Ricorre il 150° anniversario dello spostamento della capitale d’Italia da Firenze a Roma: era il 21 gennaio 1871 ed oggi ne ripercorreremo brevemente i fatti.
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia con l’annessione dei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie avvenuta il 17 marzo del 1861, abbiamo lo spostamento della capitale da Torino a Firenze sia per le imposizioni contenute nella Convenzione di Settembre che per motivi strategici.
Infatti l’avvicinamento a Roma era ritenuto molto utile in attesa del momento adatto per sferrare l’attacco all’ex capitale dello Stato Pontificio. Già Camillo Benso, conte di Cavour aveva espresso le sue intenzioni di arrivare a Roma, per farne la capitale da prima dell’unità nazionale.
Camillo Benso aveva così affermato l’11 ottobre del 1860 al Parlamento del Regno di Sardegna:
“La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno Italico”.
Il conte di Cavour aveva rincarato la dose esprimendo il suo desiderio di far di Roma la capitale d’Italia nel suo discorso del 27 marzo del 1861, avviando così l’inizio delle trattative con la Sante Sede.
Il Cardinale Giacomo Antonelli e Papa Pio IX si erano rifiutati ed allora il conte di Cavour aveva scritto direttamente al Principe Napoleone di Vestfalia (nome completo Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte, detto Plon Plon) chiedendo di ritirare le truppe francesi di presidio a Roma e ricevendo risposta positiva che portava alla stipula di una bozza di Convenzione. I punti dettati dal Plon Plon, furono:
«Fra l’Italia e la Francia, senza l’intervento della corte di Roma, si verrebbe a stipulare quanto segue:
1. La Francia, avendo messo il Santo Padre al coperto d’ogni intervento straniero, ritirerebbe da Roma le sue truppe, in uno spazio di tempo determinato, di 15 giorni o al più di un mese.
2. L’Italia prenderebbe impegno di non assalire ed eziandio di impedire in ogni modo a chicchessia, ogni aggressione contro il territorio rimasto in possesso del Santo Padre.
3. Il governo italiano s’interdirebbe qualunque reclamo contro l’organamento di un esercito pontificio, anche costituito di volontari cattolici stranieri, purché non oltrepassasse l’effettivo di 10 mila soldati, e non degenerasse in un mezzo di offesa a danno del regno d’Italia.
4. L’Italia si dichiarerebbe pronta ad entrare in trattative dirette con il governo romano, per prendere a suo carico la parte proporzionale che le spetterebbe nella passività degli antichi stati della chiesa».
La trattativa tra Plon Plon e il conte di Cavour si interruppe con la morte di quest’ultimo il 6 giugno del 1861 ed il suo successore Bettino Ricasoli tentò la rinegoziazione con Antonelli e Pio IX l’anno successivo ricevendo un puntuale e deciso rifiuto.
Seguirono delle trattive negli anni successivi, così come vi erano delle spinte garibaldine verso il Lazio che puntualmente vennero fermate.
Si giunse poi alla Convenzione di Settembre, stipulata il 15 settembre del 1864, tra il Regno d’Italia e l’Imperatore Napoleone III dove quest’ultimo si impegnava al ritiro delle truppe francesi da Roma in cambio della promessa di non invadere lo Stato Pontificio da parte del Regno d’Italia. Napoleone III pretese pure che la capitale italiana non fosse Roma riuscendo a spostarla a Firenze.
Nel 1867, i garibaldini tentarono un’altra incursione nel Lazio ma furono fermati il 3 novembre del 1867 nella battaglia di Mentana.
Tra le insurrezioni Mazziniane e la guerra franco-prussiana del 1870, l’Italia rimase a guardare, osservandone gli sviluppi e con la sconfitta di Napoleone III, la situazione divenne perfetta per prendere finalmente Roma.
L’8 settembre una lettera firmata da Vittorio Emanuele II giunse al Papa.
Il Re nell’epistola esplicita la necessità di garantire alle proprie truppe di occupare alcune tra le posizioni indispensabili per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede, in vista delle minacce del partito della rivoluzione cosmopolita.
Il Papa, però, rispose con fermezza:
“Sire, il conte Ponza di San Martino mi ha consegnato una lettera, che a V. M. piacque dirigermi; ma essa non è degna di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica, e si gloria di regia lealtà. Io non entrerò nei particolari della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V. M. empia di amarezza l’ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V. M. per liberarla da ogni pericolo, renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno. Dal Vaticano, 9 settembre 1870”.
L’11 settembre iniziarono le operazioni militari ed Il 20 settembre i bersaglieri comandati da Raffaele Cadorna, generale delle truppe, aprirono una breccia nelle mura aureliane, per entrare a Roma.
Papa Pio IX si vide allora costretto a ritirarsi, riconoscendo la sovranità italiana su Roma. Gli venne concesso il Vaticano, il Laterano e la Villa Pontificia di Castel Gandolfo, ma Roma alla fine risultò annessa al Regno d’Italia.
Il 21 gennaio 1871, venne infatti approvata la legge che stabiliva lo spostamento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma.
Il 21 gennaio 1871 lo si fece dal punto di vista legislativo, mentre la cerimonia ufficiale si tenne pochi giorni più tardi, il 3 febbraio 1871.
La fine del potere temporale del Papa era però ormai inequivocabile, sebbene il conflitto con lo stato italiano venne definitivamente sanato solo con i Patti Lateranensi del 1929.
di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports