Nei miei precedenti articoli ho raccontato la mia straordinaria esperienza di volo ai comandi del T-2 Buckeye e dell’AV- 8B Harrier. Sul primo ho conseguito la Carrier Qualification, ovvero la qualifica per operare dalle portaerei dotate di cavi di arresto, sia per l’appontaggio – termine per indicare l’atterraggio sul ponte di una nave – sia per il lancio con le catapulte, sul secondo sono diventato un pilota da combattimento, pronto per operare dalle LHA e LHD ma, soprattutto, da Nave Garibaldi.
Un momento fondamentale per raggiungere l’ambito traguardo della transizione sui jet, è stata la formazione sul velivolo McDonnell Douglas TA-4 Skyhawk, presso la Naval Air Station di Meridian nel Mississippi, con il quale avrei imparato a sganciare le bombe e a cimentarmi nei combattimenti aerei. L’A-4, ben più performante rispetto al T-2, era molto spartano nella strumentazione e il suo computer era nel cervello del pilota.
Il successo nel colpire il bersaglio con una bomba era tutto merito della capacità del pilota di apportare le dovute correzioni nella mira, per compensare gli effetti degli scostamenti dai parametri di volo previsti per lo sgancio, fra cui la quota, la velocità, l’assetto e la distanza dal bersaglio, tenendo conto anche di fattori esterni, quali quelli ambientali. Le correzioni dovevano peraltro essere calcolate e applicate molto rapidamente, perché la terra si avvicinava molto in fretta durante la picchiata per l’attacco.
Di quel periodo mi piace ricordare il rischieramento presso la Naval Air Facility di El Centro, in California, che aveva l’obbiettivo di infondere nei piloti l’arte del bombardamento di bersagli su terra. L’addestramento era molto competitivo e alla fine della giornata, su una lavagna, venivano riportati i risultati di tutti coloro che avevano sganciato le bombe, inclusivi di commenti talvolta piuttosto goliardici.
Ricordo che uno studente ebbe una giornata particolarmente nera, avendo piazzato le sue bombe piuttosto distanti dal bersaglio, guadagnandosi così un commento molto sintetico quanto sarcastico: “Nuc only”. Con quelle due parole veniva infatti marchiato come pilota idoneo solo allo sgancio di bombe nucleari, perché solo sfruttando la straordinaria potenza di quelle armi sarebbe riuscito a distruggere un bersaglio. In quella appassionante competizione la sorte mi fu favorevole e non tardai a guadagnarmi la Navy “E”, timbro di eccellenza e di efficacia in quelle missioni di bombardamento.
Prima di iniziare l’addestramento al combattimento aereo, era previsto ritornare sul T-2 per effettuare una missione molto particolare, mirata all’apprendimento della tecnica per uscire prontamente da pericolose situazioni di volo fuori controllo. Ciò era molto importante, perché durante i combattimenti aerei ravvicinati era necessario essere molto aggressivi sui comandi, rischiando di perdere letteralmente il controllo dell’aereo, con effetti potenzialmente disastrosi.
Per quella missione, chiamata OCF (Out of Control Flight), il T-2 veniva equipaggiato con un’ulteriore dotazione di cinture di sicurezza per tenere il pilota saldamente incollato al sedile, perché le manovre da effettuare lo avrebbero violentemente sballottato in tutte le direzioni. Arrivati nell’area addestrativa l’istruttore mise l’aereo in volo rovescio per verificare che in cabina non ci fossero oggetti vaganti, in quanto potevano diventare molto pericolosi e contundenti durante le rotazioni fuori controllo dell’aereo. Fatta questa verifica l’istruttore, che era ai comandi, mi chiese di chiudere gli occhi e abbassare la testa, per poi manovrare violentemente e portarsi in una situazione fuori controllo, lasciando a me il compito di raddrizzare l’aereo.
Le manovre erano a difficoltà progressiva fino ad arrivare alla vite “eyeballs out”, ossia con gli “occhi fuori dalle orbite”. Una volta entrati nella classica vite, mentre giravamo su noi stessi come in una trottola, l’istruttore mi chiese di spingere in avanti sulla cloche. Tale azione spostò il centro di rotazione dell’aereo verso la coda rendendo la vite ancora più violenta, con i nostri occhi che sembravano davvero di voler uscire dalle loro sedi!
Al termine della missione ritornammo alla base con le mani molto docili sui comandi, tenuto conto che dopo tal genere di missioni l’aereo non era più considerato efficiente al volo, dovendo essere sottoposto a una approfondita verifica tecnica mirata a individuare la presenza di eventuali danni strutturali causati dalla violenza indotta da quelle manovre.
Terminato l’addestramento sull’A-4 mi guadagnai con grande soddisfazione le ali di pilota di jet dell’US Navy e mi affrettai a organizzare il mio trasferimento per Cherry Point, nel North Carolina, ove avrei finalmente realizzato il mio grande sogno: diventare pilota di Harrier.
Di Paolo “Pitbull” Treu (Ammiraglio di Squadra Pilota Marina Militare) – EmmeReports
Copyright Photo Mike Freer – Touchdown-aviation