Il rischio ora, oltre tutto, è la guerra civile. Si, perché ora, dopo aver compreso che l’Esercito Afghano non esiste, dopo aver compreso che quella normalità difficile che ragnava fino a qualche giorno fa nelle città e nei villaggi afghani, se pur con tante difficoltà, era assimilabile a quella utopia definita da molti libertà o da altri democrazia, anche in Afghanistan, ora il rischio è la guerra civile.
Ora, che non ci sono più per le strade i Lince dell’Esercito Italiano o gli Hammer americani, con uomini in mimetica e fucili mitragliatori spianati, quegli stessi soldati considerati per molto tempo invasori, ma che garantivano libertà e sicurezza, ora il popolo inizia a prendere coscienza che il futuro potrebbe essere peggio del passato prossimo.
Forse è proprio questo il corso naturale delle cose che devono accadere in Afghanistan. Oramai siamo andati oltre, il confine è già superato abbondantemente sul tema ritorno dei talebani al potere. Si, perché in realtà la notizia dei talebani al potere ha sconvolto solo il mondo occidentale e, naturalmente, tutti coloro che in Afghanistan avevano collaborato, creduto, sperato nel percorso tracciato dalle forze della coalizione internazionale in questi ultimi vent’anni.
In verità, il sentore che le cose dovessero cambiare a breve ed in fretta, gli afghani lo avevano. Per certi versi lo speravano anche. Mi spiego. E’ la storia che si ripete, il ciclo della democrazia e dei sistemi di poteri, soprattutto in realtà culturali frammentate e disomogenee come è l’Afghanistan, è destinato sempre alla creazione, nel medio e nel lungo periodo di sistemi di potere che rafforzano etnie, tribù, clan e ne indeboliscono altre. Insomma sistemi di potere che rafforzano gli uni a discapito di altri. E’ accaduto in passato, è accaduto anche ora in Afghanistan.
La riprova è la risposta alla domanda di quale etnia è il fuggitivo presidente Ghani? La realtà sociale e politica dell’Afghanistan è troppo complessa per essere compresa appieno dalla società occidentale. Ecco perché è facile commettere errori e mi si perdoni la franchezza, perseverare anche negli errori. E’ una grande bugia quella che gli occidentali hanno tentato di esportare la democrazia in Afghanistan; non è questo che è stato fatto. E’ una grande verità però il fatto che l’occidente non ha compreso la logica del dinamismo etnico, ben 75 le etnie principali in Afghanistan, ed ha finito per favorire chi meglio si prestava al soddisfacimento delle esigenze di gestione dell’area dell’occidente e non degli afghani.
In questi anni di presenza straniera nel Paese, però, in tanti hanno compreso che un modello di vita, di civiltà, di cultura, di politica, diverso da quello per troppi anni imposto agli afghani è possibile anche lì, nelle loro città. Un modello di società che sia il giusto equilibrio tra un Paese islamico ed una società democratica. Gli afghani, in molti, certo non tutti, lo hanno compreso.
Ecco quindi perché in queste ore centinaia di giovani sono scesi in piazza a Jalalabad sventolando la bandiera nazionale afgana contro la presa di potere da parte dei talebani. Secondo testimoni, i talebani hanno sparato in aria e poi contro i manifestanti. Sembra siano stati aggrediti anche alcuni giornalisti presenti. Sui social la notizia si sta diffondendo corredata di foto e video e secondo alcuni utenti ci sono due civili morti.
Inizia forse la ribellione ai talebani? Si, potrebbe. Il rischio è concreto e lo sanno anche i talebani. Non è un caso che durante la prima conferenza stampa dopo la conquista di Kabul i talebani hanno assicurato: “Nessuna vendetta nei confronti dei collaboratori”. “Le donne parteciperanno alla vita sociale, potranno andare a scuola”, ma – hanno precisato – sempre nel rispetto della legge islamica, della Sharia. Addirittura, si sono spinti oltre affermando che i talebani hanno perdonato tutti, sulla base di ordini dei loro leader, e non nutrono inimicizia nei confronti di nessuno. Lo ha detto il portavoce, Zabihullah Mujahid, in una conferenza stampa. Mujahid ha dichiarato che “presto sarà raggiunto un accordo con cui verrà insediato un governo islamico nel Paese”. “Dopo 20 anni di lotta abbiamo liberato il paese ed espulso gli stranieri. E’ un momento di orgoglio per l’intera nazione”, ha detto.
L’emirato islamico dell’Afghanistan promette a tutti i paesi del mondo, che l’Afghanistan non sarà una minaccia per nessun paese, ha detto il portavoce dei talebani. Eccolo il tentativo, necessario ora, per far calmare le acque e tentare, si tentare, di iniziare un percorso nuovo per i talebani, ma soprattutto per gli afghani. Se la ribellione di Jalalabad prende piede e si espande, il rischio reale ora è la guerra civile. Forse è questo il destino di una terra, dove gli stranieri perdono sempre; la tomba degli imperi. Il destino di un Paese dove però per secoli i più forti hanno sempre preso il potere in armi e governato sui più deboli.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports