Mancano pochi giorni alle celebrazioni per il trentennale della Strage di Capaci, dove donne e uomini dello Stato hanno perso la vita per aver combattuto contro la Mafia. Il loro lavoro non è andato perso, “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. La guerra anti-mafia, quella vera e no quella di pseudo attivisti da salotto, continua silenziosamente, ogni giorno e con mille difficoltà, quasi da sembrare inesistente. Sono le donne e gli uomini delle Forze dell’Ordine a combatterla, sul campo, attraverso indagini e arresti, tra tantissime difficoltà e l’acquiescenza di una classe politica corrotta e assuefatta al benessere materiale.
Proprio le Forze dell’Ordine, all’alba di oggi, hanno fatto scattare le manette per 31 persone legate a Cosa Nostra, concludendo una lunga indagine iniziata il 20 luglio 2021, con l’esecuzione del Decreto di Fermo di Indiziato di delitto, emesso dalla Procura di Palermo-DDA, a carico di numerosi indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata.
L’operazione è stata condotta dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo, portando all’arresto di 31 indagati (di cui 29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), accusati di appartenenza alla Mafia, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.
Diverse le città italiane coinvolte dall’attività investigativa della Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Gli arresti sono avvenuti a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova che, per quanto riguarda l’associazione a delinquere di stampo mafioso, ha la seguente incolpazione provvisoria: “per aver fatto parte, in concorso ed unitamente ad altre numerose persone, dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, promuovendone, organizzandone e dirigendone le relative illecite attività e per essersi, insieme, avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se e per gli altri, per intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione”.
Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine avviata nel 2019 sul contesto criminale del mandamento di Brancaccio, che comprende le famiglie di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella.
Dopo gli arresti effettuati nel novembre 2019 e che hanno permesso di individuare i protagonisti della riorganizzazione della Mafia, duramente colpite dai provvedimenti cautelari, gli inquirenti hanno ricostruito gli assetti delle famiglie di Brancaccio, identificando i probabili vertici, gregari e soldati, accusati di numerosi reati, dalle estorsioni, commesse ai danni di commercianti e imprenditori, alla gestione delle piazze di spaccio nel quartiere.
I proventi di queste attività illecite sarebbero serviti per mantenere in vita le famiglie dei detenuti per Mafia. Secondo il quadro probatorio a carico degli odierni indagati, i vertici, responsabili operativi per il settore delle estorsioni e del traffico di droga, avrebbero riorganizzato i sodalizi mafiosi, permettendone non solo la sopravvivenza, ma consentendo una maggiore espansione sul territorio di Brancaccio.
Le estorsioni ai danni di titolari di esercizi commerciali, dall’ambulante abusivo sono all’operatore della grande distribuzione, dimostrano che Cosa Nostra continua a chiedere il ‘pizzo’ ai negozianti che, a loro volta, sono costretti a chiedere l’autorizzazione ai boss del quartiere, prima di aprire un’attività o eseguire dei lavori, se non di assumere, come dipendenti, personale voluto dalla Mafia.
In una delle intercettazioni degli investigatori della Polizia di Stato, il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa ed un suo sodale, parlano con un imprenditore edile il quale, avendo in progetto di acquistare un terreno nella zona di competenza della famiglia mafiosa, per costruirvi appartamenti, consapevole di dover accontentare le pretese mafiose, per poter realizzare le costruzioni senza incorrere in furti, rapine o danneggiamenti, si rivolge al referente mafioso per avere la sua protezione.
In un’altra intercettazione, il pizzo viene chiesto ad uno ‘sfincionaro’ che, dopo aver subito il danneggiamento della saracinesca del suo laboratorio, mediante apposizione di attack, si rivolge ad uno degli odierni indagati per mettersi “in regola”.
Dalle indagini, che hanno portato agli arresti, sono emerse le dinamiche associative e le strategie criminali delle singole famiglie, con evidenti riferimenti all’adesione soggettiva degli indagati all’affectio societatis, per il raggiungimento degli scopi criminali prefissati dalla stessa associazione mafiosa.
“É di tutta evidenza, dunque, come tutti gli associati abbiano piena consapevolezza di siffatta disponibilità e siano ben consci anche della loro possibilità di ottenere il concreto possesso di armi di cui siano in un dato momento sprovvisti rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali dell’organizzazione criminale” hanno dichiarato gli inquirenti in merito alla detenzione di numerose armi da parte degli indagati.
Per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, dalle indagini, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle sei piazze di spaccio nel quartiere Sperone, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai sodali, con un ricavo presunto di circa 80.000 euro settimanali, nonché accertare la provenienza di parte dello stupefacente ad opera di due Calabresi, destinatari dell’odierna ordinanza.
In tale ambito sono stati eseguiti in più occasioni, 16 arresti e sequestrati circa 80 Kg di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8.000.000 di euro.
“Non ci si può infine esimere dal rimarcare, che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e ideali, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole sbirro o carabiniere, quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate” ha dichiarato il Giudice.
Uno degli arrestati, nel maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, non avrebbe gradito la presenza della figlia di un altro indagato alle iniziative scolastiche per ricordare i magistrati uccisi e che lui non avrebbe mai permesso la partecipazione a “queste vergogne”, perché non si doveva “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”.
Come ha affermato il Giudice “è per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la formazione mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.
Le cosche mafiose avrebbero operato anche in piena pandemia, rastrellando denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e comunque in crisi per via del Covid-19. Uno degli indagati avrebbe pure rubato, per poi rivenderle, venti cartoni di mascherine FFP3, contenenti 16.000 mascherine, da un Ospedale, dove svolgeva attività lavorativa, perché appartenente all’area ‘Emergenza Palermo’.
I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, hanno arrestato cinque persone legate a Giuseppe Greco e Ignazio Ingrassia che, forti dei loro storici legami con Cosa Nostra, sarebbero stati in grado di coadiuvare i due vertici nella gestione del mandamento mafioso e nella conduzione delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia mafiosa di Ciaculli, occupandosi dell’imposizione delle cosiddette ‘sensalerie’ sulle compravendite di immobili, estorcendo denaro a coloro che, per concludere affari immobiliari, sono stati costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati, molto attivi anche nella coltivazione e spaccio di cannabis-sativa.
Gli arrestati, appartenenti alla famiglia mafiosa di Ciaculli, avrebbero avuto pure le mani nella gestione delle acque irrigue, forzando e incanalando l’acqua della conduttura San Leonardo, di proprietà del Consorzio di Bonifica Palermo 2, in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nelle zone di Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate.
Un ulteriore affare, sul quale la Mafia di Ciaculli avrebbe imposto il suo controllo, è quello della gestione delle scommesse on-line illegali, che avrebbe assicurato cospicui introiti nelle lor casse e imposto sul territorio, l’utilizzo di piattaforme di gioco non conformi alle leggi italiane.
Alla compagine mafiosa di Ciaculli, che avrebbe a disposizione un vero e proprio arsenale di armi semiautomatiche, non ancora rinvenuto, come riportato dai Carabinieri, sono stati sequestrati beni per circa 350.000 euro, frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports