e villaggi, abbiamo adottato il distanziamento sociale, aumentato l’igiene delle mani, abbiamo messo in isolamento i casi sospetti e stiamo trattando i malati nella maniera adeguata.
Il personale medico è sufficiente o avreste bisogno di altro supporto?
Finora lo staff medico è sufficiente e tutto è sotto controllo.
Nell’ospedale dove lavori siete tutti palestinesi o avete personale israeliano o di altre nazioni?
No, solo medici, infermieri e operatori sanitari palestinesi.
Il governo palestinese vi sta fornendo tutto il supporto necessario per curare i malati?
Si certo! Ha anche costruito ospedali proprio per questa emergenza.
Se tu potessi parlare al governo israeliano o ai paesi occidentali cosa gli diresti o chiederesti?
Gli chiederei di dare ai dottori tutto ciò di cui necessitano il più presto possibile specialmente per proteggere lo staff medico che dovrà affrontare l’epidemia se i numeri dovessero crescere.
C’è posto per la paura, il timore di restare infettati quando si interviene su un paziente, di non essere in grado di salvare una persona?
La paura è insita negli uomini. C’è un grande rischio di essere infettati, perché molti dei pazienti qui non hanno sintomi e potrebbero venire all’ospedale per altre ragioni o come accompagnatori dei i loro parenti. Quindi, senza saperlo, potrebbero essere probabili vettori del virus!
Le vite umane, in questo particolare momento, sono nelle mani dei medici. Ti senti un eroe?
Sento che in questo momento è una mia responsabilità essere un eroe per il mio Paese, per aiutare le persone a liberarsi da questa catastrofe fatale.
Cosa speri nel tuo futuro e in quello del tuo Paese?
Spero nel futuro che tutti i Paesi, compreso il mio, siano al corrente dell’importanza dello sviluppo dei sistemi sanitari e costruiscano molti ospedali per situazioni come quella che si vive in questo momento.
Grazie Mohammed! Buon lavoro!
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports