L’arte dovrebbe essere maestria tecnica, innovazione nei contenuti e padronanza del linguaggio. Oggi presentiamo le opere della Contessa di Alicudi Schifanoja, che nella creazione estroversa e nel recupero di maniere quasi dimenticate ci mostra quanto l’arte, per rigenerarsi continuamente e mantenere il proprio fascino, possa liberamente mescolare ceti, storia e tradizioni. Lasciamo alle immagini il racconto delle emozioni e intervistiamo l’alter ego dell’artista, Roberto di Alicudi. Eoliano di adozione ma nato a Napoli, dove si laurea in Storia dell’arte sviluppando una lunga carriera nel marketing, fino a quando non deciderà di abbandonarsi alla sua vera vocazione: la pittura. Affascinato dal mondo mediterraneo e soprattutto dalla Sicilia, dove possiede la Monachedda, l’amatissima casa sull’isola di Alicudi. Proprio alle Eolie risale il suo incontro con il pittore tedesco Jurgen Wegner che lo avvicina alla pittura su vetro; da quel momento la Contessa di Alicudi Schifanoja matura un linguaggio personale ed esclusivo entrando in collezioni private prestigiose, esponendo a Parigi nella galleria 3m2 e presso Amanei a Salina.
La pittura su vetro è una tecnica antica e poco tramandata; perché l’ha scelta?
Sono diventato pittore su vetro o “pincisanti” come si dice sull’ isola, per un motivo assai pratico: mi sembrava l’unico tipo di arte resistente all’ umido ed avevo paura che la Monachedda, la mia casa di Alicudi, potesse soffrire in inverno di questo problema. Mi si è aperto d’avanti un mondo incredibile: ho cominciato a studiare e a cercare, identificando i percorsi che questa tecnica attraversò nel corso dei secoli, dal Nord Europa fino ad arrivare nel Sud Italia ed in particolar modo in Sicilia. L’apprendimento per me è stato un gesto naturale, ma ho capito subito che avrei dovuto ragionare in maniera completamente opposta a quanto si fa normalmente con la pittura. Si deve partire dal particolare, poi dal primo piano e via via sovrapporre nuovi strati di colore fino ad arrivare allo sfondo; complicato, ma l’effetto finale diventa affascinante. È una tecnica che non ammette errori, se si dimentica di inserire una nuvola nel cielo non potrai aggiungerla mai più! Sono stato un autodidatta avventuroso, ma -ahimè!- pensare all’incontrario è sempre stata una mia prerogativa.
Architettura e simmetria: quanto del barocco napoletano emerge dalle sue immagini?
Napoli è nel mio DNA. Sono cresciuto in una parte della città dove grandi palazzi nobiliari spalancano i portoni su giardini segreti, dove il piperno, pietra vulcanica “nobile” utilizzata per le architetture più importanti, si accosta ad edicole votive coperte di mattonelle colorate, neon, fiori finti, teschi. Tutti questi elementi mi sono sempre sembrati parte di un teatro, una scenografia immaginaria che prevede un palcoscenico. Cerco spesso nei miei quadri di ricreare quest’idea di “teatrino”: una scena centrale che si apre come una finestra, ai lati della quale aggiungo elementi decorativi che rubo da case private, dalle chiese e dalle edicole votive. Mi sforzo di prestare attenzione alla simmetria nell’ impianto generale dell’opera ma prevale il mio amore per il caos della cultura popolare e così rami di gelsomino, cespugli di plumbago, farfalle, gechi e pappagalli invadono la scena, rendendo la simmetria meno pura ma più viva.
Nelle sue opere accenni di borghesia ottocentesca e immaginario popolare: tradizione o libertà?
Non mi libero né mi voglio liberare da nessuna tradizione, anzi quella degli ex-voto, con la sua libertà espressiva mi permette di sovrapporre più livelli di lettura. Conservo l’espressività popolare filtrandola attraverso temi più “alti” come la mitologia e la storia dell’Arte, quella con la “A” maiuscola. In un quadro, ad esempio, ho mantenuto l’iconografia dell’ex voto e delle guaches napoletane sul tema del vulcano che erutta, sovrapponendovi però il modello picassiano di una ragazzina che galoppa nuda su un cavallo, ma il cavallo di Picasso è diventato uno “ sceccu”, un asinello di quelli che incontro a Alicudi anche sulle scale. Ai miei quadri lascio parlare volentieri più lingue: quella forbita da salotto borghese insieme ad una bella espressione dialettale, carica di humor e sensualità.
