Non ho mai compreso il motivo, ma ho avuto sempre un’attrazione “fatale” verso il Libano, Beirut innanzitutto. Negli ultimi dieci anni ci sono stato diverse volte, davvero non ricordo se quattro o cinque. Probabilmente devo questo mio affetto verso il Paese dei Cedri alle vicende storiche, che lo hanno interessato negli anni ’80, dunque alle cronache giornalistiche su giornali e tv che raccontavano quella maledetta guerra civile combattuta nel Paese tra il 1975 ed il 1990.
Nei miei viaggi sul confine israeliano, a sud, ho imparato e compreso i motivi per il quale il Libano è stato e rimane uno degli obiettivi di Israele, a causa della presenza di basi operative della resistenza palestinese sul suo territorio. Negli anni purtroppo, nonostante la presenza dei caschi blu dell’ONU, soprattutto quelli italiani che mi hanno ospitato in molteplici occasioni, lungo la Blue Line, la linea di confine ipotetica tra i due Paesi, le tensioni si sono rafforzate con la contrapposizione tra lo Stato ebraico e il movimento sciita degli Hezbollah, che ha nel Sud libanese le sue basi.
Oggi però questo Paese meraviglioso, segnato da testimonianze culturali e di un passato che lo lega indissolubilmente al nostro Paese, con i suoi siti culturali risalenti all’impero romano, vive oggi, dicevo una crisi economica e finanziaria tra le dieci più gravi crisi dal 1850 in poi a livello mondiale. È la Banca Mondiale a certificarlo, attraverso il suo Lebanon Economic Monitor. Una catastrofe economica e sociale senza paragoni. La lira libanese è stata svalutata del 90%, mentre è praticamente impossibile avere moneta forte, soprattutto dollari. Il Pil pro-capite è crollato.
Le conseguenze, per la popolazione, sono pesantissime: metà dei libanesi vivono sotto la soglia di povertà; razionamento dell’elettricità, difficoltà a trovare carburante, prezzi degli alimenti e dei beni di prima necessità alle stelle e con aumenti praticamente quotidiani. Condizioni queste che hanno obbligato circa 200mila libanesi a fuggire dal loro Paese. Dall’autunno del 2019 circa 160mila libanesi della classe media sono emigrati verso destinazioni come la Turchia, la Georgia e l’Armenia. L’Onu afferma che oltre il 75% della popolazione residente vive sotto la soglia di povertà. Un default finanziario aggravato dal fallimento del sistema bancario e dalla peggiore crisi valutaria degli ultimi decenni.
Tutto questo è un pericolo reale per la stabilità del Mediterraneo. Non solo la Libia, ma ora più che mai anche il Libano è oggetto di interesse strategico da parte dei miliziani dell’Isis dopo Siria e Iraq. Lo scoppio della pandemia e l’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020 hanno peggiorato una situazione economica e sociale già al limite del collasso. In questo contesto continuano ad operare i militari italiani, Caschi Blu dell’ONU. Proprio recentemente il Generale Del Col, Head of Mission e Force Commander di UNIFIL, ha definito i Caschi blu “custodi temporanei” della Blue Line, la fondamentale linea di demarcazione che separa il Libano da Israele, lunga oltre 120 chilometri, stabilita formalmente dalle Nazioni Unite nel 2000 e ben riconoscibile tramite i caratteristici “Blue Pillars”.
Contestualmente, il Comando del contingente italiano coordina le attività delle cinque Task Force multinazionali alle proprie dipendenze, sviluppando oltre diecimila attività, in un contesto complesso e altamente instabile come quello libanese, dove la crisi economica e politica è aggravata dall’emergenza sanitaria per la pandemia. Ecco, questo è il Paese dei Cedri oggi. Quella terra dal grande fascino e dalla storia millenaria. Un angolo di Mediterraneo da dove i Fenici, grandi navigatori, entrarono in contatto con le maggiori potenze del tempo, commerciando il pregiato legno di Cedro, di cui il Libano era ricco. Crocevia di culture e religioni provenienti da ogni angolo del Mediterraneo. Un Paese che si è strutturato sulla forza del carattere multiculturale di un luogo a cavallo tra occidente e oriente.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports
Foto di Salvatore Pappalardo – EmmeReports