Il nostro tempo abbisogna di parole rigenerative che esprimano modi di tessere relazioni e trame di umanità in cui a ciascuno è riconosciuta la partecipazione nel contrasto alla povertà educativa e nella progettualità che gli è propria. “Tutti sulla stessa barca” potrebbe essere assunto come lo slogan del fare educativo, dove tutti gli attori della Comunità educante si sentono interconnessi all’agire dell’altro. Se ci si pensa insieme, allora, gli stimoli faciliteranno processi di integrazione e la crescita delle nuove generazioni sarà accompagnata da una proposta molteplice e armonica.
Ci viene chiesta, oggi, una rinnovata assunzione di responsabilità per fronteggiare la precarietà esistenziale che affligge le nuove generazioni segnate da una diffusa povertà educativa e da un disinteresse per la vita politica e l’inserimento lavorativo. Papa Francesco, nel suo messaggio del 12 settembre del 2019, ha lanciato un appello che coinvolge non solo il mondo delle agenzie educative ma anche l’economia, la politica, la progettazione sociale, al fine di “siglare un patto per dare un’anima ai processi educativi formali e informali”.
Un’urgenza, si legge tra le righe del messaggio, che abbisogna di modalità nuove per sostare e per incontrarsi al fine di rispondere ai bisogni educativi del nostro tempo. Ritornare a mettere in semina parole di comunione per rispondere al desiderio di costruire comunità con gli altri, per condividere una speranza più grande rivolta alle nuove generazioni e, ancora, riflettere su come promuovere ricchezza educativa.
Rigenerare legami, per fare il bene è la grande sfida dei nostri giorni dove l’individualismo, funzionale all’economia dei consumi, cerca di sfaldare il tessuto territoriale e frammentare le singole individualità schiacciate costantemente sul piano del bisogno. È necessario entrare in ascolto profondo della fluidità del nostro tempo, per navigare verso processi di trasformazione che possano essere orientati dai valori e dalle esperienze che costituiscono un bagaglio culturale di profonda rilevanza al fine di favorire la crescita delle nuove generazioni.
L’educatore non può rimanere cristallizzato nei suoi saperi convinto di dovere trasmettere conoscenze ad un interlocutore passivo e asettico ma, piuttosto, ha bisogno di aprirsi ai territori secondo una prospettiva sistemica che riconosce l’individuo all’interno di un contesto con cui interagisce quotidianamente ponendosi quale soggetto attivo e, dunque, portatore di un personale contributo.
Anche per tale ragione è necessario un rinnovato Patto educativo di comunità in quanto tutte le agenzie educative, pubbliche e religiose, del terzo settore insieme alla scuola, alleandosi con la famiglia, sono chiamate a condividere il fine della crescita e maturazione delle nuove generazioni. La frammentazione, invece, rende inefficaci i singoli interventi che, di fatto, rimangono disarticolati e perciò confusivi.
La visione, dunque, deve rivolgersi ad un’educazione diffusa in cui i territori attraversano le scuole e queste si aprono ad esperienze informali partecipate dalle realtà locali, dai minori e dalle rispettive famiglie. Questa è la chiave di volta per un processo realmente rigenerativo capace di interconnettere i differenti soggetti del territorio e contrastare i processi involutivi che si registrano all’interno delle famiglie povere dove i figli, da adulti, sono ancora più poveri e socialmente emarginati.
Se pensiamo che già nel 2017 l’Atlante dell’infanzia a rischio, pubblicato annualmente da Save the Children, rilevava che la città di Palermo aveva il triste primato tra le città italiane con maggiore dispersione scolastica, dobbiamo riflettere sulla portata dell’emergenza educativa che ci riguarda. Se un minore su quattro abbandona precocemente la scuola e solo il 6% dei piccoli, tra gli 0 e i 3 anni, riesce a frequentare l’asilo nido, ci rendiamo conto di quali possano essere le conseguenze di ordine socioculturale oltre che per lo sviluppo economico e per il senso del prendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente.
Si impone, dunque, l’urgenza di un patto capace di generare Comunità educanti dove scuola e territorio dialogano in termini di reciproco riconoscimento ed interscambio per arrivare a creare un osservatorio delle povertà educative prestando particolare attenzione alle situazioni più vulnerabili e, così, promuovere ed orientare i processi educativi supportando anche le famiglie più fragili.
L’esperienza che la Comunità di Danisinni ha maturato negli anni all’interno della Comunità Educante Evoluta Zisa-Danisinni, coordinata dal Centro Tau rinomato polo pedagogico della città di Palermo, ci porta a considerare che abbiamo ancora bisogno di maturare un assetto circolare e non verticistico già nel percepirci come Comunità educante. Il processo generativo, infatti, si evolve quando l’interconnessione custodisce una reciproca etica della cooperazione e quindi dà spazio e valore ad ogni agenzia educativa.
Nel mentre l’Arcidiocesi di Palermo ha fissato, il prossimo 12 novembre, un appuntamento per riflettere e confrontarsi sulla creazione di un Patto Educativo Diocesano per il contrasto alla povertà educativa. La cura dei più piccoli è responsabilità di tutti, nessuno escluso, e, dunque, anche le Comunità ecclesiali sono chiamate a fare la loro parte.
Di Fratel Mauro Billetta – EmmeReports