Quanto di esclusivamente eoliano troviamo nelle sue opere?
Moltissimo! Non riesco mai a liberarmi fino in fondo della mia terra d’elezione e anche nei quadri meno siciliani, improvvisamente compare un accenno all’arcipelago. Può essere la scelta di un fiore o l’utilizzo di un fregio che vidi una sera di primavera in una chiesa di Panarea. Nella mia arte le isole ci sono sempre: dalla scelta dei colori, all’idea che la Natura voglia dirci qualcosa di più recondito, un messaggio lirico e nascosto. Per questo ricorro spesso alla mitologia: le isole sono terra del mito e i miti sono eterni.
Il tema del vulcano: natura matrigna, emozione romantica o rigenerazione alchemica?
Da napoletano considero la presenza del vulcano irrinunciabile. Comprendo molto bene perché a Stromboli, Iddu, il vulcano, sia considerata una presenza viva, una divinità con un suo carattere definito. Crescere e vivere fra i vulcani attivi è fare i conti con l’assurdità della vita, che dona o prende senza ragione, vivere lo “sperdimento”, la romantica emozione dell’ orrido, inteso come forza naturale che ci sovrasta e di fronte alla quale restiamo inermi. Non potrei certo vivere in un territorio muto, non fa per me la tranquillità della pianura!
Le parolacce giocose: vezzo aristocratico di usare anche espressioni popolari?
Ho sempre pensato che le parolacce fossero una ricchezza; fin da ragazzino ascoltavo e riascoltavo le “Scena delle ingiurie” nella Gatta Cenerentola rimanendone incantato. Poi, durante i mesi del primo lockdown, ho letto la notizia di uno zoo inglese che ha dovuto allontanare dal pubblico un gruppo di cinque pappagalli perché troppo sboccati. Allora ho pensato potesse essere spiazzante inserire in un contesto leggiadro una “cattiva parola” e ho usato i “parrocchetti”, uccelli con una vasta tradizione iconografica aristocratica, facendogli però comunicare tutt’altro. Mi sono ricordato anche del pappagallo di una mia zia, si chiamava Cocorito, e io lo portavo al guinzaglio quando ero bambino. Fosse ancora vivo gli insegnerei a dire molte parolacce, solo per fare arrossire le altre Contesse!
Cosa ci permette di esprimere in più, rispetto all’arte da galleria, la sua pittura su vetro?
Non so bene cosa significhi “arte da galleria” anche se io stesso ho esposto a Parigi, in una piccola e raffinata galleria di Palais Royale. Immagino non ci sia una grande differenza perché o si esprime qualcosa o non si esprime niente: il luogo fisico della galleria non aggiunge molto. Il vetro invece mi permette di compiere un rituale: il risultato del quadro mi è oscuro fino a che non giro l’opera. È una sorpresa e insieme un incubo: la realtà che si svela potrebbe essere tutt’ altra cosa da quella che avevo immaginato.
L’arte del giullare per svelare le verità nascoste: è un parallelo possibile con la sua ricerca?
Assolutamente sì! Anche se spesso lo faccio inconsapevolmente, mi sono accorto di come l’ironia che trapela dai miei racconti su vetro riveli un qualcosa che nella vita di ogni giorno tutti percepiamo ma spesso ci sfugge. La bellezza della Natura che prorompe impetuosa sulla mia isola ridicolizza tante nostre passioni: si vuole davvero passare la vita affannandosi per rincorrere chissà cosa? davvero ci crediamo così importanti? La mia ricerca è anche questo: rappresentare un mondo in cui la realtà della Natura sia piena di domande e di risposte. Lasciamo la parola alle mie sirene dai tre seni, belle e feroci come la realtà.
Quale pubblico dialoga con le sue opere?
Sono fortunato perché i tanto vituperati social media mi hanno permesso di amplificare la mia esperienza artistica e di intessere nuovi rapporti. Instagram può essere tanto un’enorme perdita di tempo quanto una chiave d’oro fra le mani. I miei quadri sono così arrivati ovunque nel mondo, andando molto oltre il pubblico di appassionati delle isole.
Un suo, personale concetto di arte?
Ricordo che un giorno, dopo avere fatto l’amore, mi è stata posta la stessa domanda. Non rammento più cosa dissi, ma sono sicuro che era la risposta giusta!
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports