Il discorso completo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 77° Anniversario della Liberazione:
Rivolgo un saluto a tutti i presenti, alle Autorità, ai Rappresentanti del Parlamento, ai Ministri degli Esteri e del Mezzogiorno, ai Sottosegretari.
Saluto e ringrazio, per i loro interventi, il Presidente Regione, il Sindaco della città metropolitana di Napoli e il Sindaco di Acerra.
Vorrei pregare il Sindaco di Acerra di trasmettere il mio saluto a tutti gli acerrani, anche con l’assicurazione che la mia presenza è naturalmente legata all’importante occasione che ci riunisce ma è anche il segno della vicinanza alla città, al suo territorio, alla qualità della vita in questo territorio, alle esigenze, ai problemi, alle questioni e ai profili di carattere sociale e ambientale.
È un momento particolarmente ricco di significato celebrare qui ad Acerra il 25 aprile, la ricorrenza della Liberazione. Acerra è Medaglia d’oro al Merito civile; è stata teatro – nell’ottobre del 1943 –, come abbiamo visto e ascoltato poc’anzi, di una strage terribile di civili innocenti. Per molto tempo quella strage è stata quasi dimenticata.
Onorando i tanti martiri di Acerra, desidero ricordare tutti i combattenti, tutte le vittime delle rappresaglie e gli uomini e le donne coraggiose che – in ogni parte d’Italia – perdettero la vita per opporsi alla barbarie scatenata dalla furia nazifascista. La storia della nostra libertà è stata scritta da loro, la nostra Costituzione democratica è merito del loro sacrificio, è nata dal loro sacrificio.
Poc’anzi, la professoressa Insolvibile – che ringrazio – ci ha illustrato con precisione il quadro e il contesto in cui sono inseriti i terribili fatti di Acerra: la rappresaglia criminale che colpì questa città a pochi giorni dalle Quattro Giornate di Napoli.
Non fu l’unica strage, ma purtroppo, per numero di vittime, la più grave della Campania. Quasi novanta morti, tra cui – come si vede dalla lapide qui accanto – tante donne, bambini, anziani. Una strage che fece seguito a un tentativo di ribellione e che ci aiuta a comprendere maggiormente il ruolo che ebbero anche le popolazioni meridionali nella lotta di Liberazione. Lo ricordava poc’anzi il Presidente De Luca.
In Campania, soprattutto nel territorio a sud del Volturno, nelle grandi conurbazioni, da Napoli a Castellammare ad Acerra a Caserta a Capua, si verificò un alto numero di conflitti armati tra popolazione e soldati tedeschi.
Documenti e narrazioni orali presentano una realtà che contrasta nettamente con l’immagine attendista che taluno ha superficialmente ritenuto di attribuire al Mezzogiorno. In realtà, gruppi di giovani combattenti, persone armate di ogni età, difendevano il territorio dalle distruzioni dei guastatori, difendevano gli uomini dalle razzie, difendevano le donne dalle violenze.
I massacri furono un’opera di vendetta e di intimidazione verso questa popolazione, in tutta la zona, risultato della strategia della “terra bruciata” operata dai tedeschi con requisizioni di massa, saccheggi e devastazione del territorio, cui gli abitanti risposero con una diffusa resistenza; in queste aree, che furono teatro di numerosi momenti duri e sanguinosi della campagna d’Italia, dallo sbarco alleato ai nove mesi della battaglia a Cassino.
Una resistenza che si potrebbe definire ordinaria. Fu una difesa della vita e dei valori quotidiani e comunitari dalla prepotenza di una forza violenta che pretendeva, con crudeltà, di imporre obbedienza totale: in questo senso si possono leggere anche la difesa dei propri prodotti e dei propri animali da parte dei contadini, il rifiuto di consegnare le macchine e le altre risorse, l’aiuto ai soldati sbandati fatto in nome di una solidarietà che, contrapponendosi alle leggi della guerra, esprimeva un sentimento importante di vera e propria resistenza civile alla guerra.
Agli occhi delle truppe naziste la colpa dei cittadini di Acerra era quella di aver provato ad opporsi – con armi rudimentali, con le barricate, con la non collaborazione – al rastrellamento di uomini da mandare nei campi di lavoro, alla caccia agli ebrei, al saccheggio brutale, alla distruzione sistematica di case e di luoghi di lavoro.
Dopo l’8 settembre, e i tragici avvenimenti che ne seguirono, i nazisti mostrarono anche in Italia il loro vero volto: quello brutale, animato da voglia di vendetta, mosso da un’ideologia ciecamente fanatica, che tutto subordinava – anche la sacralità della vita – alla violenza, alla sopraffazione, al culto della razza, alla volontà di dominio.
L’8 settembre produsse il vaglio, che spazzò via vent’anni di illusioni, di parole d’ordine vuote e consumate, di retorica bellicista. Il regime fascista, implose dall’interno, crollò su se stesso, corroso dalla sua stessa vanagloria.
Non fu la morte della Patria. Ma, al contrario, la riscoperta del suo senso autentico. Quella di una comunità di destino, di donne e uomini che condividono il comune senso di pietà, i valori di libertà, giustizia e democrazia, che si proteggono a vicenda, che lavorano per la pace, il benessere, la solidarietà.
Un vostro eroico concittadino, nato qui ad Acerra, Medaglia d’oro al valore militare, il Colonnello Michele Ferrajolo, di stanza a Mondragone, rifiutò sdegnosamente il 9 settembre di consegnare le armi ai tedeschi, incitando i suoi soldati alla resistenza. A chi, tra i suoi, gli propose di arrendersi per aver salva la vita, rispose: “Non si vergogna di parlarmi così? Qui è in gioco l’onore della Patria”. Fu ucciso da una raffica di mitra. Morì, tra i primissimi, per amore della Patria, quella che il fascismo aveva tradito e umiliato, imponendo la dittatura, la repressione, la guerra a fianco di Hitler. In quel momento, il più duro e decisivo, la parola Patria riacquistava agli occhi di tanti italiani il suo significato più limpido e più autentico.
La decisione della popolazione di Napoli, della Campania e di tante altre città del Meridione, di insorgere contro l’ex alleato, trasformatosi in barbaro occupante, fu una reazione coraggiosa e di dignità umana, contro la negazione stessa dei principi dell’umanità.
Ricordo le parole di un illustre figlio della terra campana: lo storico e senatore Gabriele De Rosa, che fu ufficiale dei granatieri a El Alamein e poi membro della Resistenza romana. Raccontava di una piccola donna, sua padrona di casa a Roma, che lo aveva salvato dall’arresto e dalla deportazione, raccontando il falso ai fascisti. Se fosse stata scoperta la verità, quella donna sarebbe stata sicuramente fucilata. De Rosa concludeva: “Questa donna ha fatto la Resistenza”.
E oggi tra gli storici vi è concordia nell’assegnare il titolo di resistente a tutti coloro che, con le armi o senza, mettendo in gioco la propria vita, si oppongono a una invasione straniera, frutto dell’arbitrio e contraria al diritto, oltre che al senso stesso della dignità.
Furono resistenti i combattenti delle montagne, le tante staffette partigiane, i militari che, perdendo la vita o subendo la deportazione, rifiutarono di servire sotto la cupa bandiera di Salò. Furono resistenti, a pieno titolo, le persone che nascosero in casa gli ebrei, o i militari alleati, o ricercati politici, coloro che sostenevano la rete logistica della Resistenza. Furono resistenti gli operai che entrarono in sciopero al Nord, gli autori di volantini e giornali clandestini, gli intellettuali che non si piegarono, i parroci che rimasero vicini al loro gregge ferito. Le vittime innocenti delle tante stragi che, in quella terribile stagione, insanguinarono il nostro Paese.
Nel Meridione l’occupazione nazista durò molto meno che al Nord. L’avanzata alleata risparmiò a quelle popolazioni mesi e mesi di calvario che, con altre stragi, insanguinarono invece il Centro Nord del nostro Paese. Fino a quando, il 25 aprile del 1945, in Italia si registrò la fine del nazismo e fascismo e la riconquista della libertà.
Ma, pur se la resistenza nelle regioni del Sud ebbe una storia più breve, ne va sottolineata l’importanza, in termini di coraggio, valore e sacrificio. Senza dimenticare il contributo offerto alla lotta partigiana al Nord da tanti militari originari di regioni del Mezzogiorno.
In questo senso, in tutta Italia, la Resistenza – come lo era stato l’antifascismo di tanti spiriti liberi durante il ventennio – fu un movimento che ebbe un significato unitario, quello della Liberazione dal nazifascismo, assumendo nel contempo forme e motivazioni anche diverse a seconda delle specifiche circostanze temporali e territoriali.
Accanto a questi valorosi italiani non può essere, ovviamente, mai dimenticato il ruolo decisivo dei soldati alleati, venuti da ogni parte del mondo, liberando l’Italia dal giogo del nazifascismo. Migliaia di loro hanno perso la vita e sono sepolti nei nostri territori. Esprimiamo a loro, a distanza di tanti anni, la nostra incancellabile riconoscenza. Erano soldati della coalizione contro il male assoluto, di cui l’Italia sotto la dittatura era stata tragicamente parte.
La Resistenza contro il nazifascismo contribuì a risollevare l’immagine e a recuperare il prestigio del nostro Paese. Fu a nome di questa Italia che Alcide De Gasperi poté presentarsi a testa alta alla Conferenza di pace di Parigi.
Questo riscatto, il sangue versato, questo ritrovato onore nazionale lo celebriamo oggi, insieme a tutta l’Italia, qui ad Acerra.
Oggi, in questa imprevedibile e drammatica stagione che stiamo attraversando in Europa, il valore della Resistenza all’aggressione, all’odio, alle stragi, alla barbarie contro i civili supera i suoi stessi limiti temporali e geografici.
Nelle prime ore del mattino dello scorso 24 febbraio siamo stati tutti raggiunti dalla notizia che le Forze armate della Federazione Russa avevano invaso l’Ucraina, entrando nel suo territorio da molti punti diversi, in direzione di Kiev, di Karkiv, di Donetsk, di Mariupol, di Odessa.
Come tutti, quel giorno, ho avvertito un pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione.
A questi sentimenti si è subito affiancato il pensiero agli ucraini svegliati dalle bombe e dal rumore dei carri armati. E, pensando a loro, mi sono venute in mente – come alla senatrice Liliana Segre – le parole: “Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor”.
Sappiamo tutti da dove sono tratte queste parole. Sono le prime di “Bella ciao”.
Questo tornare indietro della storia rappresenta un pericolo non soltanto per l’Ucraina ma per tutti gli europei, per l’intera comunità internazionale.
Come tre giorni ho sottolineato fa davanti alle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, avvertiamo l’esigenza di fermare subito, con determinazione, questa deriva di guerra prima che possa ulteriormente disarticolare la convivenza internazionale, prima che possa drammaticamente estendersi.
Questo è il percorso per la pace, per ripristinarla; perché possa tornare ad essere il cardine della vita d’Europa.
Per questo diciamo convintamente: viva la libertà, ovunque. Particolarmente dove viene minacciata o conculcata.
Viva la Resistenza,
viva il 25 aprile,
viva la Repubblica!