Il 21 aprile è il giorno della fondazione di Roma che oggi ricade nel suo 2774° anniversario. Le storie e le leggende sulla fondazione della città eterna le conosciamo tutti, però credo sia giusto riportarle scritte qui, in breve e osservando le fonti che ne parlano.
Il 21 aprile del 753 A.C. è sorta la Città di Roma, secondo i calcoli effettuati dall’astrologo romano (di Fermo ad essere precisi) Lucio Taruzio per poi fissare la calendarizzazione di 1 Ab Urbe Condita (AUB) dal letterato Marco Terenzio Varrone.
Le leggende
Le leggende vogliono che la fondazione di Roma, tragga le sue origini dall’Eneide, ovvero dalle avventure, di Enea, figlio di Anchise che giunse assieme al figlio Ascanio dallo Stretto dei Dardanelli, dopo essere passato da Cartagine.
Enea giunto nel Lazio si dovette battere col re degli Arborigeni Latino ed una volta avuto ragione su questi, si riappacificò anche grazie all’amore “corrisposto” per sua figlia, Lavinia che però era stata già promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli.
Latino si convinse ad assecondare i desideri della giovane figlia ed a permetterle dunque di sposare l’eroe giunto da Troia, pur sapendo che prima o poi avrebbe dovuto affrontare Turno, che non aveva accettato di buon gradi che lo straniero venuto da lontano gli fosse stato preferito.
Una volta sposati, Enea decise di fondare una città, dandole il nome di Lavinio (l’odierna Pratica di Mare) in onore della moglie.
Ne seguì però una guerra che terrorizzò molto Enea, come descritto da Tito Livio:
“Allora Turno e i Rutuli, sfiduciati per l’esito delle cose, ricorsero all’aiuto degli Etruschi e del re della ricca città di Caere, Mesenzio. […] Enea terrorizzato da una simile guerra, per accattivarsi il favore degli aborigeni e anche perché tutti fossero uniti non solo nel comando ma anche nel nome, chiamò entrambi i popoli (Troiani e Aborigeni) Latini. Da quel momento gli Aborigeni eguagliarono i Troiani in devozione e lealtà”.
Sarà il figlio di Enea, Ascanio a fondare la Città di Albalonga trent’anni dopo e i suoi eredi governeranno per generazioni, fino a quando il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, venne spodestato dal fratello Amulio, che costrinse sua nipote Rea Silvia, figlia di Numitore, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità per impedirle di generare un possibile pretendente al trono.
Leggenda narra che il dio Marte s’innamorò della fanciulla e la rese madre di due gemelli, Romolo e Remo.
Il servo di Amulio, incaricato di annegare i due gemelli nel Tevere non ne fu capace ed allora li lasciò andare galleggiando all’interno di una cesta, fino a quando si posarono sulla riva palude del Velabro, tra Palatino e Campidoglio, nei pressi di quello che sarà poi il Foro Romano.
La cesta si fermò alle pendici di una cresta del Palatino, il Germalus, sotto un fico romulare, nei pressi di una grotta detta Lupercale.
Sempre secondo la leggenda i due gemelli furono allattati da una lupa, per poi essere trovati in seguito dal pastore Faustolo che li crebbe come fossero figli suoi, insieme con la moglie Acca Larenzia.
In età adulta i due fratelli tornarono ad Albalonga, uccisero Numilio e consegnarono la città al nonno Numitore, chiedendogli il permesso di fondare una nuova città.
Romolo voleva chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo voleva chiamarla Remora, fondandola sull’Aventino.
Osservando le fonti, vediamo cosa scrive sempre Tito Livio:
“Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, interrogati mediante aruspici, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato. Per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi dodici quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re entrambi. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dallo scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ucciso aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s’impossessò del potere e la città prese il nome del suo fondatore”.
Abbiamo visto, accompagnati da quello che scrisse Tito Livio, la leggenda che sta dietro alla fondazione di Roma. Tuttavia la tesi storica più accreditata è quella che l’insieme di più villaggi posti sui colli, accomunati da una posizione non lontana dal mare, centrale e, quindi, favorevole ai commerci, abbia spinto i propri abitanti ad unirsi. Oltretutto la datazione della fondazione di Roma attorno alla seconda metà del VIII° secolo A.C. viene avvalorata da alcuni ritrovamenti archeologici.
Uno di questi ritrovamenti, ad opera dell’archeologo italiano Andrea Carandini, è quello dell’antica cinta muraria che potrebbe costituire l’antico “muro di Romolo”, composto da un muro a scaglie di tufo, con alla sommità incastri e tracce di palizzata e vallo, risalente al 730 a.C.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports