Al mercato, nei quartieri, al Tribunale… Ovunque tu sia, là dove andiamo per raccontare della pandemia da Covid-19, ci troviamo una squadra di sanitari, giovanissimi, che pare non mollino mai. Facce familiari, come quella di Antonio Schirò, infermiere, classe 89. Un irriducibile.
La sua storia professionale inizia proprio nel periodo pandemico, anche se la sua prima esperienza lavorativa, appena laureato, inizia subito presso una RSA nel suo paese di origine, Piana degli Albanesi. Vive a Palermo e fa avanti e indietro. Appena uscito il bando per il reclutamento di infermieri e personale sanitario, scoppiata la pandemia da Covi-19, propone la sua candidatura che viene immediatamente accettata. Inizia, dunque, a fare USCA nel novembre 2020, presso la Casa del Sole, prima ancora che venisse creata la struttura commissariale della Fiera, dove viene trasferito a dicembre.
“Le USCA sono state inserite nell’HUB, in modo tale che tutte le informazioni venissero gestite da un unico punto e, quindi, non ci fosse più bisogno di recuperare materiali da un centro rispetto ad un altro, perché all’inizio della pandemia, abbiamo avuto anche problemi logistici veramente seri, perché, ovviamente, nessuno era preparato, soprattutto durante la seconda ondata di contagi in Sicilia, dove ci sono stati talmente tanti casi di Covid-19, che non si riusciva più a gestire la situazione”, ci spiega Antonio e aggiunge “Quindi, fondamentalmente, la mia storia del come sono arrivato a lavorare con la pandemia è iniziata così.”
Il suo contratto, come quello degli altri professionisti sanitari reclutati con questo bando, non è a tempo indefinito ma fino a fine emergenza, cioè “per ora fino a dicembre 2022, quindi siamo precari. Sappiamo che al momento ci siamo fino alla scadenza del contratto. Per il dopo, ancora non ci è stato comunicato nulla.”
Ma allora sei passato dall’università al lavoro praticamente subito?
Subito. Neanche 24 ore della mia Laurea. L’indomani mattina, mi hanno chiamato almeno una decina di persone tramite il servizio Alma Laurea dell’Università di Palermo con cui ero in collaborazione, perché cercavano infermieri, soprattutto al nord Italia, da tutte le parti. Tutti. Offrendomi lavoro, con tanto di mensa e alloggio pagato, ma io, purtroppo, amo la mia terra, la Sicilia, e non mi volevo spostare… E quindi oggi eccomi qua.
Ti sei occupato sempre dei vaccini?
In realtà non solo vaccini. Ci siamo occupati, sia dei vaccini, che di assistenza domiciliare alle persone positive al Covid-19. Prima che arrivassero i vaccini, eravamo realmente i primi ad andare a casa delle persone positive e avevamo tutti paura, perché ancora non avevamo niente per combattere il virus, soltanto l’isolamento e i dispositivi di protezione individuale. Quando a novembre, ottobre e novembre, andavamo a casa delle persone positive, eravamo un po’, come si suol dire in palermitano, “scantati”, perché non sapevamo a cosa andavamo incontro, come gestire veramente l’infezione. Sapevamo come monitorarlo, ma le terapie che avevamo all’epoca, non erano sufficienti per contrastare il virus.
Sono migliorati i protocolli?
Sì, sì, decisamente. Poi piano piano si è andato a studiare molto di più e, con l’introduzione dei vaccini, già la mortalità si è ridotta di molto.
Anche la vostra esperienza come infermieri è servita per migliorarli?
Sì, attraverso dei briefing siamo riusciti a intersecare questi protocolli in modo tale che la gestione domiciliare dei pazienti positivi al Covid-19, potesse essere cambiata rispetto a quella precedente. Noi infermieri, spesso, eravamo chiamati per fare prelievi di sangue a casa delle persone contagiate. Anche a donne in un momento critico della gravidanza che, non potendo uscire di casa, avevano bisogno di essere monitorate in maniera più decisa rispetto a tante altre persone che magari erano asintomatiche. Non essendoci ancora il vaccino contro il Covid, le persone a casa erano veramente spaventate, soprattutto le donne incinte che, al loro terzo o quarto mese di gravidanza, si trovavano in un momento difficile. Quindi venivamo chiamati, insieme ai medici, per fare prelievi e per monitorare lo stato della gravidanza. Spesso alcuni pazienti avevano bisogno di una medicazione del PICC (Catetere Venoso Centrale ad inserzione periferica), che solitamente viene fatta direttamente in ospedale ma, in quel momento storico, le persone positive non potevano spostarsi da casa, quindi andavamo noi da loro.
Questa assistenza era sempre per persone positive o anche per via del lockdown?
Solo per le persone positive al Covid-19 che erano in isolamento a casa. I protocolli sono cambiati. Adesso una persona che viene a contatto può anche uscire da casa, se ha la terza dose del vaccino, mantenendo la mascherina FPP2. Prima, un contatto di un positivo doveva stare a casa, non solo fino a quando il positivo si negativizzava, ma doveva restare per altri dieci giorni per monitorare il suo stato. Era… era un problema veramente serio.
Quindi quando entravate non sapevate quanto era veramente seria la situazione sanitaria..
Esatto. Tante volte capitava (e continua a capitare), che arrivavamo per fare un tampone, il medico saliva per visitare il paziente e ci si accorgeva che non stava bene e che desaturava tantissimo e che era necessaria l’ospedalizzazione, tramite ambulanza, per trasportarlo subito in terapia intensiva. Abbiamo visto padri di famiglia che piangevano e ci dicevano “Io non so che fare, sto male, però non posso lasciare la famiglia”, ma dovevano andare in ospedale, perché a casa non sarebbero riusciti a continuare a vivere.
E come la vedi questa esperienza dopo un anno e mezzo di Covid-19? Come si è sviluppata?
In maniera molto più positiva, perché, grazie ai vaccini, tutte queste situazioni che prima vedevamo non esistono più, o esistono in maniera molto molto di rado, perché ovviamente si è ridotto l’ingresso in ospedale da parte dei pazienti positivi e quindi la situazione è diventata molto più gestibile.
Com’è l’esperienza col palermitano?
Un mix di emozioni più che altro! Tra la paura e la gioia di vederci quando arrivavamo a casa dei pazienti. Ci sono state persone scettiche che dicevano che il virus Covid-19 non esisteva, che loro stavano bene, e intanto alla porta accanto c’era una persona che stava male.
Mi puoi dire due esperienze, due casi, negativo e positivo?
Sicuramente una situazione bruttissima è stata quella del padre di famiglia. Siamo andati a fare un tampone. Appena saliti ed entrati nella sua casa, è arrivato questo signore che veramente stava male e si è messo a piangere, perché non sapeva cosa fare perché la moglie non lavorava, lui sì, ed avevano le due bambine. Stava male, doveva andare in ospedale, dovevamo ricoverarlo, però all’inizio cercava di rifiutare, perché non sapeva, entrando in ospedale, cosa gli sarebbe successo e quando sarebbe potuto uscire. È stata un’esperienza veramente molto molto triste, una delle situazioni più brutte che io abbia mai vissuto emotivamente.
Mentre una delle esperienze più belle e felici durante l’emergenza Covid-19 è stata quando siamo andati a fare i vaccini a Ballarò, dove sono stato accolto veramente come se fossi una persona che restituiva la speranza. Ovviamente, anche con qualche battutina, ma vabbè, eravamo sempre a Ballarò, sempre in un mercato! Però è stata veramente una bella esperienza. Tutte le persone mi hanno accolto e mi hanno rivolto tante domande per essere più sicure.
Su questa cosa di vaccinare ovunque, cosa ne pensi? Cioè, quando tu stavi studiando pensavi di andare a Ballarò, al mercato…
Assolutamente no. Quando stavo studiando, pensavo che la mia vita lavorativa sarebbe stata in ospedale, in un reparto oppure spostandomi da uno ad un altro.
Di tutto ciò che fai finora, qual è la tua parte favorita?
Senza dubbio andare nei paesi a vaccinare contro il Covid-19, perché veniamo accolti dei salvatori! Ci aspettano a braccia aperte e le amministrazioni comunali ci vogliono bene, ci offrono di tutto. Anche le persone stesse sono molto accoglienti, arrivando da noi col cuore in mano e dicendoci Salvateci, dateci una speranza. Durante i vaccini tour nei paesi della Sicilia, gli abitanti sono molto felici di vederci quando arriviamo e, quando ce ne andiamo, sono ancora più felici, perché li abbiamo trattati bene.
Quindi le esperienze negative?
Come ho detto, più che altro è stato il periodo pre-vaccini.
E i negazionisti?
