Ricordiamo oggi una delle pagine più buie della Storia italiana. Una pagina che rappresenta sgomento, dal gusto decisamente macabro e grandissima tristezza, a causa della violenza inaudita subita dai nostri connazionali di confine.
A rendere il tutto ancora più triste è che quello scempio immane, sia stato occultato dalla storiografia e, persino, negato alla memoria dallo Stato italiano, per quasi sessant’anni dall’accaduto.
Con il Giorno del Ricordo del 10 febbraio si commemorano tutte le vittime dell’esercito jugoslavo, infoibate tra il 1943 ed il 1947, con la sola colpa di essere italiane.
La giustificazione che si tende a dare per i crimini commessi dal Maresciallo Tito, al secolo Josip Broz, è stata quella della vendetta nei confronti degli italiani, causata dell’italianizzazione forzata attuata dal fascismo, verso le minoranze slave.
L’incendio del Narodni Dom (casa del popolo slovena) di Trieste, avvenuta il 13 luglio del 1920 ad opera dei nazionalisti italiani, è considerato l’inizio dell’oppressione italiana che deve essere inquadrata in un periodo di massima tensione tra gli opposti nazionalismi. Gli scontri tra le due fazioni erano all’ordine del giorno e ad aver scatenato la folla italiana, contro la casa del popolo slovena, fu l’accoltellamento in mezzo alla folla di due italiani durante un comizio di Francesco Giunta (segretario della casa del fascio di Trieste).
I fatti del Narodni Dom, vengono ricordati anche come fatti dell’Oberdan, perché vicini all’omonima piazza dedicata a Guglielmo Oberdan (1 febbraio 1858 – 20 dicembre 1882), protomartire dell’irredentismo italiano.
Va detto che gli opposti nazionalismi italiani e croati, hanno origini più profonde che iniziano a risorgere proprio nel XIX° secolo quando con l’inizio delle guerre d’indipendenza italiane, anche in territori come Trieste, Fiume, Dalmazia ed Istria, gli italiani spinsero verso la separazione dall’Impero Austro-ungarico.
Con il processo di croatizzazione, e il beneplacito dell’impero, gli slavi iniziarono a reprimere gli italofoni con violenze e repressioni armate. In quel periodo, dal governo austriaco furono abolite le scuole italiane con il chiaro obiettivo di eliminare la presenza italiana, anche dopo il Risorgimento.
Infatti, tra il 1845 ed il 1910, vedremo secondo censimenti approssimativi austriaci, che gli italofoni (cittadini dell’Impero Austro-ungarico di etnia italiana o che parlavano italiano) avranno un calo dal 20% al 2,7% facendo così aumentare la determinazione da parte degli italiani, che sfociò poi nell’irredentismo del 1900.
Già dall’8 settembre del 1943 ovvero dall’Armistizio di Cassibile, che segnava la caduta del fascismo in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia). Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone.
Tito e i suoi uomini iniziarono la loro battaglia di conquista di Slovenia e Croazia, con l’intento di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria, in cui erano presenti borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia, ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.
Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria che fino ad allora era territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana e puntò verso Trieste facendo definitivamente crollare il freno tedesco ed italiano.
Va ricordato anche l’enorme sforzo che la X flottiglia MAS fece sul fronte orientale, talvolta cercando anche una collaborazione con forze alleate o i partigiani bianchi della Brigata Osoppo (la strage di Porzus ad opera dei GAP fu fatta proprio perché la Osoppo rifiutava la collaborazione con i partigiani jugoslavi), col fine di bloccare l’avanzata e la barbarie jugoslava. Rifiutarono tutti quanti.
Tuttavia, una volta crollata anche la X flottiglia MAS, a fare da freno furono le forze alleate che avanzavano dal Sud Italia, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara a chi arrivava per primo.
Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani, ma non riuscendo ad assicurarsi le prede più ambite: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.
Cos’è una foiba? Una foiba è una cavità che può raggiungere centinaia di metri di profondità o può essere chiamata anche grande inghiottitoio, tipico della regione carsica e dell’Istria.
A morire infoibati non furono solo militari, carabinieri, poliziotti, forze dell’ordine italiane e camicie nere, ma anche civili che si rifiutavano di abbandonare le terre irredenti o che non riuscirono a scappare per tempo.
Le uccisioni avvennero in maniera spaventosamente crudele: i condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe; quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso: la martire più nota è Norma Cossetto.
Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.
Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».
In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi e le uccisioni di italiani, nel periodo tra il 1943 e il 1947, furono almeno 20mila. Gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
Come feci osservare in un precedente articolo sulla Seconda Guerra Mondiale, alcune passerelle politiche dividono le vittime in morti di serie A e serie B, con una retorica che privilegia alcuni fatti storici dimenticandone altri come nel caso delle foibe: è il caso di dire che la Storia è scritta dai vincitori.
Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma, senza mai però ricevere tale indennizzo.
Tanti riuscirono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli posti dal Partito Comunista che nel minimizzare la portata della diaspora arrivò persino ad insultare gli esuli di Pola alla stazione di Bologna, versando sulle rotaie il latte che era destinato ai bambini. Era il 18 febbraio del 1947 e l’episodio viene ricordato come “il treno della vergogna”.
Emilio Sereni, che ricopriva la determinante carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, e sul cui tavolo finivano tutti i rapporti con le domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia italiana, anziché farsene carico e rappresentare all’opinione pubblica la drammaticità della situazione minimizzò la portata del problema.
Sereni rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e, in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di «fratellanza italo-slovena e italo-croata». Il ministro sostenendo la necessità di scoraggiare le partenze e costringendo gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò infine che le notizie sulle foibe erano «propaganda reazionaria».
Il Giorno del Ricordo, per commemorare le vittime delle foibe, è stato celebrato per la prima volta nel 2005 ed è stato istituito con la Legge numero 92 del 30 marzo 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» che prende il nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta. Si è scelta come data il 10 febbraio in ricordo del trattato di Parigi firmato nel 1947.
Tra i personaggi noti, si ricordano il campione di Boxe Nino Benvenuti, esule istriano ed Umberto Smaila, figlio di esuli di Fiume.
Per concludere, mi domando perché agli esuli delle terre irredenti non sia mai stato riconosciuto un titolo di senatore a vita, come è successo ad altri personaggi vittime di persecuzioni etniche e che oggi appaiono spesso in tv.
Per fortuna, poco alla volta, la sensibilità anche di personaggi dello spettacolo ha spinto parecchio su questo argomento, dando una giusta luce ad una verità per troppo tempo negata.
Credo che dovremmo commemorare tutte le tragedie e le loro vittime, senza farne distinzioni di serie A e serie B; dato che da tali tragedie, possiamo solo imparare ed andare avanti.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports