I pesci onirici di Fabio Caci sono estrosi e sgargianti dipinti a biro su carta, animali sorpresi a galleggiare sul candore del foglio, osservati mentre nuotano in uno spazio limpido e luminoso. L’artista delimita il corpo con un segno netto, ne traccia il profilo con precisione e poi si abbandona a descriverne i volumi, la pelle lucente, le raggiere delle pinne, la trasparenza e i vividi pigmenti. Caci ha realizzato queste opere costruendo i colori con sottili segni di biro, pulendo con sistematica attenzione la sfera ad ogni tratto, per evitare qualsiasi macchia, sbavatura, imperfezione. Quanto si vede è la somma di una trama fitta e minuta di linee sottili che ricordano la tecnica del bulino, ma questa non è incisione bensì pittura che segue i medesimi percorsi dei puntinisti o dell’impressionismo. Dipingere senza pennello usando gli inchiostri e sfruttando la miscela visiva che il nostro occhio crea non riuscendo a distinguere il reticolo costruttivo, tanto è fine, prezioso, impalpabile.
I pesci non si potevano usare nelle offerte sacrificali, erano esseri ibridi, intimamente connessi all’acqua primordiale, incapaci di vivere senza. Animali dal corpo indistinto, tronco e testa fusi in un’unica forma scivolosa e guizzante. I loro occhi, come ha sottolineato l’artista Laura Panno fotografando i tonni fatti a pezzi dopo la mattanza, continuano a guardarci e di fatto rappresentano l’universo che ci osserva dal proprio corpo straziato, senza giudizio, semplicemente intriso di sofferenza. I cristiani delle origini si sentivano pesci nell’immersione battesimale, pesce era il Salvatore rappresentato attraverso il proprio acronimo. Coppie di pesci speculari si affacciano nello zodiaco e se rappresentati senza il proprio doppio, come fa Caci, ci inducono a immaginarli completi, simmetrici, uniti per la bocca a formare ornamenti di rara bellezza.
L’artista ha voluto dar loro la dignità di disegno scientifico, la tavola fuori testo di un trattato di zoologia fantastica perché tale è l’accuratezza dei particolari, la resa di ogni piega della cute, delle livree, della morfologia di ogni specie. Fabio Caci ha per questo usato il linguaggio rigoroso della tradizione manualistica: il pesce è adagiato in proiezione ortogonale, non proietta ombre, è sanato da ogni imperfezione, non riporta ferite, cicatrici, mutilazioni. Anche il rigor mortis viene camuffato: i corpi sono turgidi, in tensione, le bocche serrate, gli sguardi brillanti, le pinne distese e pronte allo scatto o lasciate libere nel fluttuare dell’acqua. Non vi è nulla di museale in queste rappresentazioni minuziose, mancano le soluzioni alcoliche che scolorano i tessuti, le etichette della nomenclatura scientifica, il luogo di cattura, la spedizione di biologi e naturalisti che raccolse il campione. Mancano gli appunti di questi uomini di scienza dediti a catalogare, comparare, cercare linee evolutive, parentele e differenze: sembrano pesci senza storia, cosa rappresentano veramente?
Un pesce di Fabio Caci pulsa di vita ma non potrebbe mai essere catturato: reticelle, ami, acquari, barriere coralline non ci permettono di vederlo o stringerlo fra le dita. Nessuno ha mai potuto fotografarlo, nonostante lunghe immersioni e attese pazienti. Nessuna massaia l’ha mai potuto imbiancare di farina e renderlo croccante di frittura, eppure abbiamo quasi la certezza di averlo visto, addirittura guardato con attenzione perché quel corpo, quei colori, la leggerezza dell’uno la goffaggine dell’altro, quella fragilità e questa grazia ci appartengono. L’artista non ha voluto raccontare o descrivere, ma cogliere un’essenza: pesci di mille mari, preistorici o presenti, animali composti di corpi affini, coerenti, capaci di contenere le origini e la discendenza, di apparire vivi pur presentando la lisca, pesci nati dall’esperienza ma soprattutto dall’immaginazione. Vivono nelle onde dei nostri pensieri, sono idee, chimere d’acqua, ricordi ancestrali di cui siamo custodi nel mare segreto che continua a esistere in noi.
Perché rappresentare un universo di fantasia? Un concetto di pesce tanto vero quanto inesistente? Perché alimentare un sogno bizzarro, impossibile da incontrare nonostante la sua apparente naturalezza? Fabio Caci, pensatore acuto oltre ad essere artista, ci svela con queste opere la magia e la presenza di numerosi archetipi che sono profondamente radicati nei meandri segreti del nostro mondo interiore; uno scrigno che trattiene i ricordi di una grande ricchezza di stimoli e forme. L’artista non commenta, non giudica, parla attraverso linee e colori: se l’osservatore è attento, sensibile e cosciente farà subito – spontaneamente – un rapido confronto. Dalla magnificenza delle origini al tonno che non sgocciola, al filetto conservato in acqua e sale, dal bastoncino croccante di merluzzo al branzino e all’orata d’allevamento. Quest’arte è un monito a ricordare quanta biodiversità stiamo perdendo irrimediabilmente ogni giorno.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito