L’artista Costanza Alvarez de Castro usa una grammatica ed una lingua antica per sfidare la dimensione contemporanea creando nei dipinti ad olio un triplice livello di lettura. La rappresentazione, che corrisponde alla parola; l’equilibrio e il peso visivo, in cui l’esperienza astratta ed espressionista mantiene la propria forza pur ricondotta in una forma reale; l’intuizione, che è la nuova estetica e il contenuto assolutamente personale e rivoluzionario della sua arte.
L’universo è visto come un continuo fluire dove ogni corpo, per pochi istanti nelle perfette condizioni di luce e scorcio, si presenta nella propria assoluta bellezza. La pittura non dà quasi mai il giusto peso all’effimera condizione ottimale della percezione: il soggetto è fissato in uno fra gli infiniti istanti dell’esistenza, vi è una necessaria dipendenza astrale perché solo in quel momento sole e terra, luce e materia si amalgamano valorizzandosi reciprocamente. È l’artista che ha immaginato e atteso l’attimo perfetto, ne ha creato le condizioni e ne cattura la fuggevolezza. In ogni opera si percepisce il rispetto, la sacralità, l’unicità di quel matrimonio, dell’amplesso fra il flusso del tempo e la perfezione dell’istante.
Lo studio della Alvarez de Castro è a Roma, in un palazzo del centro e verrebbe facile attribuire la radice dei suoi lavori all’ambiente culturale così intriso di barocco. Ma non è il riverbero di un mondo trascendente che bagna queste creazioni, non c’è grazia né terra assetata di riscatto. Troviamo invece qualcosa di molto più naturale, ellenistico o pompeiano, bello e privo di giudizio morale: la vita, nella sua complicatissima semplicità, che si presenta all’osservatore attraverso un momento di trasparente e cristallina purezza. In ogni opera si legge un rito ancestrale, dove il soggetto diventa improvvisa epifania dell’universo. Costanza Alvarez de Castro ci parla della sua arte dove ogni pennellata è un inno alla bellezza del cosmo.
Lei ha dipinto animali, fiori, frutta, le sue pennellate sono molto attente alla resa visiva, lontane invece dall’iperrealismo. Immagino che il suo interesse non stia principalmente nel soggetto ma sulla percezione dell’osservatore, è questo su cui si concentra?
Sì, credo che la percezione sia uno dei punti centrali del mio lavoro; non mi sono mai interessata all’iperrealismo, perché l’aspetto più importante per me è la resa pittorica e la padronanza tecnica della pittura ad olio nella sua forma più classica. Faccio molta attenzione alla composizione del quadro valutando quali sensazioni riesca ad evocare ciò che dipingo. Per fare questo occorre lavorare molto anche su aspetti meramente tecnici: la dimensione del soggetto raffigurato, la scelta dei colori, la neutralità dei fondi e, per fare un esempio, la linea orizzontale che è presente in molti dei miei lavori; sono tutti elementi assolutamente ponderati nella costruzione dell’opera. Inserire un soggetto classico, dipinto con una tecnica tradizionale in un contesto più moderno potrebbe apparire, ad uno sguardo superficiale, come qualcosa di surreale mentre occorre andare oltre guardando l’opera in una prospettiva contemporanea.
Se l’osservatore vede nella sua opera un coniglio, una pecora o un fiore è solo perché lei ha suggerito questo riferimento al reale, ma questo non è il vero significato?
Ciò che lega i miei soggetti, apparentemente molto diversi tra loro, è questo: in tutti effettuo una ricerca sulle forme, sui colori; il riferimento al reale è relativo. Quello che trovo interessante, siano pecore o melograni, è proprio la loro forma, il volume e i colori. Resto affascinata dalle relazioni di luce, materia, consistenza, dal loro peso visivo e abbandonarmi a questa osservazione rende meraviglioso il momento in cui li dipingo.
Quindi lei non rappresenta il reale ma quella particolare condizione in cui massima è la sua riconoscibilità, l’equilibrio, l’eleganza del soggetto?
Giorgio Morandi, che ammiro tantissimo, ha detto: “Ritengo che non vi sia nulla di più surreale e di più astratto del reale”. Trovo questa affermazione estremamente valida e mi torna spesso in mente. Ci può essere qualcosa di intrinsecamente astratto in un soggetto reale; non sempre è necessario soffermarsi sull’accuratezza della rappresentazione. Non è importante, almeno non lo è per me proprio perché l’essenza sta nell’equilibrio che è delicatissimo e lega tutti gli elementi che compongono il quadro.
L’osservatore scopre quindi che il verosimile può essere molto più coinvolgente dell’esperienza reale?
Sì, sono convinta di questo, l’esperienza reale in molti casi è fondamentale ma non sempre gode della stessa intensità. L’esperienza che vivo mentre dipingo e mi auguro che possa cogliere anche chi successivamente guarderà l’opera non sta nella rappresentazione fedele quanto nel coglierne l’essenza, la sua profonda ragion d’essere. La realtà spesso è piuttosto confusa ma io, come artista, ho la fortuna di poter creare un mondo in cui porre l’attenzione solo su quanto per me è più significativo. Posso decidere di porre l’accento su un particolare aspetto piuttosto che su un altro. Credo si tratti di cogliere il momento, quel tempo che non possiamo fermare nella vita reale ma nella pittura sì, ed è questa libertà di scegliere cosa e quando cristallizzare l’attimo che rende magica l’arte.
In questo potrebbe avvicinarsi alle figure della danza classica che esaltano i corpi fissandoli in pose altamente suggestive, quasi punteggiassero il fluire della danza?
Nella danza c’è un movimento continuo, nessuna posa di per sé è veramente statica nonostante agli occhi del pubblico possa apparire tale. Allo stesso modo io sento che nella staticità dei miei soggetti c’è un incessante fluire e la mia scelta di aver fermato, o per meglio dire costruito, l’istante.
Quando immagina l’opera e la distribuisce nello spazio prima di dipingerla ha l’impressione di creare una coreografia?
Trovo questa associazione molto pertinente: ideare un movimento di danza e comporre un quadro sono atti molto simili, pur usando strumenti diversi l’obiettivo da raggiungere è il medesimo, cioè quello di raccontare una storia che sia capace di trasmettere all’osservatore un’emozione. Nella mia vita il personale percorso nel mondo della danza è stato molto importante e per quanto non ne abbia fatto la mia carriera resta comunque parte di me e sempre mi accompagnerà, nel lavoro e nel processo creativo.
La natura è bellezza inconsapevole?
Decisamente sì, almeno per me. Penso che la potenza della natura stia proprio in questo: la sua bellezza senza canoni, perfetta così com’è. Quando mi soffermo ad osservarla mi lascia in uno stato di estasi assoluta.
Potremmo definire la sua arte il tentativo di donare un’esperienza estatica o contemplativa?
Il tentativo c’è. Chiaramente riuscire a dare un’esperienza di così perfetto equilibrio è davvero molto difficile e non penso di esserci ancora veramente riuscita. Ritengo che tentare e ritentare sia però necessario e questa ricerca in ogni caso diventi di per sé stimolante. Cerco una sintesi fra ciò che creo e quello che desidero trasmettere. L’efficacia della comunicazione, la perfetta corrispondenza tra forma e contenuto sono i cardini della poetica di un artista: non intendo creare scale di valori, la chiave di lettura che provo a trasmettere è assolutamente personale, può piacere o non piacere, ma deve essere capace di parlare chiaramente, con voce limpida e senza esitazione.
Secondo lei la conoscenza è un percorso progressivo o una serie di illuminazioni?
Una domanda difficile, non credo che una strada escluda l’altra. Se mi soffermo sull’esperienza personale riconosco che la conoscenza viene sicuramente da una progressione, tenace e costante. Tuttavia, all’interno di questo percorso che dura tutta la vita, ci sono sia conoscenze che si raggiungono con l’esperienza e lo studio mentre altre sono invece vissute come illuminazioni. Credo molto in questi momenti capaci di svelare la realtà in maniera più intuitiva, anche se penso occorra una grande apertura mentale e il coraggio di accettarli e farli nostri, perché talvolta possono essere anche brutali. La vita associa spesso equilibrio e crudezza, bellezza e fugacità.
Si resta affascinati osservando le opere della giovane Costanza Alvarez de Castro, artista piena di talento che dona un’intuizione del vero, bagliori di una comprensione intima e profonda della realtà. È una contemplazione filosofica sul dato visivo, pensata per aprirci ad un nuovo spazio mentale.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito
Costanza Alvarez de Castro nasce a Roma nel 1989, da padre italiano e madre di El Salvador. Dopo una laurea in Economia per la cooperazione internazionale e lo sviluppo, ha deciso di dedicarsi interamente all’arte. Inizia questa attività lavorando alle scenografie per cinema e teatro e frequenta poi l’Institut Superieur de Peinture Van Der Kelen et Logelain di Bruxelles, dove si distingue come la migliore fra i corsisti. Ha curato la pittura dei fondali del Teatro dell’Opera per concentrarsi infine sull’arte da cavalletto. “Ritratti“, la prima mostra personale, è del 2015 ed è stata curata da Valentina Moncada; Natura in Scena, la seconda mostra personale, è del 2016 a cura di Giovanni Argan; dal 2020 Costanza diventa artista residente alla Kou Gallery di Roma, dove ha avuto luogo la sua quarta mostra personale “Infinito Visivo” curata da Massimo Scaringella. Recentemente si è occupata di illustrazione nella narrativa per bambini ed è stata selezionata fra i 303 finalisti al concorso Mostra Illustratori del 2021, tenuta a Bologna nel corso della Children’s Book Fair che in questa edizione ha visto l’adesione di oltre tremila artisti provenienti da 68 paesi.