Nella seconda decade del XIX secolo il generale prussiano Carl Von Clausewitz scrisse la celeberrima frase: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”. Questa asserzione, tratta dal saggio Della guerra, ancora molto studiato nelle accademie e scuole militari di tutto il mondo, considera la guerra un’opzione della politica che ne determina i tempi, le modalità e gli obiettivi. La politica (la diplomazia, i trattati, le relazioni e le organizzazioni internazionali, il diritto internazionale ecc.), e la guerra come suo eventuale strumento, secondo von Clausewitz creano la storia dell’umanità. Ciò non implica l’inevitabilità della guerra, ma evidenzia come sia la politica a doverla “governare”.
Le guerre, cioè, non accadono per caso, ma sono l’esito di politiche (e anche l’inerzia è una politica) che, consapevolmente o meno, conducono ad esse. Ciò premesso, dove possono essere ricercate le ragioni di ciò che sta accadendo tra Russia ed Ucraina nel cuore del Vecchio Continente, teatro delle più dure e sanguinose guerre della storia? Apparentemente un conflitto locale, l’attuale guerra russo-ucraina è, invece, il coagulo di politiche condotte da diversi anni da tutte le maggiori potenze e minaccia seriamente la sicurezza globale per gli interessi in gioco.
Consideriamone gli antefatti. Gli storici fondatori dell’UE hanno goduto nel corso della Guerra Fredda dell’ombrello di sicurezza offerto dalla NATO a conduzione USA, il cui obiettivo era quello di tenervi gli americani dentro, i russi fuori ed i tedeschi sotto. La fine della Guerra Fredda ha cambiato gli scenari, lasciando un troppo breve spazio temporale al tentativo di dare più completa attuazione alla missione attribuita all’ONU dalla sua carta fondativa nella gestione delle crisi e nel mantenimento della pace e della sicurezza mondiali con l’impiego della NATO nelle cosiddette PSO (Peace Support Operation) ed il coinvolgimento della Russia. Risale al 1994 l’adesione della Russia al programma di partenariato per la pace (Partnership for Peace) della NATO (vedasi l’appoggio russo alla missione NATO in Bosnia nel 1996) ed al 2002 la fondazione del Consiglio Russia-NATO, dando origine ad una cooperazione nella lotta al terrorismo, nella cooperazione militare ed industriale, nel contrasto alla proliferazione delle armi di distruzione di massa ed in altri ambiti ancora.
Risale al 2002 l’incontro svoltosi a Pratica di Mare tra l’allora presidente USA George W. Bush ed il presidente russo Vladimir Putin, incontro facilitato dall’allora primo ministro italiano Silvio Berlusconi. Fu proprio nel corso di tale incontro che venne concordata la fondazione del suddetto Consiglio NATO-Russia. Nel documento conclusivo, inoltre, venne affermata “la determinazione a costruire insieme una pace duratura ed inclusiva nell’area euro-atlantica in base ai principi di democrazia, sicurezza cooperativa e all’asserto che la sicurezza di tutta la comunità euro-atlantica sia indivisibile”.
L’apertura della NATO alla collaborazione con la Russia si accompagnava all’affermazione del turbocapitalismo conseguente all’apertura mondiale dei mercati ed alla globalizzazione. La Cina cominciò ad imporsi come interlocutore commerciale privilegiato nei confronti, in particolare, dei Paesi UE. In questa fase l’economia conquistò la primazia sulla politica e le regole di mercato divennero il principale riferimento delle scelte e delle posizioni internazionali dei Paesi europei. La politica e le sue opzioni (guerra inclusa) sembravano non avere più rilevanza e la storia appariva completamente dissolta nell’ambito dei rapporti commerciali e degli equilibri nel mercato globale. In questa situazione di illusorie certezze, nel 2004 l’UE decise l’allargamento ad est, inglobando Stati che dalla fine della 2^ guerra mondiale avevano fatto parte del Patto di Varsavia come la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia e la Slovenia, proseguendo nel 2007 con l’allargamento alla Bulgaria ed alla Romania. Sul fronte NATO, analogamente, si assistette all’allargamento verso est con l’adesione nel 2004 di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia.
