In una calda giornata di settembre dell’anno appena trascorso, in una Palermo quasi silenziosa per l’apprestarsi dell’ora di pranzo e pressoché deserta perché molti ancora nelle zone di villeggiatura, cinque individui vagavano alla ricerca di un frittularo (venditore di frittola). Dopo vani tentativi per i mercati storici della città, trovando tutti i “punti frittola” deserti, finalmente in una via ritenuta popolare, un ombrellone e una bancarella con sopra una grossa cesta apparve all’orizzonte. Soddisfatto il palato e riempito lo stomaco, ai cinque non restava che concedersi una lunga “passeggiata digestiva” in quanto la frittola, come ogni specialità dello street food palermitano, non rientra fra le preparazioni leggere.
Già il nome la dice lunga, infatti gli scarti della macellazione ovvero i pezzetti di carne, grassetti e cartilagini con cui viene preparata la frittola, dopo essere stati bolliti ad alta temperatura, vengono fritti nello strutto e infine riposti in una cesta di vimini, avvolta con coperte o stracci da cucina, solitamente a quadrettoni, che qui chiamiamo “mappine” e ciò al fine di mantenere caldo il tutto.
Il calore è essenziale poiché la frittola, una volta raffreddatasi perderebbe gran parte di quel gusto particolare risultando al palato “lippusa” (grassa), termine che noi utilizziamo anche per definire qualcosa di particolarmente scivoloso. Per servire la frittola il frittularu “immergerà la propria mano nella cesta e ne tirerà fuori sempre la giusta porzione da porre su carta oleata o per condire un panino. Pur essendo palermitana, ho scoperto soltanto da poco la motivazione per cui non si trovano frittulari disponibili, oltre un certo orario. Gli avventori si presentano al “punto frittola” di buon mattino e consumano in loco, annaffiando il tutto con un bicchiere di vino o birra e così, già alle 11:00 o poco più u frittularu chiude i battenti. Una colazione che fa accapponare la pelle sia ai sostenitori di cereali integrali e latte di soia, che ai consumatori di cornetto e caffè.
Altri cibi tradizionali graditi al palato dei palermitani sono u mussu e carcagnolo (muso e calcagno), parti del vitello ricavate dal muso, dalle cartilagini e dalle zampe dell’animale, bollite e poi condite con sedano, olive verdi (o bianche che dir si voglia), cipolla rossa di Tropea, carote, olio e aceto, ottenendo così una gustosa insalata. C’è chi, invece, preferisce gustare i pezzi di carne fra cui u masciddaru (la mascella) e le parti più callose, solo con sale e limone che in lingua madre palermitana diventa a stricasale.
La prima volta che acquistai una porzione di questa insalata per fare cosa gradita al mio consorte, dissi con tono solenne che avevo comprato “l’insalata di muso e tallone”, poiché la versione autoctona della frase mi sembrava poco fine. Mio marito a quel punto non riuscì a trattenere una fragorosa risata, facendomi notare che certi termini dialettali non si possono tradurre. Nonostante ciò ancora oggi, quando mi trovo in macelleria, non riesco a dire “insalata di mussu” e mi limito a chiedere “una porzione di quella lì”. Effettivamente, così come per tanti termini dialettali non c’è traduzione, anche certe espressioni non renderebbero se tradotte in italiano.
La frase “… E ti po’ stuiari u mussu” (puoi pulirti la bocca), per esempio, non è un’esortazione all’utilizzo del tovagliolo, ma il consiglio spassionato di non sperare in qualcosa che non avverrà.
Divagazione a parte e tornando alle specialità gastronomiche, quasi tutte hanno origini povere e popolari, quindi l’uso del dialetto è più che giustificato. Un tempo non si gettava nulla e ciò che non veniva utilizzato nelle cucine dei nobili, come le parti meno pregiate dell’animale, lo si ritrovava sulle tavole dei meno abbienti. Fra i piatti già citati e anch’esso di origine povera, troviamo la quarume (caldume) che viene preparata con diverse parti del prestomaco del vitello. In dialetto prendono il nome di ventra, matruzza, centopelle e ziniere o zirienu. Accuratamente pulite e poi cucinate con cipolla, sedano, carote e prezzemolo, vengono servite con il caldo brodo di cottura e regolarmente quando i piatti sono colmi della fumante pietanza, ha inizio la battaglia a colpi di forchette fra chi difende il proprio ziniere o il centopelle e il meno fortunato che tenta di appropriarsene, non avendo trovato nel proprio piatto le parti più ambite della quarume.
La preparazione ha origini antichissime che si fanno risalire alla colonia Greca in Sicilia e il nome deriva dalla parola cholàdes, termine utilizzato per indicare le frattaglie. Nelle Agorà greche era consuetudine potere acquistare cibi cotti di ogni genere: pesce, frittelle, zuppe, carni bollite o alla brace e i più poveri, alcuni dei quali non avevano neppure la cucina in casa, potevano sfamarsi in economia. Lo street food invenzione sicula? Niente affatto! I Greci ci hanno preceduto… In tutti i sensi!
Per la ricetta della frittola, il migliore “ricettario” è u frittularu.
INSALATA DI MUSSO E CARCAGNOLO
Ingredienti per 4 persone ca
500 gr. di mussu e carcagnolo (muso, mascella e zampe di vitello o manzo) già precotti da acquistare in macelleria. Per gli ingredienti che seguono, la quantità varia a seconda del gusto personale:
cipolla rossa di Tropea
carote
coste di sedano
olive verdi
olio, sale, pepe e aceto q.b.
Preparazione:
Tagliare in pezzi grossolani il musso e il carcagnolo, aggiungere le carote tagliate a rondelle, la cipolla, il sedano a pezzetti e le olive intere. Condire il tutto con sale, pepe, olio e aceto. Per un’insalata più gustosa, sarebbe preferibile prepararla un’ora prima di portarla in tavola.
QUARUME
Ingredienti per 4 persone ca:
500 grammi di caldume (ventra, ziniere, matruzza e centopelle) da acquistare anche precotta
1 cipolla
2 carote
2 coste di sedano
sale e pepe q.b.
Preparazione:
Se non acquistate già precotte, lavare accuratamente tutte le interiora e lasciare bollire per circa un’ora e mezza. Terminata questa prima fase, immergere la caldume in acqua fredda insieme alle carote tagliate a rondelle, il sedano a pezzetti e la cipolla in fette grossolane, aggiungere il sale e fare cuocere fino a che tutte le interiora non risultino morbide e le verdure cotte. Servire calda con il brodo di cottura.
Buon Appetito!
di Monica Militello Mirto – EmmeReports