Era una tiepida mattina di primavera e una bimba con grandi occhi neri, un po’ malinconici, stava seduta accanto alla sua elegantissima mamma mentre l’omnibus, trainato da possenti equini, attraversava le vie della città. Il mezzo, l’antenato dei nostri trasporti pubblici, si muoveva su linee ferrate chiamate ippovie. La piccolina, di tanto in tanto, urtava contro il fianco della madre quando quella sorta di grande carrozza svoltava, oscillando al cambio del binario e fu proprio a causa di uno di quei bruschi movimenti che alla bimba cadde sul vestitino un poco della farcitura del dolce che sbocconcellava durante il tragitto verso il centro città. Quella bimba si chiamava Ninfa Elena ed era mia nonna, mentre il dolce che mangiucchiava era una iris fritta.
L’iris, prelibatezza tutta palermitana, pur essendo dolce è inclusa tra i cibi dello street food della città e si è meritata il titolo di prodotto agroalimentare tradizionale italiano. All’impasto viene data una forma tondeggiante, panato e infine tuffato nell’olio bollente. Il risultato è una sorta di pagnottina dorata, croccante e morbida al tempo stesso che svela, solo dopo il primo morso, un dolcissimo segreto di ricotta e gocce di cioccolato. Impossibile non chiudere gli occhi mentre quel ripieno che si fonde con la morbidezza della pasta di brioches e la croccantezza della panatura pervade ogni fibra del palermitano goloso e di coloro che, visitando la nostra splendida città, si imbattono nella voluttuosa (vastasa diremmo noi) iris fritta.
Secondo alcuni scritti sembra che la capostipite sia nata in un convento e che l’impasto, modellato a forma di piccole rosette, venisse cotto al forno anziché fritto, ma per quanto riguarda l’iris fritta dobbiamo ringraziare il suo ideatore, ovvero il pasticciere Antonio Lo Verso, insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro da Vittorio Emanuele III. È il 1901 e all’interno dello splendido Teatro Massimo, vanto dei palermitani, il pubblico sta prendendo posto nella trepidante attesa di assistere alla prima dell’opera “Iris” di Mascagni. Fu proprio in quell’occasione che nella caffetteria del Cavaliere Lo Verso, sita allora in via Roma, nacque una dolce squisitezza unica e sempre più apprezzata dalla raffinata clientela dell’epoca. Il locale divenne uno dei più famosi della città e il Cavaliere, per suggellare l’inaspettato successo, chiamò Iris quel luogo di incontro tra eleganza e gusto. La sua caffetteria non esiste più e oggi fra cornetti con le creme più disparate, girelle stracolme di uvetta e raffinatissimi mignon, sempre più raramente troviamo quella bomba ipercalorica senza tempo.
L’iris fritta si adatta a ogni tipo di esigenza personale, possiamo infatti gustarla sia a colazione che a metà mattina, quando il languorino tendente alla fame ci trasforma nel Golosastro della girella che ingurgitava un numero spropositato dell’omonima merendina, in una pubblicità dei primi anni ’80. All’occorrenza è un ottimo antidepressivo il cui principio attivo è il cioccolato e può regalare anche momenti di ilarità. Quando anni fa i miei avevano una pasticceria e, ovviamente, l’iris fritta non mancava mai, mi ritrovavo spesso alla cassa ad osservare il locale e gli avventori. L’iris ha una particolarità, quando è molto calda la ricotta al suo interno è praticamente allo stato liquido, quindi occorre fare attenzione affinchè, morso dopo morso, non sfugga al nostro controllo e, nella migliore delle ipotesi, non cada sulla maglietta o sulla mano. Mi è capitato, in quest’ultimo caso, di vedere un cliente recuperare quel po’ di ricotta, ignominiosamente colata, con un repentino movimento dell’organo del gusto da fare invidia a un camaleonte quando cattura gli insetti.
Poi c’è il caso dell’inese fritta quando viene chiesto al banconista se “inese c’è” e il banconista educatamente risponde che in quel locale “Ines” non ci lavora. In alcune zone della città è più conosciuta come “inis” e in quel caso l’assonanza con il suo originale c’è. Scherzi a parte, ci si perde nell’iris fritta, dolce dal sapore unico che dall’elegante e omonima caffetteria ha viaggiato per più di un secolo, deliziando nel tempo i palati più esigenti. Intorno al 1970, in una tiepida giornata primaverile, quella delizia si fermò fra le mani di una bimba, con gli occhi castani un po’ malinconici, seduta su un autobus accanto una dolcissima donna che la guardava con immenso amore. La piccola, di tanto in tanto, urtava il fianco della donna, quando la vettura pubblica incontrava la discontinuità dell’asfalto e fu proprio a causa di uno di quei bruschi movimenti che le cadde sul vestitino un po’ di ricotta, ancora calda. Quella bimba ero io e la dolcissima donna accanto a me era nonna Elena che quel giorno mi fece assaggiare, per la prima volta, l’iris fritta. Una bontà antica dal gusto intramontabile che ancora oggi rievoca uno dei tanti dolcissimi ricordi che ho della mia amata nonna Elena.
INGREDIENTI
500 g di farina 00
250 ml di latte
50 g di strutto
50g di zucchero
25 g lievito di birra
1 uovo
un pizzico di sale
acqua q.b.
PER LA FARCITURA
400 g di ricotta
200 g di zucchero
100 g di gocce di cioccolato
½ bustina di vanillina
PER LA PANATURA
2 uova
Pangrattato q.b.
Un pizzico di sale
Olio di semi
PROCEDIMENTO
Amalgamare la farina, lo zucchero, il sale, lo strutto e il lievito di birra, sciolto in acqua tiepida. Impastare, aggiungendo il latte poco per volta e ottenere un impasto omogeneo. Aggiungere l’uovo e continuare a impastare. Coprire l’impasto con un panno, lasciando lievitare per un paio d’ore. Intanto lasciare sgocciolare la ricotta e perso il siero setacciarla e aggiungere lo zucchero, la vanillina e le gocce di cioccolato. Trascorse le 2 ore, stendere l’impasto, ricavare 12 dischetti da 1 cm di spessore e 6 cm circa di diametro. Mettere la ricotta su 6 dischetti, coprire con gli altri 6, sigillare i bordi e lasciare lievitare per altri 45-60 min circa. Infine passare le iris nelle uova insieme a un pizzico di sale, nel pangrattato e friggerle in abbondante olio caldo fino a ottenere una doratura omogenea.
Buon appetito!
Di Monica Militello Mirto – EmmeReports