Hadis Najafi di 23 anni, Hananeh Kia di 23 anni, Ghazale Chelavi di 32 anni, Nika Shakarami di 17 anni solo alcune delle ragazze uccise in Iran per aver protestato contro i responsabili della morte di Mahsa Amini, “colpevole” di “non aver indossato bene” l’hijab (il velo islamico) e, per questo, arrestata e uccisa dalla Polizia Morale di Teheran. La morte di Mahsa Amini ha scatenato proteste in tutte le regioni del paese degli Ayatollah. Ragazze di ogni età sono scese in strada bruciando l’hijab e tagliandosi i capelli in segno di ribellione contro un regime che reprime i loro diritti. In Iran sono ormai centinaia le persone arrestate, circa 17 i giornalisti, tra cui Nilufar Hamedi, la reporter del Sharghdaily che, per prima, ha dato la notizia della morte di Mahsa Amini. Secondo quanto riportato dal giornale sarebbero finiti in carcere anche un fotogiornalista e un attivista politico.
Il vento di ribellione contro il regime degli Ayatollah ha raggiunto altre parti del mondo. Diversi cittadini stranieri sarebbero finiti nelle prigioni iraniane per aver partecipato alle proteste di Teheran, tra questi anche una nostra connazionale, Alessia Piperno.
“In Iran è in atto una rivoluzione che non è iniziata ieri, ma quando questo regime, quasi 43 anni fa, ha preso il potere con inganno e violenza”, ha dichiarato un cittadino di origini iraniane che ha partecipato alla manifestazione di Palermo e di cui non riportiamo il nome per ragioni di sicurezza. “La popolazione ha dovuto ribellarsi diverse volte, ma per varie ragioni, per non esserci unità tra le diverse forze politiche e per colpa della repressione, questo non è andato a buon fine. Questa volta è una cosa davvero eccezionale, perché in prima fila ci sono le donne e perché non sono state abbandonate, come in altre occasioni, ma sono state appoggiate anche dagli uomini. Per la prima volta vediamo una rivoluzione che sta andando avanti in tutte le regioni, persino nelle città con una popolazione minore e questo ci coinvolge positivamente, perché si pensa che sia l’inizio della fine del regime dittatoriale”.
“Sono nato in una famiglia musulmana però, né mia madre, né le mie zie hanno mai portato il velo”, ha continuato il cittadino iraniano. “Parte della società, forse per una credenza privata, portava il velo, ma nelle grandi città era davvero raro trovare questa usanza che, per me, rimane una scelta privata di ogni essere umano che deve vestirsi o coprirsi come desidera. Questo regime ha utilizzato questo come un codice valoriale, come un obbligo, per dire che se riesce a comandare il 50% della società, allora l’altro 50% siete non ha il diritto di esprimersi. É una manovra più politica che religiosa. Questo regime è capace, non appena avrà la bomba atomica, di fare quello che ha fatto con le ragazze di Teheran. Comincerà a minacciarci, quindi chi pensa che non sia un problema italiano o mondiale, dovrebbe cominciare a rifletterci due o tre volte”.
Al flashmob di Piazza Politeama ha preso parte anche Dasililla Oliveira Pecorella, consigliere della Consulta delle Culture del Comune di Palermo: “È stata una manifestazione molto sentita dai palermitani, ma anche dalla comunità internazionale presente nella città. Fra poco arriva il 25 novembre, la Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne e spero venga organizzata una manifestazione come questa e con tanta gente come oggi”.
Hedayatullah Habib Mansoor è un giornalista di Kabul, fuggito dai talebani nel 2021, quando la NATO ha abbandonato al suo destino l’Afghanistan, dopo più di venti anni di presenza militare, prima con la missione ISAF e poi con la RS. Ha deciso di partecipare alla manifestazione “Una luce per l’Iran” insieme alla sua famiglia e con tanto di bandiere del suo Paese. Un modo per solidarizzare con le donne iraniane, ma anche per ricordare al mondo di essersi dimenticato di quelle afghane.
“Io e la mia famiglia siamo fuggiti perché i talebani sono contro le donne, contro ogni tipo di media e contro la libertà, nessuno ha diritti e nessuno può dire qualcosa contro di loro”, ha spiegato Habib. “Io sono un giornalista che vuole parlare attivamente e loro stavano uccidendo e bloccando molti miei colleghi”.
“Al momento le donne in Afghanistan non hanno alcun diritto, non possono andare a scuola e sono ancora vittime di genocidi”, ha continuato il giornalista. “Ogni giorno uccidono moltissime persone in Afghanistan. Sia in Iran che in Afghanistan le donne sono allo stesso livello di disagio, ma ancora peggio in Afghanistan. In Iran possono andare a scuola e all’università, mentre in Afghanistan non hanno nemmeno l’educazione basilare. Il mondo deve prestare attenzione a questi paesi, perché le loro condizioni sociali sono critiche. E se non cambierà qualcosa nei prossimi anni saremo testimoni di una società priva di alcun rispetto per le donne. Prima è toccato all’Iran, poi all’Afghanistan, chissà cosa potrebbe succedere di questo passo alle donne nei prossimi anni”.
Di Francesco Militello Mirto & Victoria Herranz – EmmeReports