Nell’estate del 1991 terminai la transizione sui jet, mi fu inchiodata sul petto la terza aquila di pilota dell’US Navy, dopo quelle conseguite sugli aerei a turboelica e sugli elicotteri e non vedevo l’ora di realizzare il mio sogno di pilotare l’AV-8B Harrier e di lanciarmi in quella nuova entusiasmante avventura, che ho il piacere di raccontare in questo articolo.
Ero pronto a lasciare NAS Meridian, nel Mississippi, per affrontare un viaggio di 2 giorni, per un totale di circa 1.300 km, che mi avrebbe portato ad Havelock, nel North Carolina, ove si trovava la Base dei Marines di Cherry Point, nido di addestramento sull’Harrier. Così noleggiai un camion, dal terribile colore giallo e con tanto di rimorchio, sul quale caricai i mobili, le masserizie e l’automobile. Su quella carovana c’era mia moglie Paola, al mio fianco e mio figlio Carlo, di due anni, seduto in mezzo a noi su un seggiolino da automobile ancorato al pavimento della cabina di guida, dietro la leva del cambio. Quella traversata rimase molto impressa nella mente di mio figlio, che per alcuni mesi dopo il trasloco, tutte le volte che vedeva un camion giallo lo puntava con l’indice e gridava “daddy, daddy”, pensando che ci fossi ancora io alla guida.
Mi concessi solo il tempo per completare il trasloco nel nuovo alloggio e poi mi presentai subito presso il Gruppo di Volo VMAT-203, la cui patch del tempo raffigurava un’aquila appollaiata su una bomba. Presso tale Gruppo prettamente addestrativo erano assegnati tutti gli Harrier nella versione biposto, identificata dalla sigla TAV-8B. Oltre a tale versione erano disponibili anche alcuni velivoli da combattimento monoposto AV-8B nella configurazione Day Attack, ossia idonei per l’attacco diurno, necessari per completare la parte più avanzata della transizione sull’Harrier. Presso la base di Cherry Point era disponibile anche il simulatore di volo dell’AV-8B, con il quale era possibile svolgere qualsiasi tipo di missione e addestrarsi alla gestione delle emergenze.
Il programma in volo prevedeva l’iniziale svolgimento di un certo numero di missioni sul biposto, insieme all’istruttore, al fine di consentire al pilota in transizione di familiarizzarsi adeguatamente con le procedure e le peculiari capacità evolutive dell’Harrier, in modo da prepararlo per il suo primo volo da solo, che sarebbe avvenuto con il monoposto. Ebbi la fortuna di avere come istruttore iniziale l’allora Tenente Colonnello Mark Savarese, detto “Ragù”, ufficiale dei Marines di origini italiane che, oltre ad avere un’enorme esperienza di volo sull’Harrier, aveva grandi capacità di insegnamento, grazie alle quali riuscì a trasferirmi con grande efficacia le sue preziose conoscenze e i suoi “trucchi” del mestiere, che mi risultarono molto utili per domare quel formidabile ma non facile aereo.
L’esperienza che avevo maturato sugli elicotteri non mi era stata di aiuto per la transizione sui jet ma mi tornò molto utile quando si trattò di manovrare l’Harrier in condizioni di volo lento o stazionario, situazione in cui i piloti in transizione privi dell’esperienza dell’ala rotante avevano iniziali difficoltà nel mantenere l’aereo stabile.
In breve tempo completai la transizione sull’AV-8B Day Attack presso il VMAT 203 e fui subito assegnato, presso la medesima base di Cherry Point, al Marine Attack Squadron VMA-542 “Tigers”, un Gruppo di Volo operativo la cui patch raffigura la testa di una tigre ruggente dagli occhi verdi, con due fulmini gialli ai lati, mentre il timone sulla coda dei suoi aerei era decorato con dei triangolini gialli e neri che si incastravano gli uni con gli altri, alternandosi. Era un Gruppo reduce dall’Operation Desert Shield, seguita dalla Desert Storm iniziata il 17 gennaio 1991, giorno in cui i suoi Harriers attaccarono le postazioni della artiglieria irachena nella parte meridionale del Kuwait, per poi continuare ad operare fino al 27 febbraio 1991, quando terminarono le ostilità.
In tale occasione il Secretary of Defense Cohen elencò l’Harrier fra i tre più importanti sistemi d’arma impiegati nell’Operazione Desert Storm e il VMA-542 si distinse per essere stato il Gruppo di Volo che impiegò il maggior numero di munizioni, effettuò il maggior numero di sortite di volo e totalizzò il maggior numero di ore di volo in combattimento.
