Arrivai per la prima volta a Palermo nel marzo di 2007. con una missione quantomeno assurda: raccontare cosa fosse la sicilianità. Nei quei primi giorni, mentre giravo vicino alla cattedrale, sorridendo nel guardare il traffico misto composto da machine, motori, motorini, bicilette, moto-api e cavalli, insieme alle persone che attraversavano quel bordello, con la consapevolezza, secondo me innata, di aver garantita la loro integrità fisica e dei cani, che si direbbero morti, ma erano soltanto addormentati, trovai un volto immobile che mi guardava dalla fermata dell’autobus. Quel volto, che andava controcorrente al casino che lo circondava, faceva parte della propaganda elettorale e subito riconobbi il candidato: Leoluca Orlando, quello delle tante fotografie e dei tanti articoli che parlavano della storia recente di Palermo. Scattai una foto chiamata ad essere una di tante, ma che invece si fissò nella mia memoria. Ecco qua una semplice chiacchierata con quel volto fatto vivo nata dalla curiosità di chi cercava la sicilianità alla fermata dell’autobus.
Siccome l’attualità comanda, vorrei cominciare parlando delle elezioni. Si sa che ognuno vede ciò che vuol vedere e crede a ciò che vuole credere. Noi, all’inaugurazione dell’ambulatorio allo Zen, abbiamo creduto di vedere il passaggio di testimone a Mariangela Di Gangi. Invece, appena partita la campagna elettorale, la Di Gangi ha fatto un passo indietro e la prima linea è stata assegnata a Franco Miceli, sostenuto anche da lei. In ciò si vede una fratellanza politica, ma nello sguardo rivolto alla Di Gangi vedemmo o abbiamo creduto di vedere, complicità. Quindi la domanda è: Palermo è pronta per un governo al femminile, per una prima cittadina?
Ho un grande apprezzamento per l’impegno di Mariangela di Gangi e con riferimento alla vicenda elettorale avevo proposto che si facessero le primarie, perché in questo modo c’era una partecipazione, la più estesa possibile, alla competizione elettorale. Ho detto “le primarie servono a rianimare la partecipazione” e secondo me Mariangela poteva essere una candidata alle primarie, perché scegliere il candidato nel chiuso di una stanza di partito, secondo me, era in qualche modo perdere un’occasione. Il mio suggerimento non è stato seguito e i partiti hanno ritenuto di scegliere un candidato, che è una persona che conosco, che stimo, che apprezzo, che è stato assessore nella mia giunta e se qualcuno mi chiedesse se sono pronto a mettere la firma sulla sua nomina a sindaco, lo faccio subito. Il problema è di animare la città. A questo punto la scelta è caduta su Franco Miceli e sono fortemente impegnato, ovviamente, perché possa essere eletto sindaco di Palermo.
Nelle ultime settimane, sento dire a tanti palermitani qualcosa che non capisco e che non vorrei mai capire e che mi fa rabbrividire ed è il “dover votare qualcuno”, perché può tornarci utile. Io credevo che il voto fosse segreto e quindi non capisco. Quando si parla di cultura mafiosa si intende un rapporto tra politica e affari che riesce ad ottenere complicità anche da chi in cambio ottiene niente o quasi niente. Il “dover votare qualcuno” nasce da questa cultura mafiosa che imbrana anche i cittadini onesti che non hanno a che fare con la Mafia e che non ce la fanno più a sentirne parlare?
