La ricerca di spiritualità mostrata da Vincenzo Muratore nelle architetture siciliane si riverbera in maniera più intima nel modellato e nello scolpire, dove la materia grezza diventa per l’artista stimolo e guida. Dopo aver conosciuto i volumi, la luce e i simboli dei suoi spazi sacri EmmeReports lo intervista sulle opere plastiche, introspettive e preziose.
Nelle sue sculture l’elemento preponderante sembra essere la materia che si trasforma in corpo. È un segno? Cosa rappresenta questa trasformazione?
È la metamorfosi. Sono sempre stato affascinato dalla natura e credo che i suoi piccoli miracoli possano essere fonte di riflessione poetica e spirituale: la trasformazione del paesaggio, il modellamento delle colline e delle montagne, la nascita e la stessa morte sono importanti stimoli creativi. Noi siamo parte di questa natura immersi in un tempo geologico e titanico, che non è certamente il nostro. Più che la trasformazione nel suo lato puramente estetico, quello che voglio esprimere è il concetto di collegamento tra uomo e natura, in un tempo sospeso, intangibile. La natura è protagonista delle forme e dei volumi così come della trasformazione, è portatrice di una sacralità visibile e comprensibile a tutti, perché è un intrinseco messaggio di rigenerazione. Quelli che io racconto, invece, sono viaggi interiori, vissuti nell’inconscio atemporale.
La natura e quindi il corpo sono passaggi della materia verso lo spirito?
Direi che anche il corpo stesso è spirito, nonostante per secoli abbiamo diviso, staccato, la corporeità dallo spirito presentandole come entità divise, separate. In realtà credo che il corpo sia lo strumento dello spirito e che fra i due vi è un legame indissolubile, un continuo e incessante dialogo. Imparare ad ascoltarlo non è esclusivamente tendenza al trascendente, ma può rivelarsi attraverso l’immanente e questo mi affascina. Quando modello o creo la materia mi parla e le opere sembrano nascere da sole, seguendo un disegno interiore a me incomprensibile. È un dialogo involontario, inconscio; mi piace pensare che le mani siano solo uno strumento, l’orecchio teso a cogliere questo flusso silenzioso.
Gli esseri umani che rappresenta sembrano appartenere al movimento di una grande danza universale. Possono spingere l’osservatore ad una elevazione spirituale?
Mi riconosco in questa definizione di danza universale ed è proprio quello che vorrei raggiungere, un’armonia senza tempo. Uno spazio sospeso in cui la figura umana diventa protagonista assoluta e attraverso la corporeità penetra contenuti universali. La tensione verso l’alto, le sproporzioni di alcuni dettagli, la frammentazione, la plasticità delle forme e le espressioni dei volti che affermano la propria presenza ci conducono verso una dimensione oltre il nostro tempo, che è quello della vista, immediato e rapido. Queste opere ci introducono a una dimensione differente, quella dell’ascolto, della narrazione e dello spirito.
Per realizzare le sue sculture come si relaziona con la materia, come vive la lotta tra la fisicità e la forma?
Non userei la parola lotta, in realtà anche questo è un dialogo. Ogni materiale ha una sua peculiarità, proprio come possono esserlo i caratteri personali. La resina, il marmo, il bronzo, la creta hanno ognuno peculiarità tecniche che definirei caratteriali. Solo conoscendoli puoi iniziare con loro una relazione costruttiva. Ogni tipologia di marmo, ad esempio, ha un proprio “verso” che va rispettato, seguendo la venatura. Dialogare correttamente significa aiutare la modellazione, la trasformazione: è una sfida artistica ma soprattutto una lotta personale per dare vita alla propria idea interiore con l’aiuto della materia, assecondandone la natura, senza forzarla con violenza. Lo stesso accade per il bronzo o le resine, perché ogni materiale ha una “voce” diversa, un timbro espressivo e potenziale proprio, peculiare e unico. Tutto questo è molto importante per chi osserva o colleziona opere d’arte, perché immagino le scelga secondo una consonanza interiore riuscendo intuitivamente a coglierne il significato più profondo. Non è un discorso di estetica quanto di empatia, di comprensione inconscia, di emozione. Chi ammira un’opera percepisce il dialogo tra la materia e l’artista, ne rivive intimamente le vibrazioni.
La musica è un momento di ispirazione per concepire le sue opere?
Assolutamente sì! Credo che la musica sia la forma d’arte più alta raggiunta dall’uomo: perfettamente intelligibile ma talmente viva da accendere tutti i sensi del corpo. Frutto di armonia collettiva, studio e ricerca è al contempo poesia e materia. Non soltanto sono stato ispirato dalla musica, ma ho anche provato a darle forma creando un’opera che mi fu commissionata per il celebre direttore d’orchestra Antonio Pappano; il tema era musica e fisica quantistica. Scelsi il secondo movimento della Settima di Beethoven, a mio avviso una tra le più belle sinfonie mai scritte, drammatica e leggera, potente e commovente. È stata una lunga gestazione, in cui ho avuto la sensazione di nutrirmi, fisicamente, con quelle note. Non avevo fatto, stranamente, alcun bozzetto preparatorio ma ho proceduto pian piano, assecondando le suggestioni. È nata un’opera ambiziosa, potente, strana, inquietante ma al contempo armonica.
Parlando di Dio lo definito come fiume di energia, come acqua della vita bevuta attraverso differenti bicchieri. Può spiegarci queste parole?
Volentieri, una volta mentre stavo parlando con un’archeologa tedesca che lamentava le nefandezze e gli scandali che spesso attanagliano le religioni, fu allora che mi venne in mente questa immagine. Le dissi che Dio è un fiume in piena, ogni religione è solo uno strumento per arrivare a Lui: è semplicemente un bicchiere, un calice, che raccoglie l’acqua per dissetare. Il problema nasce quando si adora il bicchiere dimenticandosi del contenuto; è questo che porta estremismo, bigottismo e nefandezze. Ogni rito è funzionale al raggiungimento di Dio, in altre parole “dove c’è il rito, Dio si nasconde”.
Crede che l’arte possa avvicinarci alla spiritualità?
L’immagine del bicchiere vale anche per l’arte, che è uno strumento e ci porta a Dio. In qualunque modo lo si chiami, a qualunque cosa si creda o non si creda, ne sono certo, l’arte ci eleva. Che la mia arte possa condurre l’osservatore nel tempo della narrazione, dell’ascolto e dello spirito, io lo spero. Ma in generale mi auguro possa suscitare domande e, ribadisco, vale anche per l’arte ciò che vale per le ritualità.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito