Si è completato il recupero e la valorizzazione dell’area antistante lo Stand Florio, un tempo luogo di svago della borghesia successivamente abbandonato a degrado e abusivismo, un recupero avvenuto non solo con lo sgombero e la ripulitura ma destinando il nuovo spazio verde ad accogliere la nuova opera dell’artista palermitano Giacomo Rizzo, scultore e docente all’Accademia, affascinato nella propria ricerca da un ripensamento dei volumi, dei soggetti ma soprattutto alla funzione delle arti plastiche. L’opera “Esperanza” è stata pensata per questo spazio reso nuovamente fruibile per la città e si definisce perciò un “site specific”; è una creazione strettamente legata al luogo e ai valori che si intendono trasmettere.
L’inaugurazione è ormai imminente, sarà sabato 7 agosto alle ore 19 in presenza delle autorità municipali: il sindaco Leoluca Orlando, il vicesindaco Fabio Giambrone, l’assessore comunale alle Culture Mario Zito. Naturalmente ad accoglierli vi saranno l’artista, professor Rizzo e l’ideatore del recupero dello Stand Florio come centro per l’alta cultura e l’arte contemporanea: Fabio Vajana.
Prima di descrivere “Esperanza” l’affascinante scultura in resina che Palermo riceve in dono, è utile soffermarci sulla poetica dell’artista, così da apprezzarne maggiormente la novità e la compiutezza della ricerca. Giacomo Rizzo, agli esordi della propria ricerca attraverso la tecnica del disegno a china aveva reso la tessitura e l’impronta delle forze geologiche. Successivamente arrivò a coglierne la plasticità con il procedimento dello “strappo”, catturando la superficie attraverso un’impronta di resina che permette di riprodurre e duplicare esattamente il risultato fisico e spaziale dell’orogenesi. Il fine non è quello di raffigurare, di fingere, di evocare ma portare l’osservatore in presenza dell’atto vitale, quando lo strappo blocca e cristallizza una corteccia tormentata, o dell’incommensurabile fluire del tempo che noi possiamo percepire solo attraverso il suo riflesso di sedimentazione, erosioni, ribollire magmatico. Perché l’artista sente attraverso la scultura la necessità di farsi tramite con il pulsare dell’universo? Cosa cerca di comunicare, perché compie questo gesto? Solo nell’origine mediterranea della sua arte credo possa esserci una risposta, passando attraverso la sacralità di Bisanzio, la luce delle icone, l’epifania del sacro improvvisamente svelato al mondo. Quando, nel silenzio claustrale tra foglie d’oro, rossa terra d’Armenia e lumeggiature dipinte con tradizioni rigorose, appare il trascendente l’arte ha assolto alla propria funzione di aprire attraverso i sensi la mente e il cuore sul divino, che è oltre il tempo, lo sostiene e lo rende manifesto. Così lo strappo, momento di totale comunicazione fra l’artista e l’universo, permette di riprodurre l’emozione, la presa di coscienza, la consapevolezza di comprendere nell’istante la totalità.
L’arte di Giacomo Rizzo è una ricerca molto particolare, quella di uno scultore che invece di usare la materia grezza per trasformarla e forzarla nella simulazione di altri elementi come per migliaia di anni si è cercato di fare, ha cercato invece di cogliere la forza intrinseca, la traccia delle immani forze che le hanno dato carattere e forma. Questa scelta ha fatto di Rizzo un cercatore, un avido cacciatore di segni e volumi, di esistenze organiche o di evidenze geologiche. Poi, con l’attenzione e il rispetto di chi guarda alla vita con l’umiltà del sapiente, ne ha catturato l’essenza, senza ferire né appropriarsi, senza distruggerla ma prendendone il calco. Dopo il lungo periodo trascorso negli Stati Uniti, come residenza d’artista al Mana Contemporary, la sua attenzione si è aperta a universi spesso inesplorati nella scultura: da una parte il ricordo, inteso come filo mentale o fisico che lega la materia all’esperienza, alla rimembranza; ne abbiamo visto esempi evocativi nelle opere esposte a Lisbona. Dall’altra la crescita e propagazione biologica, che sembra dare vita a esseri primordiali, spongiformi capaci di costruire spazi e architetture nuove, infinite, non lontane dalla logica di una barriera corallina.
“Esperanza” propone un afflato vitale che si fa materia, evolve, modifica, gioca con la propria immagine proiettata sul prato, creando un volume di candida luce e arabeschi d’ombra in continuo movimento. Una scultura che si protende, si espande e sembra aprire la spigolosa struttura geometrica che l’osservatore legge come preesistente. Forme angolari che ricordano puntrelle di metallo ma si presentano simili al travertino di cava, come grovigli rimasti da edifici abbattuti, frammenti di una logica raziocinante che hanno perduto nel disastro la propria funzione e diventano parti di una forma nuova, avvolgente e liberatoria, aperta al flusso del tempo, dell’acqua o del vento. L’artista tributa questo trine al carattere moresco dell’architettura Florio, ai trafori ritmati delle finestre arabe osservate nei suoi soggiorni a Cordoba; ne ha raccolto, attraverso l’insolito riuso di materiali dell’industria, forma e leggerezza. Ha seguito la logica dei coralli, di esseri primordiali che inglobano per costruire ancorandosi alla liscia freddezza delle superfici per un continuo rinnovarsi. Principi organici, pronti ad espandersi, moltiplicarsi, sovrapporsi, diventare foresta, flora e fauna futura nata sul relitto della società dei consumi. Una metamorfosi che lega le macerie del passato e le porta a fiorire, così nella scultura, nel quartiere, nell’intera città.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito
“Esperanza” di Giacomo Rizzo
7 agosto 2021 alle ore 19
Palermo, Stand Florio in Via Messina Marine, 40
Facebook: www.facebook.com/OfficialStandFlorio