Vorrei fare una differenza tra il voto clientelare e il voto mafioso. Quello di cui lei ha parlato è il voto clientelare: “Tu voti per me e io mi ricordo di te quando sono eletto. Tu voti per me e io cerco di aiutare te”. La differenza in cosa consiste? Il voto è libero: “Io voto per te perché credo che tu sia la persona giusta per risolvere i problemi della città”. Il voto clientelare è: “Io voto per te perché mi conviene personalmente votare per te”. Ma non tutto il voto clientelare è mafioso. Mentre il voto mafioso è clientelare, il voto clientelare può anche non essere mafioso. Il voto clientelare è spregevole lo stesso, perché dobbiamo cominciare a pensare che esistono le cose spregevoli anche se non sono mafiose. Da questo punto di vista non c’è dubbio che, in questo momento, Palermo vive un momento particolare, perché si conclude la mia esperienza, non posso più candidarmi per la terza volta consecutiva e ritengo che se muoio questa notte, morirò felice, missione compiuta. Palermo è diventata una città dei diritti. Si è concluso un processo di pace che è iniziato con la guerra tra le cosche mafiose, poi la guerra fatta dalla Mafia allo Stato, poi sono state le stragi del’92, la rivolta civile e finalmente i cittadini sono scesi in piazza rivendicando, non il diritto, ma i diritti, non l’applicazione della legge, ma il rispetto dei diritti. In primo luogo, il diritto alla verità sui responsabili delle stragi, il diritto di libertà, il diritto di essere diversi e, sull’onda di questa reazione, nel ‘93, sono stato eletto sindaco col 75% dei consensi e, insieme con me, è stato eletto presidente del Consiglio Comunale del partito La Rete, il partito da me fondato, Antonino Caponnetto, che era il capo del Pool Antimafia di Falcone e Borsellino. Da quel momento, Palermo ha intrapreso un cammino, che è il cammino dei diritti. Dire No alla cultura di morte, per dire la vita è sacra. Neanche gli Stati possono uccidere le persone. Un condannato a morte della Virginia, negli Stati Uniti di America, ha chiesto di essere seppellito a Palermo. Siamo l’unica città al mondo dove è sepolto un condannato a morte che viene da un altro paese per dire con chiarezza il Sì alla vita e il No alla morte. Organizziamo a Palermo il più grande Gay Pride del Sud Europa, per confermare il diritto alla diversità, i diritti degli omosessuali. Quando qualcuno mi chiede quanti migranti ci sono a Palermo, io non rispondo 80 mila, 90 mila, 100 mila, ma rispondo nessuno.
Chi viene a Palermo è palermitano e non faccio differenza tra chi a Palermo è nato e chi a Palermo vive. Siamo finalmente una città “razzista”, perché difendiamo l’unica razza che esiste: la razza umana. Chi fa differenza fra le razze prepara intolleranza, violenza, Dachau, Auschwitz, campi di concentramento. Ecco, in questa città, che è diventata dei diritti, si chiude la mia esperienza. Come dicevo, se muoio stanotte muoio felice, missione compiuta, perché in questi anni in cui sono stato sindaco la Mafia non ha governato Palermo. Perché la Mafia degli anni 80 governava Palermo. Io venivo chiamato ateo e comunista. Nessuno è perfetto, non sono mai stato ateo, ma tutte le volte che attaccavo la Mafia qualche vescovo mafioso diceva che ero ateo. Tutte le volte che attaccavo la Mafia qualche politico mafioso diceva che io ero comunista. In questa poltrona sedevano gli amici dei boss mafiosi. Devo anche essere onesto: è stato seduto uno che non era amico dei boss mafiosi, era lui il boss mafioso. Ciancimino, al tempo stesso sindaco e boss mafioso. Cioè, la Mafia aveva il volto dello Stato, aveva il volto del poliziotto, del magistrato, del politico e chi combatteva negli anni 80 la Mafia, era isolato. Io ero considerato un giustizialista, e lo sono stato, perché bisognava affermare il diritto, il diritto, il diritto, il diritto… Ero considerato giustizialista professionista dell’antimafia. Giustizialista professionista dell’antimafia era il Cardinale Pappalardo, giustizialista professionista dell’antimafia era Piersanti Mattarella, erano tutti quelli che sono morti su questo versante. Oggi questa città la consegno in queste condizioni. Adesso la parola passa ai palermitani, passa agli elettori. Io non posso essere candidato. Questo per me è un rammarico, ma è anche un sollievo nel senso che è bene che adesso qualcuno prenda il mio posto, che qualcuno continui. Mi auguro, appunto, che Franco Miceli possa continuare, essendo quello più in coerenza e in sintonia con la mia visione, sapendo che a Palermo non c’è uno come me. Cerco di spiegare per evitare di essere preso a pomodori in faccia. Nel senso che io da 40 anni ho attraversato il fango e l’oro di questa città, senza infangarmi e senza arricchirmi e questo è il messaggio che lascio. Dopodiché, è evidente che quello a cui stiamo assistendo è inquietante. È inquietante pensare che due cittadini che non hanno ruoli politici, che non possono avere funzionai pubbliche, decidano il nome del candidato sindaco. E dopo che hanno fatto questa scelta del candidato sindaco, Fratelli d’Italia ritira il suo candidato, la Lega ritira il suo candidato, Forza Italia ritira il suo candidato… Posso dire che è inquietante. Poi se lui si chiamano Cuffaro e Dell’Utri, condannati entrambi per mafia con sentenza passata in giudicato, la cosa diventa ancora più inquietante. Sono stato chiaro? Io sono abituato a dire quello che penso.
A Palermo ci sono dei nomi tanto sentiti nelle ultime decadi, che fanno parte della Storia, come Mattarella. Lei raccontava che, insieme a Sergio Mattarella, venivate accusati di essere “gli eredi dei consiglieri della Mafia”. Invece, Piersanti Mattarella, allora Presidente della Regione, veniva ammazzato dalla Mafia e il fratello, Sergio è da anni Presidente della Repubblica. Come si spiega questa contraddizione? E, immaginando ci sia un parallelismo tra la sua carriera e quella di Mattarella, cosa pensa le aspetta nel prossimo futuro, come uomo politico?
Parliamo del mio futuro? Ho già tutto pronto. Ho fatto la scelta di rafforzare il modello che io chiamo “processo di pace”. Appena abbiamo vissuto un processo di pace. Siamo passati dalla guerra, cominciamo la pace. Dalla legge ai diritti, dalle sentenze alle marce e i Gay Pride, e questo percorso oggi credo che sia utile al mondo. Ho una fitta rete di rapporti internazionali, soprattutto in Germania, in Francia, in Olanda, in Messico, in Colombia, in Georgia, e vengo richiesto, tutti mi domandano “quando smetti di fare il sindaco?”, perché mi domandano in qualche modo di presentare questo percorso di Palermo che nasce nel Mediterraneo, ma che può essere utile per i processi di pace in Colombia, in Africa, in Ucraina quando finirà la guerra, per cui bisognerà passare dalla guerra alla pace e questa sarà la mia attività per i prossimi anni, quella di affermare questi principi. Sarò in Polonia a fine giugno insieme con una cinquantina di sindaci, perché sono tra i fondatori del “Parlamento Mondiale dei Sindaci” e li parleremo di come possono le città contribuire ai processi di pace che riguardano i diritti dei migranti, degli omosessuali, dei giovani, delle donne. Poi tornerò a Palermo per votare per il ballottaggio e ripartirò alla fine della mattinata per andare a Marsiglia, perché sto contribuendo a chiedere all’UNESCO che dichiari l’accoglienza, Patrimonio Immateriale. L’accoglienza è tutto. La parola accoglienza consente di dire che non ci sono stranieri a Palermo, che chi viene a Palermo è palermitano, poi continueremo su questa strada, perché credo che questo sia un servizio che posso dare a Palermo, perché è chiaro che sono e rimango palermitano e quando parlo di processo di pace parlo di processo di pace a Palermo. Poi se avrò un incarico istituzionale, a livello nazionale o internazionale, se diventerò presidente del mondo non lo so!
Ma è pronto?
Purtroppo non esiste la carica e quindi sto lavorando perché finalmente ci sia un mondo come l’Unione Europea, senza frontiere. Quando il mondo sarà senza frontiere mi candiderò a fare il presente del mondo. Come vede, non credo che sarà domani, né tra un mese.
Racconta che fin da piccolo ha avuto un’esistenza blindata, che l’accompagna fino ad oggi. Com’è vivere così? In futuro avrà ancora la scorta?
Dipende. Dal 1985 vivo scortato. Non so che significa andare al cinema da solo, andare a pranzo con mia moglie da solo, andare a comprare il giornale sotto casa… Lo vivo non per scelta mia, ma perché le autorità di sicurezza ritengono che io sia a rischio e ancora oggi vivo blindato. Mi auguro che un giorno mi venga tolta la scorta, sarà il segno che non sarò a rischio.
Sempre lei, ha definito la sua vita pubblica intensissima e una sfera privata quasi monastica, fatta del rifiuto degli inviti e l’impossibilità di frequentare amici, con moglie e figlie in una vita separata e parallela a quella sua. Ne è valsa la pena?
Dovrebbe chiedere a mia moglie e alle mie figlie. Io l’ho fatto con convinzione. Devo dire però che mia moglie e le miei figlie non mi hanno mai ostacolato. Avrebbero potuto farlo. Mia moglie avrebbe potuto farmi trovare chiusa la porta di casa e non farmi entrare. Le mie figlie avrebbero potuto criticarmi. Invece, hanno condiviso questo percorso e io gliene sarò sempre grato, sapendo che, anche loro, hanno perso un padre, ma io ho perso anche le figlie e la moglie.
E comunque è valsa la pena?
È andata così. È andata così e l’ho fatto con convinzione, sapendo il costo che pagavo e anche loro sapevano, conoscevano il costo che io pagavo e l’hanno accettato. Questo certamente ti lascia delle ferite dentro che si superano soltanto in un modo: con l’amore. Quello è rimasto e c’è sempre e quindi uno può essere personalmente ferito e continuare ad amare lo stesso.
Ha un bel rapporto con la Germania.
Ho venduto 200 mila copie del mio libro in tedesco che non esiste in italiano. Credo di conoscere la Germania come pochi tedeschi la conoscono. Ho fatto più di 300 presentazioni dei miei libri in Germania e quindi ho un rapporto molto forte. I tedeschi mi hanno molto amato. Sono un giurista Doctor Honoris Causa dell’Università di Trier, ho avuto tutti i possibili premi immaginabili, ho avuto anche il prestigiosissimo Heinrich Heine Prize a Düsseldorf, che prima di me hanno avuto Simone Veil e Jüngen Habermas, personaggi straordinariamente illustri, ma mai un italiano, e poi sei mesi fa il presidente federale Steinmeier mi ha dato la Grande Croce al Merito della Repubblica tedesca ideata per i tedeschi con qualche eccezione. Io e Claudio Abbado sono eccezioni. Nel caso di Abbado di altissimo livello. Amo molto la Germania, parlo il tedesco, è la ma seconda lingua. La mia prima forse è il siciliano, la mia quarta forse l’italiano. E faccio l’attore in Germania. Proprio oggi sui due principali giornali tedeschi e svizzeri ci sono due grandi interviste mie, a conferma di questa attenzione del mondo di lingua tedesca per la mia esperienza.
Sarà la Germania la suo particolare Hammamet?
Credo che sarà Palermo. Sarà Palermo nel senso che io in Germania piuttosto che in Colombia, in Messico piuttosto che in Francia, in Olanda piuttosto che in Giorgia, in Ucraina piuttosto che in Ghana, cercherò di portare questo modello, che è un modello non di passato ma di futuro e vorrò molto parlare di futuro.
Nel corso del suo esercizio politico sono passate almeno due generazioni di palermitani. Si dice che i bambini siano il futuro, ma quei bambini degli anni 80, quando parte la sua carriera politica, sono oggi adulti padri di famiglia. Come vede questi vecchi bambini? Com’è cambiata Palermo? Cosa trovò e cosa lascia?
Ho trovato una città dove la parola Mafia non si usava. Oggi vedo una città dove la Mafia è vergogna. Poi ci sono quelli che non si vergognano, ma comunque vergogna, il che certamente costituisce un passo avanti notevole. Poi il mio grande conforto è stato sempre il voto dei giovani che, alle ultime elezioni del 2017, l’80%, compreso tra i 18 e i 35 anni hanno votato per me, forse il 20% dei genitori. sono stato eletto perché il mio messaggio era rivolto ai giovani, forse perché li invitavo a fare la guerra ai genitori. I genitori a Palermo, hanno sulla coscienza il fallimento dei figli. Li trattengono qui, gli impediscono di andar via. Il giovane deve andare via, deve andare all’estero, deve scappare per almeno un paio di anni, per poi tornare con una marcia in più, con una possibilità in più, con una conoscenza in più, non può essere vincolato dal gelato o dall’aperitivo da prendere con gli amici e della zia Rosa che ti aspetta a casa, perché questo evidentemente impedisce il cambiamento. Faccio un esempio: Palermo era una città dove all’Aeroporto di Punta Raisi, quando ho iniziato la mia esperienza, atterravano soldi e droga della Mafia e qualche giornalista interessato alla Mafia. Oggi atterrano otto milioni di passeggeri, Palermo è invasa dai turisti e negli ultimi anni a Palermo sono stati girati 479 film, soltanto una piccola parte dedicata alla Mafia. Questo è il cambiamento, accolto dai giovani. Vado in un ristorante dove ci sono dieci persone che lavorano. Li guardo, nessuno dei dieci è nato in Italia. Vado dal proprietario del locale e gli dico “Ma come mai tutti stranieri? (tra virgolette, perché per me non esistono stranieri)”. E dice “Luca, il meno personale parla tre lingue, che me ne faccio dei palermitani che non parlano neanche l’italiano?”. È chiaro il concetto? Allora, una città che cambia invita i cittadini a cambiare, perché se Palermo diventa turistica e tu rimani alla Palermo di Ciancimino è chiaro che non cogli l’opportunità del cambiamento. Non so se sono stato chiaro.
