I resti fossili della Grotta dei Puntali, nei pressi di Carini, rappresentano il campione più vasto e meglio conservato di P. mnaidriensis, uno degli elefanti nani che ha popolato la Sicilia durante il Pleistocene.
Un team internazionale di ricercatori che ha coinvolto le Università di Palermo, Potsdam, York, Islanda, Cambridge e il Museo di Storia Naturale di Londra, ha recuperato con successo il DNA antico da uno dei crani della collezione del Museo di Geologico Gemmellaro del Sistema Museale di Ateneo, dimostrando che uno dei più grandi mammiferi terrestri si è ridotto di taglia perdendo più di 8 mila chili di peso e quasi 2 metri di altezza.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Current Biology col titolo “Estimating the dwarfing rate of an extinct Sicilian elephant” ha rivelato che l’elefante nano siciliano, alto meno di 2 metri, si è ridotto di 200 chili e 4 centimetri di altezza per generazione. Combinando l’analisi del DNA antico con i dati paleontologici e geocronologici, si è riusciti per la prima volta a stimare il tasso di nanismo di un elefante siciliano appartenente alla specie Palaeoloxodon mnaidriensis, presente in Sicilia probabilmente fino a 19 mila anni fa, come rivela una recente datazione.
Per lo studio, i ricercatori hanno analizzato un pezzo di osso petroso (parte del cranio che contiene gli organi dell’orecchio interno) che conserva meglio il DNA rispetto ad altre parti dello scheletro. Il ritrovamento di DNA in reperti fossili provenienti dal Mediterraneo è un fatto del tutto eccezionale, in quanto le condizioni climatiche non ne hanno permesso, in genere, la preservazione.
Il suo antenato, Palaeoloxodon antiquus era invece alto quasi 4 metri con un peso di dieci tonnellate ed è vissuto in Europa tra 800 mila e 40 mila anni fa. Utilizzando l’età stimata dell’elefante dei Puntali e le dimensioni e la massa del suo antenato Paleoloxodon antiquus, il team è stato in grado di calcolare le dimensioni e il tasso di riduzione della massa corporea per anno e per generazione.
“I risultati di questo studio – STEBICEF di UniPa – sono di estrema importanza perché permettono di apprezzare la dimensione temporale dei processi evolutivi in atto sulle specie endemiche insulari” ha commentato il dott. Giulio Catalano, assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche.
“A 150 anni dalla loro scoperta, gli elefanti fossili della Grotta dei Puntali ci riservano ancora delle sorprese. Le specie nane e giganti che un tempo hanno popolato la Sicilia sono, sin dalla loro scoperta, oggetto di studio e ricerca da parte di studiosi di tutto il mondo per tentare di capire il tasso di cambiamento. L’evoluzione delle faune sulle isole è un processo che può portare a una varietà di cambiamenti estremi come gigantismo e nanismo in un breve lasso di tempo. Questo studio rappresenta un caposaldo per comprendere tali fenomeni” spiega Carolina Di Patti, curatrice del Museo Gemmellaro.
“Si sottolinea la funzione scientifica e culturale delle collezioni custodite nei Musei del Sistema Museale dell’Ateneo. Nel caso degli elefanti della Grotta dei Puntali i reperti furono raccolti da Gaetano Giorgio Gemmellaro che effettuò uno scavo tra il 1868 e il 1870. La Collezione è costituita, per la maggior parte, da resti di elefanti rappresentativi di tutte le parti anatomiche, tanto che è stato possibile ricostruire diversi scheletri. La preservazione di tali collezioni, grazie al ruolo svolto dai conservatori nel tempo, ne permette oggi lo studio con tecniche sempre più sofisticate” ha dichiarato il direttore del Museo prof. Pietro Di Stefano.
di Redazione – EmmeReports