Quando arriviamo, vedono che la maggior parte delle persone è con noi, che vogliono essere vaccinati, e coloro che non vogliono vaccinarsi contro il Covid-19 lo hanno fatto controvoglia ci fanno qualche battutina tipo “Eh ma io me lo sto facendo solamente perché devo andare a lavorare”, e noi ovviamente rispondiamo “L’importante è che lo stai facendo e non solo per andare lavorare. Vedrà che lo sta facendo anche per lei e per i suoi figli e per tutte quelle persone che le stanno accanto”.
Hai dovuto convincerne tanti?
Abbastanza. L’anno scorso, in estate, alcuni colleghi dell’Hub Fiera sono andati in punti strategici della città, come Mondello o via Ruggero Settimo, per informare le persone su cosa andavano incontro se non si vaccinavano, spiegando loro i reali effetti collaterali del vaccino, rispetto alle bufale di internet, a cui molti, non essendo informati a livello scientifico e non avendo una base solida su cui basarsi, credevano.
Allora, dopo tutto questo tempo, che avete visto di tutto, bello ma anche brutto, c’è stata qualche assistenza psicologica?
Sì, assolutamente. La struttura ha attivato l’assistenza psicologica. Ci sono psicologhe e psicologi che hanno aiutato in questi momenti, mettendosi in contatto con le persone che siamo andati a visitare e che avevano bisogno di un supporto psicologico. Queste persone lavorano tuttora in fiera e ci danno una mano.
Ma anche per voi?
Per noi no…
Ma non è previsto o non l’hai usato?
Non te lo so dire proprio, sinceramente. Perché per fortuna, o magari anche per mancanza di comunicazione, non ho avuto bisogno e non è mai arrivato al mio orecchio che c’era il supporto psicologico per noi operatori che facevamo questo lavoro.
Pensi che quando sarà finita l’emergenza ci sarà bisogno? Quando si sgonfierà la pressione?
Assolutamente, soprattutto per chi dei nostri colleghi che, rimasti a casa per un mese o più, perché positivi al Covid, soprattutto all’inizio, quando sono tornati al lavoro, erano cambiati. Magari perché erano stati a contatto con la famiglia e si erano sentiti in colpa per avergli trasmesso il virus. Penso che qualcuno, magari anche io, usufruiremo un giorno di questo sportello attivo per noi operatori.
Tu hai avuto paura a casa?
Per fortuna io abito da solo. Per fortuna e per sfortuna. Da solo nel senso non con i miei genitori, ma con coinquilini, quindi abbiamo tutti la stessa età, giovani, quindi bene o male…
Ma hai deciso di non visitare i tuoi genitori per un periodo?
Esatto. Nonostante i miei genitori sono operatori sanitari, ho preferito non avere contatti con loro e neanche con i miei fratelli, neanche con le persone più anziane, proprio per evitare di veicolare il virus. Anche se da questo punto di vista, in un certo senso, noi quando andavamo a casa delle persone, eravamo più protetti, rispetto a tante altre persone, perché i DPI (dispositivi di protezione individuale) hanno funzionato. Con un po’ di accortezza, non ho mai preso il Covid. Quindi è stata fortuna, è stata accortezza, non te lo so dire, però fino ad ora è andata bene.
Cosa aspetti per il futuro, per la tua carriera, post pandemia?
Spero di continuare a lavorare nella mia terra, perché ho scelto di restare qui, sia per dare una mano nel periodo pandemico, sia perché non voglio lasciare la Sicilia, perché sono fiducioso che questa terra possa crescere anche grazie a noi, grazie alle persone che hanno contribuito per salvare e mantenere uno status sociale, sanitario, decente, quindi spero di riuscire a stare qui e continuare a dare una mano a tutte le persone che mi richiedano.
Hai qualche idea, qualche preferenza, su cosa preferiresti?
Guarda, basta che si lavora.
Sei stanco di tutta questa esperienza?
Stanco no, però diciamo che in un certo senso, fare per un anno e mezzo, quasi due anni, le stesse cose e non mettere veramente a frutto tutto quello che ho imparato e che potrei dare è un po’ frustrante. Solo questo.
Quindi vuoi che finisca?
Sì, basta. Basta pandemia. È stata una esperienza super bella e brutta, un mix di emozioni, però basta. Ora abbiamo pure questa guerra in corso… basta.
Di Victoria Herranz & Francesco Militello Mirto – EmmeReports