Lei parla di Re Buoni della Sicilia e di una resistenza fatta, non da cittadini contro il Re Cattivo, ma degli orfani di Re Buoni. Tra questi Re Buoni parlava allora di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Dalla Chiesa.
Allora, il primo Re Buono ucciso dalla Mafia si chiamava Pietro Scaglione, procuratore della Repubblica nel 1971. Ci sono i Re Buoni e poi ci sono i Buoni che non erano Re. E due Buoni che non erano Re sono per me Peppino Impastato e Don Pino Puglisi, che sono stati importanti perché non arrestavano i mafiosi. Pepino Impastato non bloccava gli appalti ne dava appalti; rivendicava il suo diritto di essere libero pur provenendo da famiglia mafiosa. E Don Pino Puglisi, che è stato un mio amico, non combatteva la Mafia; chiedeva il diritto dei bambini di avere la scuola, e la Mafia ha avuto più paura di un sacerdote di periferia che chiedeva il riconoscimento del diritto dei bambini di andare a scuola, di avere una scuola, piuttosto che le armi dei poliziotti e le sentenze dei magistrati. E questo è il cammino, del passaggio dalla legge, dalle sentenze, dalle condanne, ai diritti, alla scuola, al Gay Pride.
Allora, pensa di venir ricordato come un Re Buono? Pensa di lasciare i palermitani orfani, anche se in buone mani?
Molti mi dicono che si sentiranno orfani quando io non sarò più sindaco di Palermo. C’è un’espressione siciliana che dice che “u mortu insigna a chianciri”. Però la vita continua e per fortuna che la vita continua.
Parla anche di un complesso meridionale, l’essere felici quando qualcuno se ne accorge che siano vivi. Pensa che oggi, innanzitutto l’Italia, ma anche il resto del mondo, si accorge che Palermo è viva? È andato via il complesso meridionale?
Oggi l’immagine di Palermo è radicalmente cambiata. Questo spiega anche la presenza di turisti, di investitori, di artisti, di persone che acquistano case nel centro storico e al mare. Se cammina per le strade del centro storico, nei citofoni, una buona parte dei cognomi sono stranieri. È la conferma dell’attrazione di questa città. È evidente che i processi sono processi, che come vanno avanti posso anche fermarci, come vanno avanti possono andare indietro. La mia preoccupazione è che i palermitani non possano approfittare del cambiamento della città, perché il cambiamento della città in termini culturali ha anche un valore economico. Se ne sono accorti i gestori dei bed and breakfast, dei ristoranti, i tassisti, le guide turistiche. Quando ho cominciato la mia esperienza erano disperati e disoccupati. Adesso non sanno più come fare per poter accompagnare tutti i diversi gruppi di turisti che visitano la città. Mi auguro che questo benessere, che viene dal cambio di immagine, non venga perduto. Certo se cambia l’immagine di Palermo temo che verranno meno turisti e più giornalisti per inchiesta di Mafia.
Con lei finisce un’era, che lascia tante mancanze che hanno fatto parte dell’immaginario collettivo palermitano degli ultimi tempi. L’ultima a mancare è stata Letizia Battaglia. Sarebbe una sorta di scomparsa della vecchia guardia e la maturità di una Palermo oltre la Mafia, più aperta al mondo, accogliente, cosmopolita e umanitaria, e su questo nessuno può negare che sia stato anche grazie a lei, col suo impegno nell’inserire Palermo sulla mappa internazionale. Cosa aspetta alla città di Palermo nell’era post vecchia guardia?
Ho concluso la mia esperienza di sindaco, intitolando il viale principale dei Cantieri Culturali alla Zisa e il Centro Internazionale della Fotografia a Letizia Battaglia. I Cantieri Culturali sono una cosa straordinaria dove convivono le espressioni artistiche più diverse. Le città hanno le fiere, hanno i mercati, ma cittadella culturale pochi al mondo e per noi è un orgoglio. Cosa mi aspetta? Mi auguro che chi verrà dopo di noi possa condividere la missione, non facendo le stesse cose che abbiamo fatto noi, perché il mondo cambia, cambiano le esigenze, ma che non perda di vista l’idea che al centro della vita di una città, ci sta il rispetto dei diritti della persona umana, perché quando tu costruisci una cultura dei diritti, sei alternativo alla Mafia più di quando arresti un mafioso.
Vorrei finire il nostro incontro con una polemica storica. Da una parte, lei è stato definito, almeno per un periodo, come sindaco antimafia. Dall’altra, nel libro Palermo, pubblicato nel 1990, lei parla della “antimafia istituzionale ridotta ad opera dei pupi”. E poi, c’è il famoso articolo di Leonardo Sciascia in cui parla dei “professionisti dell’antimafia”, dove definisce l’antimafia come “strumento di potere” e fa un esempio, “Un sindaco, che per sentimento o per calcolo, comincia ad esibirsi in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conference e cortei, come antimafioso, se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni, non troverà mai il tempo per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra”. E continua: “Chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia? (…) Può essere che alla fine qualcuno ci sia, ma correndo il rischio di essere macchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno”. Sono passati 35 anni da questo articolo e di polemiche ce ne sono tante. Oggi, nel 2022, che ne pensa? C’era qualcosa di visionario in Sciascia o soltanto il solito fatalismo siciliano?
Condivido perfettamente la posizione di Sciascia. C’è un tempo per ogni cosa. Negli anni in cui scriveva eravamo tutti professionisti dell’antimafia. Oltre me c’era anche Paolo Borsellino indicato in quell’articolo. Eravamo tutti professionisti dell’antimafia perché eravamo isolati. Perché eravamo noi soli. In questo palazzo: soli. Al palazzo arcivescovile: soli. Al palazzo della Regione: soli. Al palazzo di Giustizia: soli. Il tema qual è? Che dopo il ‘92, quando c’è stata la reazione popolare, non esistono più rappresentanti dell’antimafia. Io sono stato fino al ‘91 rappresentante dell’antimafia perché ero isolato. Ma dopo il ‘92, se qualcuno si definisce rappresentante dell’antimafia, è un imbroglione. Allora, Sciascia ha individuato un pericolo per un tempo che non è ancora venuto.
Quindi Sciascia è stato un visionario?
Certamente. Anch’io. Ha citato il mio libro. Già nel ‘90 anch’io vivevo la sofferenza di Sciascia. Ho commentato l’articolo del Corriere della Sera del sabato 10 gennaio 1987, il giorno dopo, domenica 11 gennaio. Ero in aereo con Giovanni Falcone, perché sono andato con lui, Francesca e mia moglie quindici giorni in Russia, e commentavamo questo articolo e io dicevo che era provvidenziale perché serviva a far uscire le “corna dei babbaluci”, delle lumache, come la pioggia. Dov’è il problema di questo articolo? Che si prestava, e da lì la critica nei confronti di Sciascia, ad essere utilizzato dai mafiosi di borgata, perché quando Sciascia dice questo, arriva il mafioso e dice “Caro Borsellino, tu sei una cosa inutile perché lo vedi cosa dice Sciascia di te?”. È chiaro che il problema non è quello che diceva Sciascia, è l’uso che si poteva fare di Sciascia. E per capire come io distinguo la lingua italiana dalla polemica ho chiuso la mia esperienza di sindaco nel 2000, chiamando una piazza Leonardo Sciascia e ho intitolato, tornato sindaco, la più importante biblioteca della Sicilia, la Biblioteca Comunale di Palermo, a Leonardo Sciascia. Ho fatto degli atti di riconoscimento che pochi hanno fatto e li ho fatti nonostante lui sia stato usato dai mafiosi per cercare di contrastare chi combatteva la Mafia.
Leoluca Orlando, un cittadino di Palermo
Di Victoria Herranz – EmmeReports
Foto Copyright di Francesco Militello Mirto – EmmeReports