Avevo dunque avuto la fortuna di essere stato assegnato a un Gruppo operativo che aveva maturato una recentissima e consistente esperienza di combattimento, peraltro in un teatro operativo particolarmente sfidante e rischioso. Non potevo sperare in nulla di meglio per poter acquisire le più valide conoscenze e i più preziosi insegnamenti ai fini della mia ottimale transizione sull’Harrier.
Mi ricordo che un giorno fu organizzato un briefing sulla prigionia a cura di un pilota del Gruppo, l’allora Capitano Russel Sanborn, che durante l’Operazione Desert Storm fu catturato dopo essersi lanciato nel sud del Kuwait con il seggiolino eiettabile dal suo aereo in fiamme e fuori controllo. Una ala era stata spezzata da un missile lanciato dalla contraerea irachena. Era il 9 febbraio 1991, quella era la sua diciassettesima missione e aveva appena sganciato sul bersaglio 6 bombe da 500 libbre ciascuna. A Russel rimaneva una pistola con quindici colpi per affrontare una dozzina di iracheni imbufaliti che, 20 minuti più tardi, gli avrebbero dato il benvenuto con i loro Kalashnikov. Il suo primo pensiero fu di sparare contro di loro 14 colpi e riservare l’ultimo per sé stesso. Poi si ricordò che durante il corso di prigionia gli avevano insegnato che un soldato vale più da vivo che da morto, in qualsiasi situazione, anche se prigioniero.
Dopo 26 giorni di reclusione a Baghdad, durante i quali fu trattato con grande ferocia e brutalità, arrivò finalmente la liberazione. Seguii con grande interesse il racconto del suo dramma e mi colpì quando da una scatola di cartone estrasse un paio di scarpe da tennis bianche, che gli erano state consegnate dai suoi carcerieri prive di lacci, in modo che non potesse tentare un suicidio. Russel mi fece aprire gli occhi sul dramma della prigionia, di cui non conoscevo abbastanza, e mi fece comprendere l’importanza di essere addestrati e pronti per affrontare anche la malaugurata eventualità di cadere nelle mani del nemico, perché in guerra ciò può capitare anche ai migliori piloti.
Il mio iter formativo, oltre all’addestramento alla sopravvivenza in mare, aveva previsto anche quello su terra, in una foresta vicina alla base dell’Aeronautica di Eglin, in Florida. Durante il corso ci insegnarono a procurarci l’acqua in vari modi, a cacciare gli animali e a disidratarne la carne per poterla conservare a lungo, nonché a utilizzare i paracadute per costruire una tenda e a spostarci per agevolare le ricerche da parte dei soccorritori. Mi ricordo che durante una marcia all’interno della foresta un istruttore ordinò a uno studente di catturare un serpente non velenoso nelle sue vicinanze e di metterselo nella tasca della tuta da volo vivo, dal momento che la sua carne era molto deperibile. Quando rientrammo al nostro accampamento, all’ora di cena, l’istruttore si fece dare il serpente, lo decapitò e gli sfilò la pelle come si fa con un calzino. Qualche minuto dopo la cottura una vigorosa fiamma si impadronì della nostra cenetta, mandandola in fumo. Avevamo fame, ma non eravamo molto dispiaciuti per l’inconveniente.
Solo successivamente, anche in Italia, furono introdotti a favore dei piloti dei validi corsi di Sopravvivenza, Evasione, Resistenza, e Fuga, molto utili per acquisire le necessarie conoscenze teoriche e pratiche per affrontare al meglio la situazione di prigionia e cogliere con successo le opportunità di fuga.
La mia destinazione presso il VMA-542 mi consentì anche di trovarmi presso il Gruppo di Volo che avrebbe ricevuto per primo, agli inizi del 1994, i nuovissimi AV-8B Harrier II Plus, una versione più evoluta, capaci di operare efficacemente anche di notte e dotati del formidabile radar AN/APG-65 – analogo a quello che equipaggiava gli F-18 – che rivoluzionò drasticamente le potenzialità operative del velivolo sia nelle missioni di ricognizione e di attacco al suolo che in quelle di combattimento aereo, accentuandone enormemente le capacità multiruolo e la letalità. Fu così che ebbi la fortuna di diventare il primo pilota italiano di AV-8B Plus, ossia della versione che di lì a poco sarebbe stata acquisita dalla Marina Italiana per armare la sua prima portaerei: il glorioso Garibaldi.
Di Paolo “Pitbull” Treu (Ammiraglio di Squadra Pilota Marina Militare) – EmmeReports