Il cuore di Serena, una giovane donna di Palermo, ha smesso di battere in un dormitorio della città, a causa della sua dipendenza dal crack, la droga economica spacciata nel quartiere Albergheria.
Ricavato tramite processi chimici dalla cocaina e assunto inalandone il fumo, il crack provoca una quindicina di minuti di eccitazione, di scioltezza comunicativa, di disinibizione e vivacità. Ma passata l’euforia arriva il buio, causando diversi effetti indesiderati, come depressione, apatia, stati paranoici, nervosismo, insonnia, mancanza di appetito, disturbi della sfera sessuale e crisi d’ansia. L’assunzione di questa droga produce istinti violenti e spesso porta all’alienazione sociale. Un’overdose di crack (a quanto pare basterebbero 800 mg) provoca colpi di calore improvvisi, arresti respiratori e cardiaci, ictus, infarto, quindi la morte, come, probabilmente sarà accaduto anche a Serena, ricordata, nel pomeriggio durante un sit-in, che si è svolto a piazza Brunaccini, a Ballarò.
“Oggi è stato lanciato un messaggio molto chiaro”, ha dichiarato Lorenzo Capretta, marchigiano e attivista di Our Voice. “In questa piazza, in questo momento, in questo sit-in, il fatto che fossimo i soliti addetti ai lavori presenti, manifesta un chiaro segnale, quello della mancanza della presa di responsabilità da parte delle Istituzioni, da parte del Comune, della Regione, della Questura e del Prefetto, di non avere l’intenzione di voler affrontare questo fenomeno sociale in maniera funzionale, di fornire gli strumenti per far sì che ragazze, come quella che abbiamo ricordato oggi, potesse venirne fuori”.
Il 4 novembre scorso le strade dell’Albergheria erano state percorse da centinaia di persone che avevano aderito alla manifestazione contro lo spaccio e l’uso del crack, organizzata da S.O.S. Ballarò. “Dopo tutte le parole che sono state dette durante la manifestazione, non è cambiato nulla, è stato solamente creato un tavolo di lavoro tecnico a cui possono accedere solo le associazioni costituite da più di tre anni e che hanno un background aderente a delle attività con la tossicodipendenza”, ha continuato Lorenzo. “Ci aspettiamo che quelle promesse, quelle parole, che sono state dette dalle Istituzioni si compiano e si trasformano in fatti. Oggi non ci aspettavamo di stare qui, speravamo di non esserci”.
Secondo quanto affermato dal giovane attivista, mancano tutti i servizi necessari per le emergenze e le Istituzioni stanno delegando al terzo settore la presa in carico del fenomeno della tossicodipendenza. “Le associazioni non possono gestirlo da sole, perché non hanno le competenze, non hanno gli operatori specializzati, gli psicologi, gli psicoterapeuti e le risorse”, ha dichiarato Lorenzo.
A Palermo sono presenti tre SER.D, (Servizi per le Dipendenze), che sono i servizi pubblici del Sistema Sanitario Nazionale dedicati alla cura, alla prevenzione e alla riabilitazione delle persone che hanno problemi conseguenti all’abuso di sostanze stupefacenti (droghe o alcol). Secondo l’attivista di Our Voice, tre soli SER.D sarebbero insufficienti per affrontare il problema delle tossicodipendenze, in una città come Palermo, con oltre un milione di abitanti. “Non c’è proprio la volontà politica di assumersi la responsabilità di un fenomeno sociale che coinvolge tutti e tutte”, ha dichiarato Lorenzo. “Nei SER.D il personale è ridottissimo. Il primo che denuncia la situazione aberrante dei servizi sanitari è il responsabile di questi centri”.
Nino Rocca è un’insegnante in pensione che si occupa di problemi di carattere sociale. Per tre anni si è preso cura di una ragazza tossicodipendente. Dopo la sua morte a causa di un’overdose di crack, Nino ha deciso di dedicarsi anche ai problemi legati alla droga.
“Il crack è letale, si comincia con questa sostanza e poi si continua con l’eroina”, ha spiegato l’insegnante palermitano. “Abbiamo incontrato il sindaco e il vicesindaco per aprire un centro di accoglienza a bassa soglia in prossimità, una proposta che viene dal responsabile dei SER.D Giampaolo Spinnato, che possa accogliere i giovani tossicodipendenti e offrir loro un po’ di ristoro e aiuto in un momento per loro di grande disaggio. È un’accoglienza che si fa prima del SER.D e prima della comunità terapeutica. Un sistema che è stato già collaudato in altre città d’Italia e anche all’estero”.
Nino ha spiegato quanto sia difficile entrare in contatto con le famiglie dei tossicodipendenti, perché sono isolate, disperate e non sono in grado di aiutare i propri figli, quasi sempre ostinati nel continuare a drogarsi. “Il papà di Giulio, un ragazzo di 19 anni morto a causa della droga, è diventato uno dei protagonisti della lotta contro lo spaccio e l’uso delle sostanze stupefacenti”, ha continuato l’insegnante di Ballarò. “Speriamo, grazie alla sua testimonianza, di poter contattare altre famiglie, perché per coloro che hanno perso il proprio figlio o la propria figlia, strappare dalla strada altri giovani è il rimedio migliore ad una sofferenza e ad una ferita che non si rimargineranno più”.
Spesso lo spaccio di droga rappresenta una delle principali fonti di sostentamento per intere famiglie, i cui membri risultano molto attivi e partecipi al traffico delle sostanze stupefacenti, come nel caso delle trentanove persone arrestate, ieri mattina, nell’operazione condotta dai Carabinieri di Palermo nel quartiere Sperone. Una piazza di spaccio che avrebbe garantito profitti valutati nell’ordine di 1,8 milioni di euro su base annua, con oltre 500 cessioni giornaliere. Gli indagati operavano nei pressi del piazzale Ignazio Calona dove clienti, provenienti dall’intera provincia di Palermo, si recavano per acquistare dosi di crack, cocaina, hashish o marijuana.
Gli arrestati ricoprivano ruoli precisi nella fiorente attività di traffico di stupefacenti. C’era chi si occupava del rifornimento, chi dell’organizzazione della piazza di spaccio e chi raccoglieva i proventi con cadenza settimanale. Le donne collaboravano nella direzione delle attività criminali e nel tenere la contabilità degli introiti, occupandosi, talvolta, anche di custodire la droga. I pusher, operativi su strada, erano stati organizzati su turni di 12 ore, per garantire la piena attività, anche in orario notturno, della piazza di spaccio. Ciascuno aveva compiti ben definiti, per i quali era prevista una specifica retribuzione, 100 euro al giorno per gli spacciatori e 50 per le vedette.
Di Francesco Militello Mirto & Victoria Herranz – EmmeReports