E’ incredibile, certo, materializzare quel processo di disgregazione geopolitica realizzato negli ultimi vent’anni. Scricchiola la NATO, così come era stata concepita alla fine degli anni ’80 e non esiste neppure più quell’atollo occidentale nella penisola arabica, rappresentato dal mantello di protezione offerto dagli Stati Uniti, a quei partner mediorientali che avevano condiviso le politiche imposte dagli USA.
E’ cambiati tutto o quasi, negli ultimi vent’anni. Oggi l’America e il mondo occidentale ricordano il ventesimo anniversario dell’11 settembre. Cerimonie solenni e commemorazioni che si tengono in ciascuno dei tre siti, in cui i 19 dirottatori di Al-Qaeda si schiantarono con aerei di linea colmi di passeggeri nel cuore della democrazia occidentale, World Trade Center.
Si voleva colpire l’occidente, non solo gli Stati Uniti. Così è stato. Quel che scomparì nettamente dal quel giorno di vent’anni fa non furono solo le quasi 3.000 persone uccise, ma anche le vite delle loro famiglie ed il modello di società occidentale sicura, fino a quel giorno un punto fermo nel mondo. Lo sconvolgimento culturale, finanziario, politico e ideologico degli Stati Uniti e dell’Europa cambiarono silenziosamente, giorno dopo giorno, per sempre.
Non è solo l’assenza delle due torri del World Trade Center, la fragilità mostrata al mondo dal Pentagono, ed il luogo simbolo dell’eroismo dei cittadini americani che si materializza nel campo presso Shanksville, in Pennsylvania dove precipitò il volo 93, a richiamare la riflessione su cosa è il mondo oggi a vent’anni di distanza. La forza economica degli Stati Uniti la si ritrova ora a Ground Zero di New York. Ma a questa forza materiale si contrappone una debolezza psicologica che deriva da una lacerazione, che non si rimarginerà mai più.
Il mantra che viene distribuito oggi agli americani è che a vent’anni da quelle ore oggi per la prima volta l’America non è in guerra. Ma è solo l’ennesima illusione occidentale, o forse prettamente americana, che come un’incensiera in argento di poco valore, viene fatta oscillare disperdendo nell’aria l’essenza di una normalità che invece non esiste. Lo dimostra il timore, a New York e non solo, di attacchi terroristici.
L’allarme infatti resta alto. Certo, oggi l’America può ricordare che la mente e architetto degli attacchi dell’11 settembre, Osama bin Laden, dal 2011 non è più di questo mondo, forse. Ma di certo la sconfitta più amara per l’America è che il fondamentalismo islamico è molto più forte e vigoroso di vent’anni fa. Non ci sono guerre al momento con soldati americani in trincea, ma è aumentato l’odio verso gli americani e c’è un luogo simbolo delle guerre aperte da George W. Bush che lo ricorda al mondo: Guantanamo, il super carcere sull’isola di Cuba.
La sconfitta più amara per l’America di Biden oggi la si registra sul piano geopolitico asiatico. Nelle ultime ore i sei paesi confinanti con l’Afghanistan, Cina, Iran, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Pakistan, hanno approvato un documento congiunto dove si esortano i talebani a formare un governo inclusivo e a non consentire a Daesh e Al Qaida di trovare in Afghanistan un “luogo d’appoggio sicuro”. La dichiarazione arriva il giorno dopo in cui, i sei paesi si sono confrontati sul tema su proposta del Pakistan. Insomma, è chiaro, anche questo è un modo per dire al mondo: ora che gli americani sono stati sconfitti in Afghanistan, possiamo pensare a come contrastare il terrorismo di Daesh e Al Qaida in Afghanistan. Dal canto suo l’America può solo rivendicare la necessità di lasciare ad altri, Cina innanzitutto, la patata bollente asiatica.
Infine, il vero passo indietro dell’America dell’11 settembre 2021, è l’ammissione pubblica della necessità di un nuovo assetto euroatlantico, che ritrovi una nuova leadership che superi la presenza predominate americana nella NATO. Insomma non c’è più l’America “difensore del mondo”.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports