Alla Kou Gallery la mostra il “Segno segreto” curata da Massimo Scaringella raccoglie diverse opere su carta di artisti chiave del panorama contemporaneo svelando una riflessione sicuramente più intima e raccolta delle loro ricerche: lavorare su un foglio di carta, infatti, crea una particolare relazione di intima comunanza tra l’opera e chi la sta realizzando. Lo spiega dettagliatamente il Curatore dell’evento: “l’artista per dipingere deve in qualche modo mantenere una distanza dalla tela e spesso allontanarsi per verificare meglio la tensione dei colori e la prospettiva dell’immagine. Il disegno, per sua natura, richiede una distanza e allo stesso tempo una focalizzazione dello sguardo molto più vicina e costante, quasi assimilata a quando si scrive, in un campo visivo limitato e fisso per catturare tutto nel suo insieme, anche nei disegni complessi e dettagliati”.
Siamo invece abituati a considerare la carta come supporto di una stampa multipla, un prodotto più commerciale la cui principale importanza è quella di accogliere e mantenere nel tempo la varietà cromatica e la brillantezza di serigrafie e litografie, o di diventare materia tattile nella stampa al torchio dove lo spazio della lastra lascia comunque la propria traccia diventando la scena, quasi teatrale, in cui si manifesta e resta impressa l’espressione grafica dell’incisore. Per questo motivo “Segno segreto” assume un profondo significato culturale, perché mette in luce uno spazio dell’arte che troppo spesso non viene valorizzato.
“L’idea, il concetto del disegno” – commenta ancora Massimo Scaringella – ha dominato per vari secoli la cultura italiana dal Rinascimento in poi diventando scuola nel resto del mondo. La padronanza del disegno è stato il pensiero ossessivo per molte generazioni di artisti considerandolo il primo fondamento dell’arte ad essere elevato a principio Universale. Il disegno stava così alla radice della realizzazione dell’opera d’arte, ma spesso, e molto di più nel nostro tempo contemporaneo, è considerato da molti artisti come opera unica, come vera espressione creativa a cui non è necessario far seguito altro. In cui l’elemento base del foglio di carta, nelle sue molteplici espressioni, ne esalta la componente materica”.
Il disegno perde così la propria funzione bozzettistica, di progettazione o comprensione da parte dell’artista di un dato del reale. Non è più una maniera dettagliata di raccontare ad altri, allievi di bottega e esecutori, o conservare per sé stessi in una sorta di diario intimo cui attingere per futuri sviluppi. Perde anche la delimitazione tecnica, confinata prima alla sanguigna, alla punta d’argento, alla grafite in tutte le sue gradazioni di grigi e di nero, dalle più morbide e pastose alle più secche e graffianti. Si libera e dà all’artista piena libertà, diventando un nuovo spazio dell’arte su cui tracciare intuizioni germinali e svilupparle in un rapporto diretto, scorrevole, non istituzionale ma nemmeno transitorio: forse la rappresentazione più vera e immediata del mondo di idee che ogni artista custodisce nel proprio universo poetico.
Raccontiamo ora alcune di queste opere in mostra osservandone finitezza e autonomia, quasi che la carta abbia saputo assorbire la poetica del singolo artista perdendo la funzione di supporto per diventare l’altro elemento del dialogo interiore, lo spazio apparentemente neutro che è invece stimolo per un confronto serrato tra la mente e la mano di chi crea. In copertina un lavoro di Marco Petrella, illustratore e disegnatore di fumetti, padre di Arturo il libraio appassionato di letteratura, che vive immerso fra i libri del proprio negozio, avido lettore e promotore del testo scritto con un occhio di particolare attenzione alla narrativa americana. Arturo, alter ego dell’artista, racconta dei suoi viaggi fra le parole con vignette asciutte ed eleganti, limpide e precise aprendosi all’osservatore con semplicità e senza misteri. A differenza delle strisce apparse su “Cuore”, “il Manifesto” e “l’Unità” in quest’opera l’artista aggiunge un intervento materico allo spazio narrativo frapponendo un distacco tra il proprio segno e il tempo della creazione, la fisicità del lavoro che dona al disegno una nostalgica punta di malinconia.
Giacinto Cerone (1957-2004) ha invece lasciato un’opera principalmente plastica, lavorando materiali molto diversi dal legno al marmo o all’alluminio, dal gesso alla ceramica ai polimeri, sempre con un gesto irruente e istantaneo, in una continua sfida tra il corpo grezzo da modellare e il bisogno di lasciare di questo confronto fisico, dell’appropriazione attraverso il gesto. Le opere su carta hanno avuto un ruolo importante nella sua produzione, ad esempio in Tripoli, un libretto d’artista edito da Corraini nel 2001. Nei suoi lavori in mostra il mondo naturale lascia una presenza indiretta ma essenziale per costruire la composizione o sfuma nel ricordo di una percezione visiva che è vibrata per un attimo nel suo universo mentale.
Di Mario Merz (1925-2003) tutti ricordano gli igloo realizzati coi materiali più disparati ma sempre nella fascinazione di una cupola concepita come spirale decrescente, linea primordiale capace di avvolgere, proteggere ma anche unire il mondo fisico e la volta celeste, l’asse cosmico improvvisamente ritrovato; oppure, sempre restando sulla progressione, le serie di Fibonacci come processo di crescita del mondo naturale. Anche in quest’opera su carta, così vibrante e lirica, si ritrova il proliferare ordinato di corpi germinativi elementari, potrebbero essere cellule, semi di melagrana, aggregati urbani, intrisi di colore e luce. Un aspetto lontano dal Merz dei tubi al neon ma capace di mostrare il suo legame più intimo con i ritmi della crescita biologica, con l’essenza strutturale della natura.
Infine due artiste, donne che hanno fatto perno sul proprio universo interiore per dare risposte solo apparentemente lontane allo squilibrio di un’Italia immemore delle proprie radici etrusche e per venti secoli assolutamente maschile e maschilista. Tomaso Binga e Elisa Montessori. Coetanee, entrambe del 1931, hanno contribuito con forza al rinnovamento culturale della nostra società.
Bianca Pucciarelli in Menna è il volto femminile, carico di energia generatrice, di ironia paradossale e di grande, delicatissima sensibilità, che sta dietro lo pseudonimo futurista di Tomaso Binga. Una vita donata alla causa dell’emancipazione, allo scardinamento radicale di un universo innaturale, fittizio e costrittivo basato sull’autoproclamata superiorità del maschio. L’alfabeto, e l’alfabetizzazione, per millenni feudo maschile sono un segno potente di un mondo chiuso, rigoroso e fragile entro cui Tomaso Binga attraverso le Scritture viventi e l’Alfabetiere murale prorompe con la nuda presenza del proprio corpo atteggiato a lettera e fotografato da Verita Monselles. Corpo di Tomaso Binga in forma di N per il no per il referendum abrogativo del 1974 della Legge sul divorzio è la risposta a questa serie ordinata di lettere, un alfabeto da sovvertire per rompere dalle fondamenta la mentalità bigotta che lo ha imposto e lo sostiene.
Elisa Montessori si è invece confrontata con le geometrie della mentalità maschile in maniera dialettica, dopo aver trascorso pochi anni della propria vita coniugale accanto al rigore scientifico di Mario Chen, l’ingegnere che avrebbe dato all’Italia un posto di primo piano nell’era dell’informatica se la morte non lo avesse strappato troppo presto dalla sua geniale collaborazione con l’Olivetti. In una casa progettata dall’altrettanto rigoroso designer Emilio Sotsass, più volte Compasso d’oro e a sua volta legato all’azienda di Ivrea. La Montessori artista e madre impara a rubare l’attenzione dell’osservatore creando un tempo del dialogo, sospeso e fatto di tracce, dove appaiono elementi autobiografici ma servono semplicemente per sollecitare uno scambio, trovare elementi condivisi senza imporre un filtro o una chiave di lettura. Femminilità come presenza, solitudine gratuità del dono e invito all’incontro.
“Segno segreto”, a cura di Massimo Scaringella
fino al 25 giugno 2021 presso la Kou Gallery, Via della Barchetta, 1 – Roma
Di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito