All’alba i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo hanno sferrato un duro colpo alla mafia di Bagheria, arrestando otto persone ritenuti responsabili di associazione mafiosa, finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Dottore Salvatore De Luca, costituisce l’esito di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo, sulla famiglia mafiosa di Bagheria, sempre operativa e pericolosa nel territorio. Negli ultimi quindici anni, il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo ha condotto numerose operazioni antimafia, in particolar modo nei confronti della famiglia mafiosa di Bagheria: “Perseo” (2008), “Crash” (2009), “Argo” (2013), “Reset 1 e 2” (2014), “Panta rei” (2015), “Cupola 2.0” (2018/2019).
L’indagine “Persefone”, che rappresenta l’esito di una complessa manovra investigativa, svolta nei confronti della famiglia mafiosa di Bagheria, ha subìto un’improvvisa accelerazione, in relazione a un progetto omicidiario recentemente pianificato dai vertici della citata famiglia, in danno di un pregiudicato locale, estraneo al sodalizio, ritenuto poco incline al rispetto delle ‘regole’ imposte dall’organizzazione mafiosa. Le investigazioni dei Carabinieri hanno permesso di attribuire gravi responsabilità penali ai capi e ai gregari della famiglia mafiosa bagherese. Il ruolo di comando era ricoperto in una prima fase da Onofrio Catalano (detto ‘Gino’), con il placet dell’allora Capo Mandamento Francesco Colletti (poi arrestato nel corso dell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia), poi assunto dal più autorevole Massimiliano Firicano. Quest’ultimo, per il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale, avrebbe spinto Catalano a ridimensionare il proprio ruolo e a relegarlo in posizione subordinata, con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capo famiglia.
I due capi famiglia, nonostante il travagliato avvicendamento al vertice, si sono impegnati nel mantenere il controllo del territorio, imponendo la commissione di estorsioni e, soprattutto, assumendo la ferrea direzione delle piazze di spaccio di stupefacenti (nel cui ambito operano solo i soggetti ‘autorizzati’ da Cosa Nostra, tenuti a versare periodicamente una quota fissa dei profitti), ritenuta la principale fonte di profitto per le casse del sodalizio. Tali scelte operative sarebbero il frutto di una precisa strategia delineata del capomafia Massimo Ficano. Quest’ultimo infatti, nel corso di una conversazione intercettata con un suo stretto collaboratore, avrebbe affermato che in questo momento le attività più remunerative per la famiglia mafiosa di Bagheria erano costituite dalla gestione di centri scommesse e dal traffico di sostanze stupefacenti. Tali attività illecite venivano controllate direttamente dal capomafia, anche se non si esponeva mai in prima persona, delegando i suoi più fidati collaboratori. Il provento dei reati commessi serviva anche a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere ‘sacro’ dei capimafia liberi in quanto, in caso di mancato adempimento di tale delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna e, di conseguenza, la graniticità di Cosa Nostra.
Nonostante tale scelta strategica di puntare su scommesse e stupefacenti, non è comunque venuto del tutto meno l’impegno estorsivo, declinato sia nella forma della ‘messa a posto’ delle imprese impegnate nei cantieri locali, sia in quello volto a garantire il controllo del territorio, anche mediante la risoluzione delle controversie tra privati. L’attività tecnica, infatti, ha permesso di accertare una condotta estorsiva posta in essere da Onofrio Catalano, esponente di vertice della consorteria mafiosa bagherese, nei confronti dei titolari di un panificio ubicato a Bagheria, rei di produrre dolci che, considerata la vicinanza dell’attività ad un bar gestito da un soggetto vicino alla famiglia bagherese di Cosa Nostra, danneggiavano economicamente il titolare. Le vittime, conseguentemente, sono state effettivamente costrette a smettere di produrre i dolci oggetto della contestazione mafiosa di “concorrenza sleale”.
Il boss Ficano, considerato un esperto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Bagheria, dopo aver espiato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto di potere generato dalla costante azione repressiva, ha riacquisito la posizione di vertice del sodalizio criminale bagherese, imponendo le decisioni della famiglia mafiosa anche con metodi violenti. Inoltre, poteva contare su una nutrita compagine di sodali, Catalano, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano, dediti al pervasivo controllo criminale del territorio.
Ficano in passato ha gestito una parte della lunga ‘latitanza bagherese’ del defunto capomafia corleonese Bernardo Provenzano. Dalle indagini dei Carabinieri, sono emerse gravi responsabilità penali sull’anziano imprenditore edile Carmelo Fricano, detto “Mezzo chilo”, ritenuto soggetto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e, in particolare, allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. In passato, infatti, diversi collaboratori di giustizia hanno indicato il Fricano quale prestanome del predetto capo mafia ergastolano. Le risultanze investigative dell’indagine “Persefone” hanno consentito di raccogliere una serie di elementi di indubbia capacità probatoria, circa la sussistenza a carico del Fricano di un quadro gravemente indiziario in ordine al delitto di associazione di tipo mafioso.
L’autorità del boss Ficano era però stata messa di recente in discussione da Fabio Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, il quale, in stato di ubriachezza e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. Tripoli, oltre a infastidire con il suo atteggiamento provocatorio la cittadinanza bagherese, era stato violento verso la compagna e il padre (per tali maltrattamenti in famiglia è stato, anch’egli, oggi tratto in arresto). La reazione del sodalizio all’atteggiamento sfrontato di Tripoli e alla sua ritrosia a sottostare ai ‘divieti’ imposti dai mafiosi per riportare ordine nel territorio da loro controllato non è tardata ad arrivare. Su mandato di Ficano, sei soggetti (tra cui gli indagati Scaduto e Cannata) lo hanno selvaggiamente picchiato, cagionandogli un trauma cranico ed un trauma alla mano. Tripoli, nonostante il violento avvertimento, ha deciso di armarsi di una accetta e faceva sapere in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale da poco inaugurato dal boss Ficano, che insieme a Scaduto sentenziavano l’eliminazione di Tripoli, pianificandone nel dettaglio l’omicidio.
Ficano, subito dopo aver dato ordine di eseguire l’omicidio, decideva di allontanarsi dal territorio, molto verosimilmente sia per costituirsi un alibi, che per darsi alla fuga per il pericolo di essere arrestato.
Di Redazione – EmmeReports