Comprendere le opere di Enzo Togo, pittore di sangue siciliano ma nato a Milano, è un viaggio affascinante nei linguaggi dell’arte; visse l’adolescenza nella sua Messina decidendo poi di tornare nella città lombarda e mantenervi, fino ad oggi, il proprio studio. Togo, per orientarci con la storia è nato nel 1937 e lasciò la Sicilia negli anni Sessanta.
Dai suoi dipinti di quel periodo milanese spaccato da tensioni popolari fra gruppi anarchici, neofascisti e di estrema sinistra non vi è nulla di ideologico. Non c’è il Sessantotto, la contestazione, i gambizzati, le morti inspiegabili e quelle bombe che resero Milano teatro di dolore e di fermenti, di innovazione tecnologica e depistaggio investigativo. Nelle opere di Enzo Togo vi è luce e bellezza, armonia di colori e semplicità nelle forme.
Restare così puri e lontani dai fatti di cronaca e dai movimenti che portavano i cittadini su strade politiche fra loro inconciliabili, spinge a cercare in altre realtà le radici artistiche di Togo. Iniziamo dal ritratto che ne fece lo scrittore calabrese Rocco Familiari: Togo “oggi può liberamente e felicemente osservare la realtà che lo circonda, e il proprio mondo interiore, restituendoli con generosità, sulla tela o sulla carta, secondo una originale modalità espressiva che è certamente una scelta estetica, ma anche etica. I suoi quadri, proprio perché non ideologici o a-ideologici hanno una forza affermativa di valori, e di denunzia di disvalori, che nessun manifesto, proclama, comizio, orazione potrebbe neppur lontanamente eguagliare”.
Togo, nella pulsante e vorticosa Milano, luccicante e matrigna trovò una strada espressiva dialogando soprattutto col passato. Fondamentale è il rapporto con Raffaele De Grada, intellettuale e critico d’arte che ne apprezza l’opera e spesso la commenta; la storia di questo grande critico, omonimo del proprio padre che era pittore di paesaggi, a sua volta figlio d’arte di un decoratore socialista fuggito in Svizzera, ci fa accostare all’arte di Togo con maggiore consapevolezza. I paesaggi del Raffaele senior erano pacati e tonali, intrisi di luce lattiginosa del nord e guardavano sia a Cezanne che a Corot; tornato in Italia si stabilì prima a Firenze e poi a Milano, dove morì nel 1957. La sua pittura, moderna, quasi geometrica ma sempre legata alla natura e al suo stato d’animo –così la descrisse il figlio – è la radice su cui andrà a fiorire l’opera di Togo.
I suoi lavori, come ha correttamente sostenuto Familiari, non sono ideologici perché ha sempre prevalso l’ideale di vita rispetto al messaggio del partito; era un comunismo più intimo, vissuto nella propria scala personale di valori e non propagandato o usato come bandiera d’occasione. Fino al 1972 Togo aveva studio in Via Palermo e partecipava attivamente nella sezione Togliatti, affacciata sulla stessa via e il cui segretario era il medesimo Raffaele De Grada che, come critico, lo presentò la prima volta nel 1967. Il rispetto e la libertà di potersi esprimere secondo la propria sensibilità individuale, senza urla e prevaricazioni, è il riflesso artistico della sua militanza politica.
Per i colori vividi e l’innaturale resa di molti elementi figurativi, forzati ad assecondare l’equilibrio e le dinamiche della composizione, l’arte di Enzo Togo è stata definita espressionista, ma non credo sia parola congrua. L’espressionismo nasceva in contrapposizione ad una società rigida, i cui schemi erano ormai incapaci di contenerne le pulsioni nascoste e volutamente mascherate. Quella di Togo invece è semplicemente libera: una pittura di paesaggio che non guarda alla resa fotografica, che non è semplice veduta o decorazione ma espressione lirica. Non è la rappresentazione del mondo inconscio, tutt’altro: con un gesto d’amore verso la propria terra ne coglie l’essenza e trasforma in colore le emozioni che l’uomo, prima ancora dell’artista, ha vissuto. Con questa tavolozza Togo dipinge anzi ricrea il paesaggio che diventa un luogo dell’anima o, come lui disse in un’intervista, espressionismo mediterraneo.
Guardare un dipinto di Enzo Togo in una Italia del boom, lasciarsi affascinare dalle scale cromatiche di azzurri e verdi, di terre e di ocre, dai colori caldi e freddi sapientemente dosati e giustapposti, dalla sua luminosità abbacinante era ed è tutt’ora un turbine di emozioni. Il paesaggio parla all’osservatore, lo accoglie, si apre ai suoi occhi in un caleidoscopio di sensazioni. Sicuramente in una Milano spesso grigia, velata dai fumi delle industrie e del progresso, ritmata dalle geometrie impersonali delle crescenti periferie, dove il mondo fino al 1976 entrava ancora nelle case con immagini televisive in bianco e nero, l’espressionismo mediterraneo di Togo ebbe una capacità travolgente di raccontare una terra assolata e rigogliosa, un mare di vortici, spumeggiante e cristallino.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports