Il 1° Aprile 2021 ricorre un anniversario importante, quello del traguardo dei 40 anni della legge 121, con la quale il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza si è trasformato nella Polizia di Stato.
Un cambiamento epocale e dal grande valore simbolico perché avvenuto in un momento storico particolarmente delicato per il nostro Paese, segnato nel profondo da diverse forme di terrorismo, affollato nelle piazze dove sfilavano i cortei di protesta ed approdavano le lotte sindacali.
Fino agli anni ’80, con la denominazione “Polizia” sono state indicate tre distinte categorie: i funzionari di Pubblica Sicurezza; gli ufficiali, i sottufficiali ed i militari di truppa del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza; le ispettrici e le assistenti del Corpo di polizia femminile. Con la riforma, queste tre diverse componenti furono fuse nella Polizia di Stato, “corpo civile militarmente organizzato” per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico.
Con la riforma si è voluto riconoscere nella figura del Ministro dell’Interno l’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, che si avvale a livello centrale del Dipartimento della P.S., alla cui guida c’è il Capo della Polizia, che non è solo il vertice della Polizia di Stato, ma anche il Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
Così come il Questore non è solo il vertice della Polizia di Stato nella provincia, ma è anche Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza.
Grazie all’approvazione di una nuova normativa, la Polizia di Stato è stata collocata al livello delle principali polizie europee; sono stati introdotti principi tuttora fondamentali, quali quelli della smilitarizzazione e del diritto a fondare organizzazioni sindacali.
Ancora, il miglioramento del trattamento retributivo, la particolare attenzione agli apporti formativi più avanzati ed un maggiore coordinamento con gli altri Corpi di Polizia hanno rappresentato ulteriori contenuti basilari della riforma.
La riforma ha consentito una modernizzazione dell’amministrazione della Pubblica Sicurezza, determinando nuove forme di comunicazione che, rispetto al passato, hanno consentito di stabilire una relazione diversa tra poliziotto e cittadino; una comunicazioneche ha permesso alla Polizia di Stato di evolversi, avvicinandosi come istituzione alla collettività per comprenderne le esigenze ed individuare e condividere le soluzioni più adeguate al suo bisogno di sicurezza.
Questo nuovo rapporto, improntato ai principi della trasparenza e sempre più proiettato alla ricerca di spazi di collaborazione e condivisione, ha rivoluzionato il concetto stesso di prossimità.
Per questo importante anniversario, nel quale si valorizza la nascita di una Polizia caratterizzata da una forte identità civile e che il Presidente della Repubblica ha definito come “un corpo dello Stato che i cittadini riconoscono come amico, accessibile ed aperto, un elemento di coesione”, l’Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale della Segreteria del Dipartimento di P.S. ha voluto curare la pubblicazione di un volume dal titolo “La riforma dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, scritto dal compianto prefetto Carlo Mosca che di quella riforma è stato uno degli ispiratori.
Grazie al contributo di autorevoli figure istituzionali, ognuno dei 12 capitoli è stato arricchito da una riflessione illustre sui temi del libro, che animano peraltro i mesi del calendario della Polizia di Stato di quest’anno.
Dopo i messaggi introduttivi del Presidente della Repubblica, del Ministro dell’Interno Lamorgese e del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri prefetto Franco Gabrielli, eminenti personalità del mondo religioso, scientifico, politico, solo per citarne alcuni, hanno approfondito i temi più rilevanti della riforma: Marta Cartabia, attuale ministro della Giustizia, ha illustrato il ruolo delle donne in polizia, il Procuratore generale Giovanni Salvi ha curato l’introduzione del ruolo degli ispettori; il professore Michele Ainis quello dei sindacati. 181 pagine cariche di immagini, anche storiche, che ricordano il passaggio da amministrazione militare di polizia ad amministrazione civile di garanzia, illuminata dallo spirito del dettato della Costituzione della Repubblica, al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini.
Una delle tappe più significative che si deve alla legge 121 del’81 è sicuramente quella che fa della Polizia di Stato la prima forza dell’ordine ad arricchirsi della presenza delle donne, con una scelta dirompente se solo si considera il momento storico in cui fu intrapresa.
Negli anni in cui l’euforia del boom economico si stava stemperando nelle tinte oscure del terrorismo, la modernizzazione dell’Italia è sicuramente passata attraverso il riconoscimento alla donna di nuove professionalità, che hanno consentito di superare alcuni stereotipi legati all’identità femminile.
Era infatti il 1959 quando la Polizia si dotava di un Corpo di Polizia femminile, istituito con la legge nr. 1083; il 1° marzo del 1961 le prime donne cominciarono ad indossare la divisa nel ruolo di “ispettrici” e “assistenti”, con compiti inizialmente limitati ai settori della violenza sui minori e di genere nonché i reati contro la moralità pubblica e a sfondo sessuale.
È stato solo 20 anni dopo, nel 1981, con la legge sull’ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, che si introducono le pari opportunità nelle prospettive di carriere e nel conseguente trattamento economico.
La riforma della Polizia di Stato, e la sua trasformazione da corpo militare in corpo civile ad ordinamento speciale, ha comportato non solo la possibilità di integrare tra i propri appartenenti anche persone che avevano esperienze lavorative precedenti e scolarizzazioni diverse, ma ha consentito anche alle donne di coprire tutti i ruoli, compiendo un percorso nient’affatto semplice contro i luoghi comuni, che le consideravano inadatte a una professione nata come “maschile”.
In pochissimo tempo, invece, le donne si sono fatte largo in diverse realtà operative: quella della Squadra Mobile ad esempio.
Nella Squadra Mobile della Questura di Palermo una donna ricopre il ruolo di vice dirigente, vantando una lunga esperienza nel campo della polizia giudiziaria; un’altra giovane donna funzionario guida proprio la IV sezione che, storicamente, è un punto di riferimento per donne e bambini, che possono essere ascoltati in un contesto protetto, nel quale si cerca di creare un contatto empatico con chi è stato vittima di abusi e violenze.
Ma anche nella lotta alla criminalità da strada, ai delinquenti abili nello spaccio e negli scippi, i poliziotti di Palermo sono guidati da una donna.
Altre donne, terminato il corso di formazione biennale per commissari presso la Scuola Superiore della Polizia di Stato, hanno scelto il servizio in volante, il controllo del territorio con tutte le sue insidie e le necessità tipiche dell’intervento tempestivo ed immediato da fornire al cittadino che si rivolge al Numero Unico di Emergenza.
Sono donne che appartengono ad ogni ruolo della Polizia, da quello dei Funzionari a quello degli Agenti, con un’unica grande passione che li accomuna: il servizio a tutela dei cittadini.
Grazie alla riforma sono quindi cominciati a crollare anche quelli che da sempre sono stati considerati baluardi prettamente maschili.
Cosicché sono già diverse le donne operative all’interno dei Reparti Mobile ed altre fanno parte del NOCS, il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza.
Lo stesso può dirsi per gli artificieri chiamati a disinnescare ordigni e molte sono anche le donne pilota che operano nei Reparti Volo.
Anche nel campo dello sport, la Polizia di Stato ha dato la possibilità a tante atlete di far diventare la propria passione una professione: nel fioretto, Elisa Di Francisca e Valentina Vezzali, nel tiro a volo Jessica Rossi.
Dal conduttore cinofilo all’operatore della squadra volanti, dai sommozzatori agli istruttori del Centro Nautico e Sommozzatori di La Spezia o a quelli di tiro, non c’è oggi specializzazione o settore nella Polizia di Stato che sia precluso alle donne.
di Redazione – EmmeReports