Nei primi giorni di marzo dello scorso anno, giusto qualche ora prima che l’Italia si fermasse a causa della pandemia, rientravo dal mio ultimo viaggio in Kosovo. Negli anni ho provato più volte ad approfondire un argomento, cercando e provando a carpire, dalla memoria dei testimoni diretti di quei giorni, cosa fosse veramente accaduto a circa quattrocento, tra donne e uomini di etnia rom, serbi ed anche albanesi, nell’estate del 1999. Scomparsi senza lasciare alcuna traccia.
I giorni tristi della pandemia dello scorso anno, mi lasciarono il tempo di rielaborare ed analizzare materiali ed appunti che avevo raccolto sul tema. Nel mentre, nel novembre dello corso anno, arrivava però la notizia che per certi versi confermava molte voci che mi erano state sussurrate, nei miei viaggi in Kosovo. Hashim Thaçi, il presidente del Kosovo veniva accusato formalmente di crimini di guerra dalla Corte internazionale.
Thaçi ed i suoi ex collaboratori dell’UCK venivano accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi tra il 1999 e il 2000. In tutto 11 ex comandanti dell’UCK, accusati di aver commesso 100 omicidi di serbi, albanesi, rom e rappresentanti di altre nazionalità. Il 5 novembre Hashim Thaçi si dimettaeva dalla carica di presidente del Kosovo: “Al fine di proteggere l’integrità del Kosovo e con tutto il rispetto per la comunità internazionale, oggi mi dimetto dalla presidenza. Sono molto orgoglioso della responsabilità che mi è stata data. In queste nuove condizioni, esorto le forze politiche a stare attente e a non impantanarsi in una crisi istituzionale” affermava.
Oltre ogni inimmaginabile violenza, scaturita dall’odio etnico e dalla guerra, rimane aperta la ferita di una vicenda oscura che ancora non è stata del tutto chiarita. Lo scandalo del traffico d’organi, quello accertato presso la Clinica Medicus a Pristina. In realtà cinque persone per questa vicenda sono già state condannate da EULEX, la missione EU per la ricostruzione dello stato di diritto del Kosovo, che poi ha messo in piedi anche una seconda inchiesta che mira a figure di spicco del PDK. Facciamo un passo indietro però. L’inchiesta sulla Clinica Medicus, in verità nacque per caso. Una mattina del 2008, un giovane turco di 23 anni, di nome Yilman Altun, al posto di Polizia di Frontiera a Pristina, mentre era in fila all’aeroporto, praticamente perse i sensi, svenne. L’intervento immediato dei poliziotti per soccorrerlo e la strana scoperta: il giovane, sotto la maglietta, mostrava due segni, due cicatrici fresche, all’altezza dell’addome. Una volta rianimato, incalzato dai poliziotti, Yilman Altun, questo il nome del giovane, affermò di essere stato appena operato ai reni, insomma fece ben capire che qualcosa di strano accadeva nella Clinica Medicus. L’immediata irruzione della polizia nel piccolo ospedale alla periferia di Pristina, consentì di trovare ancora sul letto d’ospedale, un 74enne israeliano, Bezalel Shafran, che in seguito ai magistrati raccontò di trovarsi lì per un trapianto di rene pagato 90mila euro. Ecco come venne fuori la verità sugli orrori della Medicus.
La questione però è complessa, perché la radice del tutto deve essere ricercata per forza di cose nei fatti che avvennero durante i mesi della guerra. La prima a parlare di commercio d’organi in Kosovo, in verità fu Carla Del Ponte, magistrato dal 1999 al 2007 del Icty, il tribunale penale internazionale dell’ex Jugoslavia per crimini di guerra; nel 2010 se ne parla ampiamente nel rapporto di Dick Mary. Successivamente Clint Williamson, procuratore americano a capo della Special Investigative Task Force, (SIFT), istituita dall’UE, nel suo rapporto ha indicato precise responsabilità dell’UCK per le brutalità avvenute nell’estate 1999 sulle minoranze serbe e rom.
Si parlava esplicitamente di omicidi, rapimenti, violenze sessuali, distruzione di chiese e di altri siti religiosi. Williamson in verità fa molto di più. Asserisce che nelle sue indagini ha avuto riscontri che confermavano che alcuni prigionieri erano stati oggetto di un traffico d’organi. Venivano indicatati poi i campi di reclusione dei villaggi di Cahan, Kukës, Bicaj, Burrel Rripe, Fushë-Krujë, nelle montagne fra Kosovo e Albania. Gli inquirenti identificavano la cosiddetta “casa gialla”, un casolare color girasole del villaggio di Rripe, dove i prigionieri venivano mandati nelle sale operatorie e poi uccisi.
I loro organi estratti, venivano venduti sul mercato internazionale. Va detto comunque che indagare sulla vicenda, per stessa ammissione degli investigatori, è sempre stato molto duro. Lo stesso Williamson denunciava un clima di intimidazione sui testimoni. La giustizia nel tempo un primo importante passo in avanti lo ha fatto, sulla vicenda. Va infatti ricordato che alcuni fra i presunti ideatori del traffico d’organi dello scandalo della Clinica Medicus, sono stati già condannati. Si tratta dei due proprietari della clinica e tre membri dello staff medico condannati a un totale di venti anni di carcere.
Rimarrebbe ancora da individuare la rete, quindi il network di chirurghi e intermediari coinvolti, capaci di procacciare donatori dai paesi sottosviluppati e acquirenti dal mondo ricco alla ricerca di fegati, reni e cornee. Ora si aspettano gli esiti del processo a Hashim Thaçi e gli altri nove, tra cui quello di Kadri Veseli, ex speaker del Parlamento e leader del partito democratico (PDK), accusati di oltre 100 omicidi. Servirà questo a chiudere definitivamente la storia di una pagina delle pagine più sanguinose dei Balcani.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports
Photo by Mrika Selimi