Nel 2009 aderirono l’Albania e la Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Risale all’agosto 2008 il primo segno di insofferenza del presidente Putin verso la progressiva riduzione della sfera di influenza russa con il conflitto tra Russia e Georgia che portò alla separazione dei territori dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia dalla Georgia ed alla loro sottoposizione al controllo russo. Nello stesso periodo nell’Unione Europea si diede il via all’esecuzione della progettazione ingegneristica del gasdotto Nord Stream 1, destinato a portare il gas russo direttamente alla Germania ed all’UE.
All’italiana SAIPEM venne affidata la realizzazione del gasdotto che venne completato nel 2011 ed inaugurato l’8 novembre dello stesso anno dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, dal presidente russo Dmitrij Medvedev e dal primo ministro francese François Fillon. Il Nord Stream 1 trasporta fino a 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno ed il suo esercizio ricade per il 51% nelle mani della società russa GAZPROM. All’inizio del 2014 l’Ucraina cominciò ad entrare nelle preoccupazioni del presidente russo, allorché i moti di piazza Maidan provocarono la cacciata del presidente filorusso Janukovic e l’avvio di un processo di avvicinamento dell’Ucraina all’UE ed alla NATO.
Putin rispose occupando ed annettendo alla Russia la penisola di Crimea, di importanza strategica per il controllo del Mar Nero ed abitata in prevalenza da russofoni. A seguito di ciò la Russia venne estromessa dal gruppo dei Paesi del G8 che tornò ad essere G7. Nel 2014, in risposta all’annessione della Crimea da parte della Russia, la NATO decise di sospendere ogni cooperazione in atto con la Russia, ma rimase in piedi il Consiglio NATO-Russia. Inoltre, proprio nel 2014, commentando l’occupazione russa della Crimea, l’allora presidente statunitense Barack Obama definì la Russia “una potenza regionale”, colpendo nel vivo l’orgoglio del suo omologo russo. Nonostante l’evidente intenzione di Putin di liberarsi dalla sindrome di accerchiamento restituendo alla Russia un’adeguata “profondità difensiva”, cioè una sfera di sicurezza ed influenza (la “lebensraum” di hitleriana memoria) che separi gli avamposti occidentali dalle grandi pianure russe prive di ostacoli naturali, l’Occidente ha risposto all’annessione russa della Crimea con blande sanzioni e la NATO ha ceduto alle pressioni dei Paesi europei dell’ex Patto di Varsavia direttamente confinanti con il territorio russo inviando più truppe ed armamenti.
Nell’Unione Europea ancora una volta vennero anteposti alla politica gli interessi economici e nel 2015 si diede il via alla realizzazione di un altro gasdotto, il Nord Stream 2, destinato a portare fino a 55 miliardi di metri cubi di gas direttamente dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Nonostante le minacce di sanzioni alla Germania da parte degli USA e l’opposizione polacca al progetto, la posa in opera del gasdotto è proseguita anche con l’assenso dell’amministrazione Biden, finché lo scorso 1 marzo la società Nord Stream 2 AG, una filiale della russa GAZPROM, ha dichiarato bancarotta a seguito delle sanzioni imposte sulle società russe a causa dell’attuale guerra in Ucraina. La politica, o meglio l’inazione politica, ha prevalso sull’economia ed i Paesi dell’UE sono stati costretti a tornare nella storia.
L’Unione Europea, illusa dalla propria opulenza e con poca voglia di competere sul piano politico e di rischiare confronti militari, è destinata a pagare cara la propria inconsistenza come soggetto internazionale e la propria incapacità di riconoscere e difendere i propri interessi geopolitici: la Libia è divisa tra l’influenza russa in Cirenaica con il famigerato Gruppo Wagner e l’influenza turca in Tripolitania, la Russia è ampiamente presente nell’Africa subsahariana, persino le forze armate albanesi hanno preferito farsi addestrare dagli omologhi turchi e la stessa Turchia spadroneggia nel Mediterraneo orientale, bloccando il progetto del gasdotto EastMed!
I Paesi dell’UE decidono ora di incrementare le spese militari e, compatti insieme con gli USA, comminano pesanti sanzioni alla Russia per la guerra che sta muovendo all’Ucraina con l’intento di convincere l’autocrate Putin a desistere, pena il default economico del proprio Paese e/o il suo rovesciamento da parte di un eventuale fronte interno. Ma occorre tener presente che la Russia non ha mai conosciuto la democrazia ed è un Paese con un’economia povera, i cui abitanti sono abituati a vivere nelle restrizioni. Non esiste un’opposizione strutturata e con una leadership in grado di far presa sulle masse. Inoltre non sono chiari i legami tra il dittatore e gli oligarchi che sinora lo hanno sostenuto.
L’ostinazione di Putin e le difficoltà economiche che le sanzioni stanno determinando potrebbero fare insorgere larghe fasce della popolazione russa sino a spodestare l’autocrate, ma, se si avverasse tale ipotesi, il futuro potrebbe tingersi di tinte ancora più fosche. Il timore che le sanzioni si rivelino un pesante boomerang soprattutto per l’economia europea è, purtroppo, molto presente. Differente si presenta la situazione per gli USA: questa guerra ha compattato i Paesi dell’UE sulle posizioni statunitensi, ha ridato senso e rilanciato il ruolo della NATO che solo un paio di anni fa il presidente francese aveva dichiarato “affetta da morte cerebrale” e, così, gli stessi USA possono proseguire nel proprio disimpegno dal teatro europeo, da tempo considerato non più strategico, e nella propria dedizione alla Cina ed al teatro indo-pacifico cui l’attuale mondo sempre più “sinocentrico” ha attribuito rilevanza assoluta; ha, inoltre, isolato la Russia sul piano internazionale ed ha messo in discussione l’asse che stava costituendosi tra la Russia e la Cina.
Questa guerra consentirà anche notevoli profitti all’economia statunitense, potendo gli USA contare sulla raggiunta autonomia energetica grazie allo shale gas cioè al gas ricavato dagli scisti con il procedimento di fracking che i ribassi dei prezzi degli anni recenti avevano reso non più conveniente, con il surplus di produzione che verrà venduto ai Paesi europei come GNL ai prezzi di mercato enormemente cresciuti. Vantaggi si intravedono anche per la Cina, nonostante la perdita di profitti dai propri considerevoli investimenti in Ucraina.
Infatti, la difesa molto chiaramente espressa dalla Cina dell’integrità territoriale dell’Ucraina le consente di presentarsi di fronte alla comunità internazionale come mediatore credibile. Inoltre, il suo allineamento alle posizioni occidentali riguardo all’integrità del territorio ucraino le darà l’agio di sostenere la stessa cosa per Taiwan, che la Cina ha sempre dichiarato essere parte del proprio territorio. Sono innegabili, infine, le posizioni di vantaggio che la Russia sta rimediando dal suo intervento in Ucraina, nonostante che l’inattesa resistenza della popolazione stia ritardando il conseguimento degli obiettivi prefissi: sta tenendo in scacco la NATO evidenziandone l’impotenza a fare alcunché, sta ricattando l’UE con gli approvvigionamenti energetici e con l’accoglienza di milioni di profughi, sta ricostituendo la sfera d’influenza della Russia post-sovietica puntando alla Transnistria e, probabilmente, alla Moldova ed ha confermato il controllo russo sul Mar Nero.
In questo complesso scenario è sicuramente l’Unione Europea a risultare in grande difficoltà e nella totale incapacità di conoscere la realtà e di “governarla” politicamente, ossia valutando gli interessi e le possibili azioni dei singoli attori, soprattutto di quelli potenzialmente ostili, ed agendo per difendere i propri. L’attuale guerra tra Russia ed Ucraina rappresenta, purtroppo per l’UE, la brutale riaffermazione della primazia della politica sull’economia ed impone ai Paesi europei la necessità di costituirsi come soggetto politico unico nella comunità internazionale con un’unica diplomazia ed un unico strumento militare funzionali alla tutela di interessi ed ambiti geopolitici unicamente definiti ed unicamente “governati”. Von Clausewitz torna ad avere ragione.
Di Contrammiraglio CP Paolo Cafaro – EmmeReports