Sembrerebbe che la parola d’ordine è quello di non lasciare il Paese in mano ai talebani e avere un “pied-à-terre” a Kabul. L’impegno dell’Italia a favore dell’Afghanistan è stato confermato ieri dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, durante la conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato USA Anthony Blinken, al termine della riunione ministeriale della Coalizione anti-Daesh alla Fiera di Roma.
“L’Italia aumenterà il suo sforzo di cooperazione allo sviluppo per aiutare le istituzioni afghane. Il ritiro della parte militare non significa abbandonare l’Afghanistan per l’Italia, ma significa anzi dover profondere uno sforzo in più per rafforzare le istituzioni attraverso la cooperazione allo sviluppo, programmi di training della polizia e delle forze locali” ha sottolineato Di Maio.
Enunciazioni chiare, sembrerebbe. Tuttavia rimane il dubbio, soprattutto per chi ha conosciuto l’ambiente politico e sociale afghano. In che modo, realmente offriremo cooperazione all’Afghanistan? Va ricordato che proprio in queste ore è in corso il ritiro delle forze militari della coalizione internazionale che, comunque sarà perfezionato entro la data limite del prossimo 11 settembre.
Tuttavia, fonti interne al comando militare americano a Kabul hanno confermato che circa 650 militari statunitensi rimarranno in Afghanistan anche dopo il completamento delle operazioni. Ad inizio del 2021 erano ancora 3.500 i militari statunitensi presenti in Afghanistan.
La questione del “pied-à-terre” in un angolo di mondo, strategico per gli assetti del mondo rimane aperta. Occorre infatti ricordare che, oltre la caccia ad Osama Bin Laden, dopo il crollo delle torri gemelle a New York l’11 settembre, la missione americana nel Paese era soprattutto frutto di una visione geopolitica che mettesse gli Stati Uniti nella condizione di poter controllare un corridoio strategico in Asia verso la Cina. basterebbe ricordare che l’Afghanistan confina per 76 chilometri con la Cina e poi a nord ovest c’è la Russia, ad ovest c’è l’Iran.
Insomma restare in Afghanistan significa avere un pied-à-terre strategico sulla scacchiera geopolitica orientale. E’ chiaro che tutto questo deve passare attraverso il filtraggio di un linguaggio diplomatico diverso, che sia accettato dal popolo afghano, ma anche da Cina, Russia, il Pakistan e l’Iran. Dunque si pone la questione di non lasciare Afghanistan senza alcuna copertura militare americana e della NATO.
La preoccupazione crescente per la potenziale instabilità della regione che potrebbe avere poi riverberi in altri Paesi del Medio Oriente e dell’Asia offre l’opportunità di mantenere un presidio militare occidentale per scongiurare una possibile minaccia di violenze e guerra civile. Ritornare nelle grazie del popolo afghano è l’obiettivo reale di Biden che ha già assicurato un sostegno finanziario al governo e al popolo afghano, nell’immediatezza con un programma di assistenza umanitaria da 266 milioni di dollari e con l’invio di ben 3,3 miliardi di dollari in aiuti alla ricostruzione. Non solo, il presidente USA ha già confermato l’invio di un carico di vaccini per sconfiggere la pandemia di Covid-19 e milioni di dispositivi di protezione individuale e macchinari utili agli ospedali. Intanto però i militanti talebani hanno ripreso ad avanzare in tutto il Paese.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports