Si riesce ancora a partire, da Kabul, ma il dramma è per coloro che si trovano in altre città dell’Afghanistan, come Herat, ad oltre venti ore di viaggio di macchina, per la capitale. Sono circa 3.000 i collaboratori afghani messi in sicurezza, che in questi vent’anni hanno contribuito al grande lavoro svolto dagli italiani in Afghanistan. Purtroppo, però, ve ne sono moltissimi, soprattutto nella provincia di Herat, che al momento sono bloccati, con grosse difficoltà a spostarsi da Herat per Kabul.
Dopo la diffusione delle immagini sulla rete dell’atroce fine destinata a Hajji Mohammed Achaksai, comandante della polizia della provincia di Badghis, a nordest di Herat, umiliato e giustiziato da un gruppo di talebani, ora chi non è riuscito a partire per Kabul sta vivendo ore di terrore. Hajji Mohammed Achaksai era stato catturato dai talebani nell’area di Herat la scorsa settimana. E’ stato giustiziato senza alcuna pietà; nel video l’uomo è mostrato in ginocchio, ammanettato e bendato. Pochi secondi dopo viene ucciso da una raffica di proiettili.
Dal Ministero della Difesa italiano assicurano che il ponte aereo da Kabul proseguirà per tutto agosto e alla fine saranno evacuate tutte le persone segnalate dalla Farnesina, tra collaboratori e famigliari di chi ha lavorato con il contingente italiano a Herat. Ma la situazione, ora dopo ora, si fa sempre di difficile. Ad oggi, dall’inizio dell’Operazione Aquila Omnia, sono 2.497 i cittadini afghani arrivati in Italia. 1.701 solo negli ultimi sette giorni. 454 sono donne e 546 bambini. A Kabul ci sarebbero almeno altri 800 afghani pronti per essere imbarcati sui C-130J dell’Aeronautica Militare italiana. L’impegno della Difesa è di primissimo piano. L’Operazione Aquila Omnia, pianificata e diretta dal Comando Operativo di Vertice Interforze, comandato dal Generale Luciano Portolano, dispone di otto aerei, quattro KC-767A, che si alternano tra l’area di operazione e l’Italia e quattro C-130J, questi ultimi dislocati in Kuwait, da cui parte il ponte aereo per Kabul. Ad operare sono oltre 1.500 militari italiani del Comando Operativo di Vertice Interforze, impegnati su disposizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, in questa complessa operazione tra Roma e Kabul.
Sul fronte politico intanto il portavoce talebano, Zabihullah Mujahid, ieri ha comunicato che sono in corso colloqui sulla formazione di un nuovo governo con i leader politici afgani; un nuovo governo, secondo i talebani, sarà annunciato nei prossimi giorni. Il lavoro è complesso, anche se i membri dell’ufficio politico dei talebani si sono incontrati a Kabul con politici di spessore, tra cui l’ex presidente Hamid Karzai e Abdullah Abdullah, il capo dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale (HCNR). Il tema centrale è la formazione di un governo inclusivo. Intanto, all’aeroporto di Kabul, la situazione si è complicata; ufficialmente al momento ci sarebbe un morto e tre feriti tra i soldati afghani in uno scontro a fuoco con assalitori non identificati. Un’altra vittima che si aggiunge ai venti morti nella calca delle migliaia di persone che cercano di fuggire.
Imperversano le polemiche politiche intanto, sull’amministrazione americana, che vede assottigliarsi sempre di più il tempo disponibile per evacuare da Kabul americani e civili; la data del 31 agosto è imminente e, nelle ultime ore, i talebani hanno fatto sapere che dopo quella data ci potranno essere ritorsioni. Il rientro delle truppe americane, senza interferenze militari talebane, è il cuore degli accordi siglati nel 2020 dall’amministrazione Trump: un accordo di pace con i talebani che garantisce il ritiro delle truppe statunitensi e uno scambio di prigionieri, anche se il governo afghano ha sottolineato di non essere incluso nell’accordo. Nell’aprile scorso, il neoeletto presidente americano Joe Biden ha annunciato quindi il ritiro completo delle forze statunitensi entro l’11 settembre. L’insurrezione talebana si è successivamente intensificata, portando al rapida caduta delle forze governative in tutto il paese. Va detto che la guerra in Afghanistan ha causato la morte di almeno 157.000 persone; lo afferma il rapporto del 2019 del progetto Costs of War della Brown University. Il progetto stima che 5,3 milioni di persone sono state sfollate internamente o abbiano dovuto lasciare il paese. A questo si aggiunge un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del marzo scorso, che ha stimato che la guerra e la ricostruzione in Afghanistan negli ultimi vent’anni, sono costate al dipartimento 837,3 miliardi di dollari (710,9 miliardi di euro), cifra che secondo altre stime sfiora i mille miliardi di dollari. Ma il dramma afghano non finisce qui. Ora bisognerà fare i conti con almeno 2,9 milioni di sfollati oltre ai 2,6 milioni già formalmente registrati come rifugiati all’estero. Alcune migliaia intanto sono richiedenti asilo in attesa dell’esito della propria richiesta. La stragrande maggioranza dei rifugiati afghani ha un’età media di 25 anni. Sono i dati dell’ultimo aggiornamento UNHCR di pochi giorni fa.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports