Intervento integrale del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione della Festa del Lavoro.
Rivolgo un saluto e ringrazio per le loro riflessioni il ministro del Lavoro, il presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, il presidente della Federazione dei Maestri del Lavoro, il presidente dell’Associazione nazionale Lavoratori anziani.
La festa del lavoro è un’occasione che afferma la fiducia nel futuro. La fiducia di chi è impegnato a costruire, di chi si mette in gioco per conquistare nuovi traguardi. Non quella di chi attende, inerte, il compiersi di un destino.
La festa del lavoro è festa della democrazia, perché il lavoro è fondamento della Repubblica.
La Repubblica non potrebbe vivere senza il lavoro.
Senza lavoro buono e dignitoso per tutti non ci sarà neppure la ripresa che vogliamo. Sarà il lavoro a portare il Paese fuori da questa emergenza, perché è la condizione, e il motore, della ripartenza, della ricostruzione, della rinascita.
Per questo scambiarsi oggi l’augurio di buon Primo maggio vale molto più di una pur significativa consuetudine.
Ribadisce un legame di comunità, quel patto di cittadinanza, che ci fa sentire al tempo stesso responsabili e solidali, e ci impegna a consegnare alle più giovani generazioni il testimone dei diritti conquistati e di opportunità che si rinnovano.
Stiamo attraversando un passaggio stretto e difficile.
Per questa ragione la festa di oggi reca con sé un appello all’unità ancora più forte.
All’augurio che rivolgo alle lavoratrici e ai lavoratori italiani sento di unire un augurio ancora più intenso a chi ha perduto il lavoro in questi mesi a causa della frenata di molte attività economiche, a chi si trova ad affrontare crisi e ristrutturazioni aziendali, a chi è costretto, magari da tempi ancor più lunghi, a impieghi precari e mal pagati, a tutte le persone e le famiglie che vivono in condizioni di povertà.
La battaglia per il lavoro è una priorità che deve unire gli sforzi di tutti: lavoratori e imprenditori, istituzioni e forze sociali, mondo delle professioni, della ricerca, della cultura. È questa l’ambizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
La società vive di differenze, di interessi diversi, di dialettica, anche di contrasti.
I momenti risolutivi, però, ci devono far riconoscere il bene comune e farlo perseguire.
La pandemia ha inferto sofferenze, ferite profonde e, tuttora, ci impone sacrifici e rinunce, ma non possiamo sprecare l’occasione e disattendere il dovere di compiere, tutti insieme, un salto in avanti.
Un primo passo la crisi sanitaria lo ha provocato in Europa. Quel passo che non era stato fatto in occasione della crisi finanziaria di oltre un decennio addietro: comprendere il valore delle persone, di ogni singola persona. E’ stata posta in campo in questi mesi una nuova consapevolezza.
L’Unione ha saputo predisporre risorse ingenti per affrontare le emergenze, per contenere la caduta dei redditi nei settori sociali maggiormente penalizzati, per progettare una nuova fase di sviluppo. Concreta espressione, questa volta, di quel modello sociale europeo spesso evocato.
Piuttosto che essere percepita come vincolo esterno – sia pur liberamente assunto – che limita scelte e politiche economiche, l’Unione esprimerà la sua autentica vocazione di veicolo importante di innovazione e di sviluppo sociale se saprà portare avanti e rendere sistemici gli strumenti delle decisioni emergenziali assunte sulla spinta della crisi sanitaria.
Siamo orgogliosi di aver contribuito a questa svolta della strategia dell’Unione Europea e ne sosteniamo le Istituzioni: queste sono baluardo insostituibile di democrazia e di libertà ed è inaccettabile ogni attacco dall’esterno che pretenda di indebolirle.
Ora, per quanto ci riguarda, sta a noi, anzitutto al modo con cui daremo seguito ai programmi di investimento, rendere effettiva questa svolta europea, impedire un ritorno indietro e rendere definitivo il nuovo percorso di progresso.
Innovazione digitale e transizione ecologica possono divenire i propulsori di una nuova stagione di crescita, questa volta più matura perché più attenta alla qualità della vita che non alle quantità dei consumi.
La sostenibilità darà ancora più forza al valore sociale dell’impresa, potrà valorizzare la conciliazione tra i tempi di lavoro, di cura, di vita familiare, recherà un contributo al sistema di welfare così che i diritti universali siano assicurati anche attraverso il protagonismo di comunità solidali.
La sostenibilità è il nome nuovo di una competitività su scala globale che può restituire all’Europa anche un ruolo di primo piano nei mercati mondiali.
Si apre una finestra per dare sbocco alle aspirazioni di crescita di generazioni e di territori, trainati anzitutto dagli investimenti utili per porre riparo a secolari arretratezze e divari tuttora presenti nella Repubblica.
Temi come quelli della ricerca e della formazione, delle infrastrutture digitali e della mobilità sono essenziali per rimuovere i dislivelli che caratterizzano la nostra società.
L’equità fra territori, l’equità tra le persone e le famiglie, la evoluzione sociale, si reggono su una dinamica essenziale: la garanzia dell’opportunità di accesso al lavoro.
Il sogno di ciascuno di poter progettare il proprio futuro, di progredire, di scegliere la propria condizione di vita, passa attraverso l’esercizio di questo diritto.
Vale per i lavoratori dipendenti da imprese private e dalla pubblica amministrazione, vale per i lavoratori autonomi, per i professionisti.
Se il lavoro cresce, cresce la coesione della nostra società, diventano concreti i diritti.
Il lavoro è l’elemento propulsivo del sistema di sicurezza sociale, quel sistema che, progressivamente aggiornato, è stato fondamentale nell’affrontare la crisi economica indotta dalla pandemia. Protezione sociale, ristoro e sostegno per i mancati redditi, hanno perseguito un equilibrio molto importante in questi mesi. E che può consentire di progettare il domani partendo da una base salda.
Il lavoro è crescita di dignità e può crescere solo nella dignità. È una esperienza che possiamo ricavare anche dagli sviluppi emersi nel cosiddetto mercato del lavoro in questi mesi.
Un’esperienza certamente utile nelle prospettate trasformazioni delle regole che oggi presiedono questo ambito.
Un campo, questo, in cui non sono tollerabili sfruttamento e violenza nei confronti dei lavoratori immigrati, che contribuiscono al benessere della nostra comunità e non si può consentire che vivano in condizioni non compatibili con la dignità delle persone.
Diritto al lavoro è diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Ancora troppe morti a causa di norme eluse e violate. Non è tollerabile.
Non sono pochi i caduti che hanno salvato tante vite umane e che accomuniamo nel ricordo delle numerose vittime di questa malattia.
Il lavoro dei medici, di tutti gli operatori della sanità, delle donne e degli uomini delle Forze dell’ordine e dei servizi essenziali, è stato generoso, e spesso ha richiesto coraggio e dedizione, fino al sacrificio.
La pandemia ha colpito duramente in tanti settori dell’economia. Alcuni ne hanno risentito meno di altri. Lavoratori autonomi e i dipendenti con contratti temporanei, i comparti del commercio, del turismo, della ristorazione, fieristico, della cultura, dei trasporti, sono stati fra i più coinvolti.
Antiche diseguaglianze sono state accentuate, nuovi squilibri si sono sovrapposti ai vecchi: questo sarà uno dei lasciti più amari della crisi che dobbiamo superare, per evitare che incrostazioni e rendite tolgano energie allo sviluppo.
Particolarmente pesante è stato l’impatto della crisi sul lavoro femminile e sull’accesso dei giovani al lavoro. Se la disparità di genere era già un problema molto serio per il nostro Paese, in questi mesi il quadro dell’occupazione femminile è divenuto ancora più fragile, dimostrando peraltro come tante donne siano spesso relegate in posizioni marginali, con contratti precari e part-time.
L’incremento dell’occupazione femminile, in termini di quantità ma anche di qualità, è oggi condizione essenziale di una vera ripartenza dell’Italia. Così come lo è la crescita del lavoro per i giovani. A cominciare dal Mezzogiorno. Il Paese per crescere ha bisogno di un Sud che metta a frutto tutte le sue potenzialità.
Un percorso a cui non sono certamente estranee le imprese: anche a loro è chiesto di investire, di cambiare ciò che è divenuto obsoleto nella propria struttura, di scommettere sulle nuove tecnologie, sull’efficienza dei processi produttivi, sulla qualità dei prodotti e dei servizi, di superare consumate pigrizie puntando coraggiosamente sul valore delle persone.
Ci sono ragioni strutturali, linee di forza del nostro sistema che ci inducono a guardare il domani con ragionevole speranza. Il settore manifatturiero, ad esempio, ha tenuto, mostrando flessibilità e capacità di apportare nuovo valore aggiunto.
Anche se il debito pubblico è cresciuto per ovvie ragioni, il saldo dell’interscambio commerciale resta positivo. Lo stesso debito complessivo delle imprese italiane è inferiore alla media europea e il risparmio delle famiglie si conferma un punto di forza.
Nel nostro Paese, in questi mesi difficili, sono anche emerse, e talvolta riscoperte, qualità preziose su cui far leva per il futuro. Tra le prime la solidarietà della sua gente. Il senso di responsabilità diffuso, alimentato dalla percezione che dipendiamo gli uni dai comportamenti degli altri, e che abbiamo bisogno degli altri, oltre che dei presidi costruiti a tutela del benessere collettivo.
Anzitutto a difesa della salute. Dovremo usare paziente sapienza per riconquistare completa libertà di comportamenti in piena sicurezza.
Incognite che comportino il rischio di ulteriori prezzi da pagare con la vita delle persone non sono ammissibili. Già troppo alto è il sacrificio di vite umane che la pandemia ha provocato.
La responsabilità delle istituzioni, come è palese, è cresciuta e oggi si conferma decisiva per il destino nostro e dei popoli europei. La lotta contro il virus, la difesa della salute, i giganteschi investimenti programmati per dare alla ripartenza una qualità nuova richiamano ancora una volta l’idea più alta della politica, che è il servizio al bene della comunità.
Le istituzioni hanno un grande compito, e grandi responsabilità, ma la società democratica non è abitata soltanto da istituzioni e da singoli cittadini.
Ci sono le imprese, che creano lavoro. Ci sono le forze sociali, le comunità che vivono nei diversi territori, ci sono i cittadini associati, le rappresentanze delle idee e degli interessi.
Per compiere un salto in avanti tutti devono partecipare, contribuire.
Sono certo che da tanta sofferenza patita sia già nata una coscienza che prevale sulla tentazione di assecondare o di cavalcare lo sconforto.
Il mondo del lavoro è stato la locomotiva di un Paese che avanzava.
Lo sarà anche per la ripresa per condurci fuori dalle conseguenze della pandemia.
Saluto i sindacati dei lavoratori, e tutte le organizzazioni legate alle realtà dell’impresa, della produzione e dei servizi.
A celebrare il Primo maggio ci sarà anche quest’anno il Concertone, che pure dovrà rispettare modalità particolarmente austere. Formulo un augurio ai sindacati che lo organizzano, agli artisti, ai giovani a cui è rivolto: vuole essere anche un segno di ripresa per la musica, lo spettacolo, la cultura, affinché siano nuovamente fruibili dal vivo e possano contribuire alla ripartenza.
Mi congratulo con gli insigniti della Stella al Merito del Lavoro: la comunità nazionale ha tratto beneficio dal loro lungo e generoso impegno.
Sono testimoni di dedizione e di professionalità, alla loro esperienza vi è molto da attingere.
L’Italia ha bisogno, anche oggi, di nuove generazioni di costruttori. Ne abbiamo più di quanto spesso non sappiamo: facciamo appello a loro.
Buon Primo maggio all’Italia del lavoro.
Buon Primo maggio all’Italia che riparte.
di Redazione – EmmeReports